Bluets di Maggie Nelson: un libro sulla fine di un amore e sull'ossessione per un colore (il blu)
A sette anni ero ossessionata dal colore fucsia. Rifiutavo di mettermi vestiti che non fossero una qualche declinazione di sfumatura del fucsia anche se al tempo stesso avevo qualche difficoltà a pronunciare il nome del colore. Per un po' invertivo la “s” e la “c” solo perché qualcuno della mia classe mi aveva detto che i suoi genitori a casa lo pronunciavano così. Se al Toys Center c'era qualche bambolina o animaletto colorato anche in minima parte di fucsia, puntavo i piedi e piangevo finché i miei genitori, imbarazzati per la scenata, non lo avrebbero infilato nel carrello per portarlo a casa con me. La sola visione del colore mi faceva stare bene, passavo i pomeriggi nella mia stanzetta dalle pareti fucsia pallido a passare in rassegna tutti gli oggetti fucsia che avevo collezionato e li appuntavo sul diario (fucsia acceso). Il colore fucsia mi infervorava, mi ossessionava anche di notte quando ricordo che chiudevo gli occhi e cercavo di visualizzarlo davanti a me al posto del buio. Poi ho compiuto otto anni e acchittarsi di fucsia era da sfigati, così ho buttato tutti i vestitini nella lavatrice che li avrebbe tinti irreversibilmente di nero. Ho smesso di pensarci. Poi nella mia vita a ventitré anni è arrivato Bluets (tradotto ora dalla bravissima Alessandra Castellazzi per Nottetempo), un libro che è una raccolta di 240 poesie / saggi / pensieri in cui la sua autrice Maggie Nelson confessa il suo amore per il colore blu, la cui rifrazione, racconta, riflette il suo languore e angoscia. Lì la mia ossessione ha trovato una compagna, mi sono sentita capita, assecondata nella mia pazzia.
«E se cominciassi dicendo che mi sono innamorata di un colore? Se lo raccontassi come una confessione; se ne parlassi tormentando un fazzoletto. È iniziata pian piano. Un apprezzamento, un’affinità. Poi, un giorno, è diventata una cosa seria», scrive Nelson nelle prime righe di Bluets. Racconta che la sola visione di un cielo limpido o di un occhio azzurro o di un brandello azzurro del sacco dei rifiuti incastrato tra i rami di un cespuglio le ferma il cuore, le rilassa i muscoli, la conduce in uno stato di dolce abbandono e resa incondizionata. In inglese essere blu significa anche essere tristi, malinconici, e cercando di dare una spiegazione alla sua ossessione sfrenata, prova ad additare la colpa alla sua depressione e solitudine, come se si fossero riconosciute nell'essere di colore blu. Collezionare oggetti e immagini blu l'ha distratta negli anni più depressi e morti della sua vita. “Get the blues”, prendersi i blu, equivale a sorprendersi in un momento di totale malinconia al pari di una febbre. La cantante Joni Mitchell canta “Blue” quando ha il cuore spezzato. «È la disfunzionalità che parla. È la malattia che parla. È quanto mi manchi che parla. È il blu più profondo, che parla, che parla, che parla sempre a te».
Per un colloquio di lavoro all'università, Maggie Nelson scrive nel CV che da tempo sta lavorando a un libro sul colore blu anche se ancora non ha ancora scritto una parola. «Forse è il mio modo di sentire che la vita “va avanti” anziché indugiare come cenere sulla punta di una sigaretta accesa». Uno degli uomini al tavolo del colloquio le chiede perché il colore blu. «La gente me lo chiede di continuo. Non so mai cosa rispondere. Non scegliamo chi o cosa amare, vorrei dire. Non lo scegliamo e basta». Va alla ricerca di persone con lapislazzuli al posto dei canini, uomini che mangiano solo cibi blu, che coltivano solo fiori celesti, scoprendo che non è l'unica persona al mondo a essere ossessionata per quel colore. Secondo Goethe, che scrisse la sua Teoria dei colori in un momento particolarmente difficile della sua vita, «Guardiamo volentieri l’azzurro non perché ci aggredisce, ma perché ci attrae a sé», più che animarci e farci sentire contenti, la vivacità della sua intensità ci rende al contrario inquieti. «Essere innamorata del blu, dunque, significa amare un disturbo? O l’amore in sé è il disturbo? E che pazzia è, in ogni caso, amare qualcosa di intrinsecamente incapace di ricambiare il tuo amore?», si chiede Maggie Nelson.
Ma il blu rimanda anche alla sfera della sessualità e dell'oscenità. Nel suo libro On Being Blue William Glass afferma che chi legge in realtà vuole «penetrare l'intimità e guardare sotto la gonna». Andy Warhol disse che voleva fare un film che fosse «puro scopare». Nel 1968 esce il suo Blue Movie, anche intitolato semplicemente Fuck. Qualche mese dopo è stato sequestrato dalla polizia per oscenità. Poi c'è anche la sfera che afferisce alla metonimia del blu della bottiglia. In tedesco "blau sein", essere blu, significa essere ubriachi. In Inghilterra l'ora blu è l'ora in cui ci si riunisce al pub. La pittrice astratta Joan Mitchell, appassionata cromofila e grande bevitrice, nel 1973 ha dipinto il quadro Les Bluets, da cui il libro ruba il titolo, in cui dei fiordalisi spuntano su un prato dipinto di blu perché il verde lo trovava irritante. Mitchell era amica di Frank O'Hara, il poeta che scrisse: «Ah papà, vorrei restare ubriaco per molti giorni, sulla poesia di un amico» e per molto tempo così restò.
Queste 240 poesie Maggie Nelson le chiama proposizioni come quelle di Wittgenstein. Le ha composte tra il 2003 e il 2006 mentre, col cuore spezzato dopo una delusione d'amore, si stava prendendo cura di una sua amica quadriplegica, che corrisponde al momento in cui le sfumature del blu che la ossessionano da tutta la vita iniziano a restituirle le sfaccettature del suo dolore. È lì che a suo dire è entrata in contatto col colore, le è entrato dentro e lo vedeva in una sfumatura più accesa di prima. «Più che altro mi sono sentita diventare una serva dell’infelicità. Sto ancora cercando bellezza in questo». Le pillole blu degli antidepressivi che le hanno prescritto non la aiutano molto, per questo prova a rivolgersi alla poesia, agli eccessi dell'alcol, alla bellezza e al sesso interrogando quelle figure blu (da Andy Warhol a Joni Mitchell fino a Yves Klein) che circondano la sua vita per tirargli fuori che cosa restituisce a loro il colore attraverso il dolore. Uscito nel 2009 negli Stati Uniti e arrivato da noi dopo tutta questa distanza temporale, Bluets si è tanto fatto attendere e noi l'abbiamo aspettato senza fretta. Qualcuno sulla fascetta che ricopre il libro racconta di ricordarsi perfettamente tutti i momenti della propria vita in cui ha letto e riletto e riletto ancora Bluets: posso dire lo stesso. Conto al momento la mia quarta rilettura, una quinta è in programma. La sua forza è il suo essere oracolare e dalla forma innovativa che si presta alla modernità, Bluets di Maggie Nelson è il libretto a cui rivolgersi nei momenti in cui non riusciamo a dare un significato al mondo attorno. Dà adito alle nostre ossessioni, ci dice di andare ancora più a fondo, di sprofondare insieme a loro. Bluets parla della fine di un amore, della profondità della perdita misurata in gradi di dolore e in tonalità di colore, di stupore, meraviglia e sensualità. Parla di noi e di tutti i nostri fucsia e blu che colorano la nostra esistenza.
Tutte le opere provengono dalla mostra Georgia O’Keeffe: To See Takes Time che ha avuto luogo nel 2023 al MoMa di New York.
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