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Piccolo trattato sulla canotta della salute, capo pop (e popolare), pratico e grande “riabilitato” dalla moda

Da Vivienne Westowood a Ryan di The O.C. senza dimenticare Fantozzi e la storia, non verificata, che vorrebbe la canotta della salute nata da un eccesso d'ira
canotta della salute
Jim Smeal/Getty Images

Canotta della salute: ascesa di un capo utile diventato accessorio di moda

Non appena ho deposto l'artiglieria pesante, Milano si presenta con un inaspettato quanto apprezzatissimo regalo: un'ultima settimana di pioggia e discreto freddino. Non amo le tenute primaverili, men che meno quelle estive. Mi mancheranno i cappotti con le martingale, i bomber imbottiti, le camicie in flanella e i fustagni dei pantaloni. E mi mancherà la canotta della salute. Vero, nessuno ne vieta l'utilizzo nei mesi più temperati, anzi è un toccasana sotto i primi leggeri voile di stagione. Ma è solo un contentino: presto sparirà, perderà l'utilizzo per cui è nata - evitare, soprattutto tra i ceti più alti, il contatto diretto tra gli abiti e la pelle - per lasciare il posto alla sua replica da gara, non più layer funzionale ma elemento di punta dell'outfit. Non è né un elogio né un rimprovero alla canotta, non è un'analisi delle sue varianti e nemmeno un'indagine storica. Si tratta piuttosto di una lucida riflessione su come un indumento detestato in gioventù possa essere metabolizzato e riabilitato, rimescolato e ribaltato.

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Alessandro Viero

Letteralmente: Supreme in collaborazione con MM6 ne ha appena cucite due insieme, una attaccata all'orlo dell'altra. Incubo per chi l'ha rinnegata per anni.

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Citare i brand che la propongono ininterrottamente ogni stagione, facendole mettere salde radici nei guardaroba, potrebbe richiedere più di cinquecento battute. Con la liberazione degli anni Settanta e il ribollire delle sub culture, è passata dalla strada alla passerella con una corsia preferenziale, quella dello stretto legame tra moda e marciapiede.

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Sopravvissuta a ogni trend, ha cavalcato le ere più disparate senza accusare troppi colpi. Vivienne Westwood con Malcolm McLaren ne fatto un manifesto, Miuccia Prada ne ha tramutato i codici proponendola in duchesse di seta mentre Kate Moss in canotta bianca tormenta tutt'ora chi non ha ancora metabolizzato la fine dei Novanta e digerito il nuovo millennio.

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Kate Moss

Vinnie Zuffante/Getty Images

Quella di Vivienne, però, ha un sapore differente. Emblema del machismo, consacrata da Marlon Brando in Un tram che si chiama desiderio, è ora una tela su cui prende vita una scena omoerotica tra due cowboy seminudi.

Marlon Brando in “In un tram che si chiama desiderio”

Courtesy Everett Collection

Spogliata da genere e orientamento sessuale, è ufficialmente libera di sedimentarsi nell'immaginario collettivo senza remore o timore. Il mio di Marlon si chiama Ryan Atwood, l'outsider di The O.C. catapultato nella casetta in piscina della famiglia Cohen e chiamato a scavare sotto la superficie di Newport Beach e infondere nuovi valori di giustizia sociale.

The O.C.

©Warner Bros/Courtesy Everett Collection

Non esiste episodio in cui non indossi la canotta bianca, a vista o sotto un chiodo malconcio, come per il primissimo incontro con Marissa Cooper (stagione 1 - episodio pilota - minuto 08:46), cristallizzata eroina romantica del primo decennio degli anni duemila. Julie Cooper, la madre Y2K D.O.P., apostrofa la fidanzata della figlia con testuali parole: "il vero grande amore di mia figlia in canottiera fa tutt'altro effetto".

The O.C.

©Warner Bros/Courtesy Everett Collection

Verosimilmente tendo più a Ugo Fantozzi e alla sua di canotta, privata di ogni bollore erotico e riportata alla realtà, democratica e umile, macchiata di "frittatona di cipolle, Peroni gelata e rutto libero".

Fantozzi

Mondadori Portfolio/Getty Images

Ricordo con precisione il momento in cui ho iniziato a detestarla, un limbo di esistenza di non totale autonomia e di scoperta o fuga dal mondo, chiamato pubertà. Sette anni terrificanti quanto interessanti, racchiusi in 4 lettere: teen. Il corpo cambia e con esso la percezione dei vestiti, in particolare quelli che più vi sono a contatto, dalle mutande alla canotta. Sabotatrice di outfit, fuoriesce, indomabile, dai jeans, dando il via libera agli spifferi, accartocciandosi lungo la schiena e palesandosi sotto ogni camicia non abbastanza coprente.

Fact-checker professionista, non mi fido ciecamente della leggenda secondo cui Jean Des Fauches l'abbia inventata in un guizzo di rabbia, strappando maniche e collo a una camicia. È una scena plausibile che non fatico a immaginare, al Conte Fersen e Lady Oscar è capitato centinaia di volte. Le origini torbide non ne hanno proibito la proliferazione, passando dai salotti alle miniere, dagli stadi alle dark room.

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Paolo Lanzi

Ha cavalcato le fantasie collettive e attraversato intere filmografie, rimanendo tanto tangibile quanto democratica. E continuerà a farlo perché dalla strada, dai palchi, dalle scuole e dalle passerelle non arrivano smentite. Ho da poco compiuto trent'anni e sono fermamente convinto che questo abbia coinciso con la riabilitazione della canotta della salute all'interno del mio armadio. Non sono ancora pronto per accompagnarla verso il grande passo, indossandola a vista. Forse nemmeno ne accetto fino in fondo l'autonomia: continuo a vederla come un oggetto da tenere nascosto, utile, intimo e bianco. Sono inspiegabilmente legato all'Ancien Règime e attendo il giorno in cui tornerà a riposare sotto camicie, tee-shirt e cardigan, con il suo fascino discreto e pragmatico.

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