Delphine Arnault: intervista alla prima donna alla guida di Christian Dior

Primogenita di Bernard Arnault è stata eletta presidentessa e CEO del gioiello della corona LVMH. “Riservata e resiliente” secondo famigliari e collaboratori, Delphine si racconta a Vogue in questa intervista esclusiva. Foto di Annie Leibovitz. Styling di Tonne Goodman
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Delphine Arnault: intervista alla prima donna alla guida di Christian Dior

La mattina del 1° febbraio dello scorso anno, Delphine Arnault è entrata nel suo nuovo ufficio parigino in qualità di presidentessa e CEO di Christian Dior. Primogenita nonché unica figlia femmina di Bernard Arnault – colui che quasi sempre figura in cima alla lista degli uomini più ricchi del mondo –, nel corso di un paio di decenni ha scalato i ranghi delle aziende paterne appartenenti al gruppo LVMH, imparando ogni aspetto del business della moda. Ora, a 48 anni, ha tra le mani il gioiello della corona: la prima casa di moda acquistata dal padre, il luogo in cui, quando era bambina, lui la portava nei fine settimana, il reame di monsieur Dior, lo stilista che, 77 anni fa, ha cambiato il modo in cui le donne sognavano la loro vita. Quello di Dior è un nome indissolubilmente legato alla storia della Francia, e Delphine è la prima donna ad assumere il controllo della maison.

La incontriamo sette mesi dopo l’inizio del suo “regno”, nello studio del direttore creativo Maria Grazia Chiuri, a Parigi. Altissima, lineamenti delicati e modi discreti, ci accoglie in tailleur pantalone blu. Siamo alla vigilia della sfilata P/E 2024, e nello studio le modelle camminano avanti e indietro, tra piccoli aggiustamenti e cambi di accessori. Maria Grazia, in jeans e maglione nero, siede accanto a Delphine. Se nel 1947 Christian Dior raccontava il futuro delle donne, le prime due di loro alla guida dell’azienda ne stanno disegnando uno nuovo. La maison sta entrando in un’era in cui due madri in carriera sono nella posizione di determinare ciò che le donne indossano e il modo in cui si sentono. «La moda deve aiutarti a sentirti libera», dice Maria Grazia.

Mentre gli abiti sfilano, Delphine osserva, non interviene mai. «Quanti look hai?», chiede a Maria Grazia. «Settantotto», risponde l’altra. «Rachele ne ha esclusi cinque». Rachele Regini, figlia ventisettenne di Maria Grazia e consulente culturale, è dietro di noi, impegnata a preparare le modelle e supervisionare le operazioni. «Non è un po’ troppo magra?», si domanda Maria Grazia ad alta voce, a proposito di una modella. Quindi, rivolta a Delphine: «Non voglio far sfilare ragazze troppo magre. Voglio ragazze sane». Poi, in tono più sommesso: «È una settimana intensa per te, Delphine, non è vero?».

Lo è, in effetti. Cinque giorni prima, Delphine e il suo compagno, Xavier Niel, hanno partecipato a una cena tenutasi alla reggia di Versailles in onore dei reali britannici (la regina Camilla era in Dior, la first lady francese, Brigitte Macron, in Louis Vuitton). Domani Delphine dovrà parlare a 600 persone nell’ambito di un summit aziendale che avrà luogo al Louvre.

Al tramonto, raggiungiamo a piedi con Delphine la vicina boutique Dior, al 30 di Avenue Montaigne, dove i partecipanti al simposio si sono riuniti per l’aperitivo di benvenuto. Ampiamente ristrutturata, la location che ha visto il debutto di Christian Dior nel 1947 ha riaperto i battenti nella nuova veste di boutique e galleria delle meraviglie nel marzo 2022. Tra i partecipanti al summit si parlano più di 40 lingue. Delphine saluta quante più persone possibile, passando in pochi minuti attraverso Stati Uniti, Messico, Europa meridionale e Giappone. Chiede cosa si vende e cosa no nelle varie aree, quali celebrità guardano i giovani, quali sono i marchi concorrenti.

Qualche settimana più tardi, incontriamo di nuovo Delphine a Le Stresa, un piccolo ristorante italiano a conduzione familiare vicino a Avenue Montaigne. A poco a poco, finiamo per parlare del suo senso della privacy. In effetti, con lei, il problema è proprio questo: è cordiale ma relativamente poco loquace. Le sue brevi risposte non sembrano indicare presunzione o reticenza, ma piuttosto modestia, che è un segno di educazione. «Alcuni scambiano la sua riservatezza per arroganza», dice il fratello Antoine. «Mia sorella è molto discreta per natura, e l’educazione che abbiamo ricevuto ha accentuato questa caratteristica. A 25 anni si chiama timidezza, a 50 è maturità». Delphine si dimostra più vivace quando elogia gli altri, che si tratti di artisti di cui possiede le opere o di una commessa che lavora in boutique da decenni. L’affetto e l’ammirazione per il padre sono evidenti.

Sidney Toledano, mentore di Delphine da Dior, sottolinea la sua resilienza. «Non pensate che abbia avuto una vita facile», dice enigmaticamente. «Non mi sono mai ribellata», ammette lei. E quando le chiediamo se ci sia un Harry Windsor nella famiglia Arnault, risponde: «Spero proprio di no». Di certo, i suoi amici non le hanno mai sentito dire che vorrebbe fare altro. Delphine è per natura un’ascoltatrice – «tutta orecchi, tutto il tempo» –, con un istinto infallibile nel riconoscere il talento. Se per Dior è fondamentale continuare a essere un brand leader in ambito creativo, Delphine è la persona più adatta a reggerne il timone senza lasciarsi dominare dal proprio ego.

Come suo padre, anche lei ha il senso innato per ciò che vende, solo in parte maturato con esperienza: «Non è una cosa razionale», dice. È un dono che ha ereditato, come ammette lei stessa: «Se vede 15 borse su un tavolo, lui individua subito quella che sarà più richiesta».

Grintoso negli affari, instancabile lavoratore e inflessibile come genitore, Bernard Arnault è conosciuto come “il lupo in cashmere”. Nel 2022 ha convinto il consiglio di amministrazione di LVMH a innalzare l’età pensionabile obbligatoria per il CEO e il presidente da 75 a 80 anni. Questo gli garantisce un ulteriore quinquennio per supervisionare i suoi cinque figli. Stando alle sue dichiarazioni, tuttavia, non è affatto scontato che sarà uno di loro a succedergli, anche se probabilmente sarà così. Dipenderà in parte da chi vorrà davvero quel posto, che Arnault ha eloquentemente paragonato a una carica sacerdotale. Una volta al mese, riunisce i figli per un pranzo di lavoro di 90 minuti all’ultimo piano della sede LVMH, al 22 di Avenue Montaigne. «Ci coinvolge fin da quando eravamo giovanissimi», dice Delphine. «Ha sempre voluto trasmettere le sue conoscenze».

Delphine e Bernard Arnault

Con i suoi oltre 70 marchi, il gruppo LVMH è, come dice Delphine, «l’azienda leader in Europa». Di fatto, è il più grande conglomerato del lusso al mondo. Ne fanno parte non solo case di moda, ma anche hotel, aziende vinicole e, con la Fondazione Louis Vuitton, un museo d’arte di profilo internazionale. L’importanza di Dior all’interno di questo impero non è solo sentimentale: l’azienda controlla il 41,4% di LVMH. Svolge anche un ruolo significativo a livello di immagine: ha donato 200 milioni di euro per il restauro della cattedrale di Notre-Dame e sponsorizza le Olimpiadi di Parigi con altri 150. Non sorprende che gli economisti francesi considerino Arnault più potente di un capo di Stato, né che guardino alla successione come a una questione di importanza nazionale.

Anche Delphine fa la sua parte nel campo delle donazioni, sebbene in modo meno vistoso: «Mi occupo molto di istruzione», dice. «Lo faccio in prima persona e con scuole specifiche, in grado di individuare i talenti: studenti molto brillanti che non hanno i soldi per accedere a un’educazione di alto livello».

In qualità di CEO di Dior, Delphine è la custode di un mito, un pezzo di storia della Francia. Al momento del suo approdo alla maison, sette anni fa, Maria Grazia Chiuri pensava che Dior fosse un marchio di moda come un altro: con il tempo, ha capito di sbagliarsi. «A Parigi, Dior non è un brand, è molto di più, perché fa parte della storia della città e di quella dei francesi», spiega lei stessa. «All’inizio, per me, è stato difficile capirlo, perché vengo dall’Italia, e lì non abbiamo questo tipo di rapporto con la moda».

La famiglia in cui Bernard Arnault è nato, 74 anni fa, possedeva un’impresa edile a Roubaix, nel Nord della Francia. I suoi genitori si erano sposati nel 1947, lo stesso anno in cui Christian Dior aveva lanciato il New Look. All’epoca della nascita di Delphine, Arnault aveva solo 26 anni ed era sposato con la prima moglie, Anne Dewavrin. Delphine e il fratello minore Antoine sono stati cresciuti secondo principi molto rigidi. Arnault, da parte sua, aiutava i figli con la matematica prima di cena. E “Delph”, come la chiamavano in famiglia, era una bambina studiosa che amava proprio la matematica, oltre all’economia. In effetti, è sempre stata così ben educata che, quando lei aveva 16 anni, Antoine rimase scioccato nel sorprenderla mentre fumava una sigaretta. Da parte sua, Delphine si descrive come priva di una vena creativa: «Nessuno vuole giocare con me a Pictionary», lamenta. Di fatto, i figli degli Arnault sono stati educati a essere competitivi: «Si tratta di cercare di fare del proprio meglio», minimizza Delphine. «È il nostro obiettivo: rispettare gli altri, ma cercando sempre di fare tutto il possibile». Un po’ estenuante? «Sì», ammette ridendo. «A volte è estenuante».

Conserva un piacevole ricordo dei tre anni trascorsi negli Stati Uniti, a New Rochelle, New York, quando il padre cercava di aprire una filiale americana dell’azienda immobiliare di famiglia. «Credo che la scuola americana sia meno esigente di quella francese», osserva, «quindi è stato divertente». Al suo ritorno in Francia, quando aveva 10 anni, Delphine era ormai completamente bilingue. È allora che il padre realizza la sua prima acquisizione: una società di cui fa parte la maison Dior. «Ha sempre avuto un particolare affetto per il brand», rivela Delphine. «Ha avuto molto presto l’idea visionaria di fare di Dior il marchio più desiderato al mondo, insieme a Vuitton». La società che possedeva Dior era in bancarotta: «Allora, c’erano cinque negozi Dior», fa notare Delphine. «Ora ce ne sono 245». Subito dopo l’acquisizione, Arnault porta Delphine al 30 di Avenue Montaigne: «Ero piuttosto impressionata», ricorda lei. «Era affascinante vedere tutti quegli abiti, le borse, i cappelli... Ti faceva sognare».

Quando Delphine ha 15 anni, i suoi genitori divorziano e Arnault sposa la concertista canadese Hélène Mercier (lui suona il pianoforte classico e i figli sono stati educati a fare altrettanto, anche se Delphine sostiene, ancora una volta, di non avere talento). Da lei Arnault ha tre figli, Alexandre, Frédéric e Jean, che come docente di letteratura avranno nientemeno che la futura first lady Brigitte Macron. Antoine osserva che Delphine assomiglia alla madre. «Entrambe coltivano l’art de vivre francese e posseggono un notevole senso della famiglia». Dopo un periodo come addetta alla vendita dei profumi da Dior, Delphine frequenta la London School of Economics e la Business School di Lille. A 18 anni riceve la sua prima borsa Louis Vuitton, una “Noé”. Anche se, dopo la laurea, lavora per un paio d’anni da McKinsey, il legame con l’azienda di famiglia non viene mai meno. Come dice Toledano, «ha Dior nel sangue». Il suo primo impiego post-laurea nel gruppo LVMH è con John Galliano, nel 2000, quando lei ha 25 anni. Galliano lavora per Dior, ma anche per il suo brand omonimo, in una vecchia fabbrica di bambole, nell’11° arrondissement, ed è lì che Delphine inizia. Lo stilista sta ridefinendo l’identità grafica del brand, e Delphine intuisce ciò di cui lui è alla ricerca: «Un senso di ironia», ricorda Galliano. «Qualcosa che non sempre funziona in Francia».

Nel 2005, Delphine sposa Alessandro Vallarino Gancia, erede dell’impero vinicolo italiano, e Galliano disegna per lei un favoloso abito da sposa la cui realizzazione richiede circa 1.300 ore di lavoro. Il ricevimento, per centinaia di ospiti, tra cui politici, imprenditori, attori e star della moda, si tiene allo Château d’Yquem, di proprietà di Arnault. L’evento finisce in copertina e occupa 22 pagine di Paris Match. Il matrimonio dura cinque anni.

Delphine è ancora ben lontana dall’arrivare alla guida di Dior quando, nel 2011, Galliano viene licenziato per commenti antisemiti. «È stato uno choc», ammette lei. «Le cose che ha detto, le parole che ha usato... non erano accettabili. È stato un momento molto duro per la maison. Ma è in occasioni come queste che si impara di più».

Un anno prima, Delphine aveva iniziato a frequentare il suo attuale compagno, Xavier Niel. Definito “lo Steve Jobs francese”, Niel è un miliardario attivo nel settore tecnologico, fondatore della società di telecomunicazioni dietro la compagnia telefonica francese Free, nonché comproprietario di Le Monde. Il suo incubatore d’impresa, Station F, è noto per essere il più grande campus di startup al mondo. Delphine e Xavier hanno due figli, Elisa, di 11 anni, e Joseph, di 7 (lui ha altri due figli nati da una precedente relazione). «Diventare madre ti aiuta a vedere le cose in prospettiva», osserva Delphine. «Tutto diventa relativo».

Delphine in Dior, fotografata a Manhattan nel novembre 2023. Hair: Braydon Nelson. Make-up: Francelle Daly. Tailor: Jen Hebner at Carol Ai Studio.

Qualche anno prima dell’uscita di Galliano da Dior, Delphine aveva stretto amicizia con un altro stilista, Nicolas Ghesquière. Lui lavorava da Balenciaga, lei era vice direttore generale di Dior, ma svolgeva anche un ruolo importante nella ricerca di talenti. Ghesquière, tuttavia, non era pronto a spostarsi. Anni dopo, quando gli è stato offerto il posto di direttore creativo della moda femminile presso Vuitton, inizialmente ha detto no, finché non ha scoperto che anche Delphine si sarebbe trasferita lì. «Questo è stato il fattore decisivo per me», racconta lo stilista, aggiungendo che lei gli ha cambiato la vita.

È stata Delphine a presentare a Ghesquière le persone con cui lui lavora tuttora. Come osserva lo stilista, «ha costruito il team pensando non solo al lavoro, ma anche al nostro benessere». Non è rimasto sorpreso quando, dieci anni fa, Delphine ha fondato il Premio LVMH, dedicato ai giovani designer: «Rivela molto di lei», dice, «del modo in cui pensa al futuro».

Il nostro successivo incontro con Delphine avviene una sera d’autunno, nella residenza che lei condivide con Xavier Niel nel 16° arrondissement. È stata in ufficio tutto il giorno, ma ora indossa un fluido tailleur in velluto di seta nero disegnato da Maria Grazia: ampi pantaloni e una giacca doppiopetto stretta in vita ma portata con tale disinvoltura che potrebbe essere un pigiama.

Mentre gli 11 ospiti – tra cui gli artisti Eva Jospin e Jean-Michel Othoniel e la fotografa Brigitte Lacombe – sorseggiano un aperitivo prima di cena, Elisa, alta come la madre, entra ed esce dal soggiorno in jeans e maglietta verde. Alle pareti ci sono opere di Cindy Sherman, Takashi Murakami e Henry Taylor. Nel giardino, visibile attraverso enormi porte finestre, si trovano sculture di Frank Gehry e Ugo Rondinone.

Passiamo nella piccola sala da pranzo rotonda, dove troneggia uno spettacolare centrotavola composto di calle viola e foglie color ruggine. La conversazione scorre tra le mostre d’arte parigine, le case di campagna, gli ultimi anni di Yves Saint Laurent, la passione di Lagerfeld per la lettura, l’idea che Christian Dior sia ancora rilevante perché era una figura benevola, a differenza di Coco Chanel.

Delphine e il suo partner si scambiano frequenti occhiate e qualche bonaria presa in giro. «Sono l’una la più grande cheerlea­der dell’altro», commenta a mezza voce l’artista Mark Bradford, la cui monumentale veduta aerea di Los Angeles domina dall’alto la tavola da pranzo. In alcune relazioni, osserva, uno dei due partner riceve tutte le attenzioni, ma in questa non succede: «Lei sorride quando lui parla e viceversa. Guardarli fa bene all’anima». E aggiunge: «Ci sono persone che ti danno la sensazione di una coperta calda».

In apertura: Delphine Arnault, che indossa abiti Dior, nel flagship della maison a Manhattan, in fase di ristrutturazione. Foto di Annie Leibovitz. Styling di Tonne Goodman

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