I galleristi a Milano da conoscere secondo Vogue Italia (e quella foto storica che abbiamo ricreato oggi)

Come è cambiata la Milano dell'arte contemporanea? Abbiamo riunito una selezione di galleristi (con molti giovani e donne) che testimoniano il dinamismo di un sistema in continua trasformazione
Galleristi Milano

I galleristi a Milano ieri e oggi: abbiamo ricreato uno scatto del 1987 per esplorare il nuovo panorama dell'arte contemporanea

Nel 1987 L’Uomo Vogue pubblica una foto di Oliviero Toscani piena di testosterone: in posa sette galleristi milanesi, giovani, serissimi e agguerriti in giacca e cravatta, con l’ambizione di provocare e rinnovare il mercato. I nomi: Claudio Guenzani, Sergio Casoli, Paolo Lavezzari, Andrea Murnik, Gió Marconi, Pasquale Leccese e Horatio Goni. Guardavano alla scena americana e a quella tedesca, c’era una commistione importante di artisti e collezionisti, e soprattutto c’era una scala umana di relazioni. Era il mondo pre-digitale, caratterizzato da un diverso senso del documentarsi. Come ricorda Claudio Guenzani – che ha chiuso la sua galleria nel 2023 «per sopraggiunti limiti di età» –, «tutto era molto più semplice e lento: non c’era internet e non si potevano mandare immagini velocemente ai giornali e ai collezionisti. Si mandavano i trasparenti 6x6 mm o 10x12 mm con le riproduzioni delle opere… costavano carissimi e nessuno li restituiva».

Nella foto di Oliviero Toscani (L’Uomo Vogue, Ottobre 1987) compaiono, da sinistra, Claudio Guenzani, Sergio Casoli, Paolo Lavezzari, Andrea Murnik, Gió Marconi, Pasquale Leccese, Horatio Goni.

C’era Flash Art e c’erano le riviste di moda che guardavano con curiosità all’arte pur non avendone né la cultura né il senso. Ricorda Francesca Kaufmann: «Quando nel 1982 Ingrid Sischy e Germano Celant pubblicavano un abito di Issey Miyake sulla copertina avevano già intuito quella commistione di linguaggi». La moda, le vetrine, le riviste e i redazionali avevano i loro strumenti di comunicazione, che in questi 40 anni l’arte ha fatto propri, fino ad arrivare a livelli parossistici come quelli attuali che, invece di rendere i due mondi più accattivanti, li hanno “disidratati”.

Oggi che il flusso delle idee corre in rete così come il mercato, aprendo orizzonti senza confini, anche la scena dei galleristi è cambiata. Con questo remake della foto del 1987 lo vogliamo documentare: nella selezione che vedete in queste pagine ci sono infatti tanti giovani e soprattutto tante donne che abbiamo riunito al Bar Basso, uno dei luoghi d’incontro preferiti dal mondo dell’arte. Da un recente censimento, 25 gallerie del contemporaneo a Milano rappresentano insieme più di 500 artisti. L’associazione culturale Milano Art Community lavora a stretto contatto con l’Assessorato alla Cultura del Comune, e quest’anno al Museo del Novecento è stato presentato il progetto Archiviale 001 a cura di Mariuccia Casadio: un riconoscimento al ruolo delle gallerie cittadine dal dopoguerra a oggi.

Della foto di Oliviero Toscani è rimasto in attività solo Gió Marconi. Sergio Casoli ha preferito la lentezza dell’isola di Filicudi; Paolo Lavezzari la scrittura; Andrea Murnik la teoria; Horatio Goni la tela e Pasquale Leccese le stelle.

Da sinistra, in piedi. Irene Crotto (Via Saterna). Raffaella Cortese (Galleria Raffaella Cortese). Tommaso Calabro (Galleria Tommaso Calabro). Federico Vavassori (Galleria Federico Vavassori). Gloria de Risi (Fanta MLN). Giulio Rampoldi e Pier Francesco Petracchi (Matta). Lodovica Busiri Vici (Vistamare). Francesco Lecci (Clima). Gió Marconi (Galleria Gió Marconi). Luca Castiglioni (Galleria Luca Castiglioni).  Da sinistra, seduti. Martina Simeti (Sps). Monica De Cardenas (Galleria Monica De Cardenas). Alessandra Minini (Francesca Minini). Tan Cheng (Le vite). Alberto Zenere (Fanta MLN). Lia Rumma (Galleria Lia Rumma). Francesca Kaufmann (Kaufmann Repetto). Benedetta Spalletti (Vistamare). Alessio Baldissera (Fanta MLN). Claudia Ciaccio ( Zero...). Clarissa Grechi (Clima).

Nato a Milano, Gió Marconi non l’ha mai lasciata e oggi gestisce un’eredità importante che potremmo chiamare Marconi & Son, dal titolo dell’opera di Richard Hamilton che lo ritrae con il padre Giorgio nella hall di un hotel ad Alba nell’autunno del 1998. La sua omonima galleria è tornata in via Tadino 15, già sede della storica corniceria fondata dal nonno, trasformata da suo padre a fine anni 60 nello Studio Marconi e poi in galleria d’arte contemporanea. Erano i tempi in cui ci si trovava ai caffè quando ancora erano gli artisti a dettare uno stile.

Ricorda Lia Rumma, nata a Voghera da una famiglia di intellettuali: «Già con mio marito Marcello negli anni 60/70 partivamo da Napoli in treno per venire al bar Jamaica. Perché lì c’erano tutti gli artisti, Manzoni, Fontana, Mulas, gli storici e i critici. Si beveva, si parlava, si fumava e si progettava… Ci sentivamo una comunità! Oggi tutto questo è scomparso». Dopo aver aperto una galleria a Napoli, nel 1999 sceglie Milano come “ritorno alle origini” e, quando nel 2006, vi inaugura un “white cube” museale, la galleria privata più grande d’Italia, all’ultimo piano vuole una veranda con una grande tavola per continuare quel rapporto umano.

Gli anni 90 segnano un momento cruciale perché nasce un sistema: c’erano le gallerie private, gli artisti, i curatori, e i collezionisti. Gli artisti plasmano nuovi codici e la ricerca si focalizza sulle grandi trasformazioni politiche e sociali. Nella rete delle gallerie entrano con forza le donne giovani, agguerrite e colte: Monica De Cardenas, che dopo studi in Svizzera torna a Milano e inaugura l’omonimo spazio in via Francesco Viganò con la mostra dell’artista tedesco Thomas Struth; Raffaella Cortese che, ancora studentessa a Brera, apre la galleria nel suo appartamento a Città Studi e dà voce ad artiste e temi critici come l’identità, politica, sociale e nazionale, il femminismo e le questioni di genere («la mia scelta di lavorare con le donne è stata una presa di posizione silenziosa negli anni in cui imperava la figura della velina», dice); la milanese Francesca Kaufmann, che ha iniziato da giovanissima come assistente di Alighiero Boetti e di Claudio Guenzani, e dopo esperienze a Colonia e New York, inaugura la sua prima galleria in via dell’Orso con una video-installazione dell’artista sudafricana Candice Breitz (dal 2005 la affianca la sorella Chiara, che oggi gestisce la sede di NY).

A loro si aggiunge una nuova generazione di galleristi che si trasferiscono a Milano. Paolo Zani, dopo aver lavorato come assistente di Massimo De Carlo, apre Zero… sovvertendo il concetto di tempo e di spazio espositivo dove espongono gli artisti. Insieme alla moglie Claudia Ciaccio, Zani ha già cambiato cinque sedi dalla prima apertura. Per Francesca Minini, figlia di Massimo, «l’arte c’è stata da quando siamo nate io e mia sorella Alessandra. Ho scelto Lambrate per aprire la galleria, un luogo in cui ancora credo. Milano oggi sta riuscendo a “tenere” qui gli artisti, creando un centro di cultura e scambio continuo. Il lavoro dei galleristi è soprattutto quello di promuovere e dare attenzione a un’arte italiana che non è riconosciuta a livello internazionale». Federico Vavassori, invece, arriva da Bergamo e dal mondo dell’organizzazione di concerti dove scopre «il privilegio di lavorare con gli artisti e di vedere una mostra non ancora inaugurata in galleria». Prima di aprire il suo spazio a Milano – «la città più connessa con il sistema internazionale dell’arte», dichiara – ne ha condiviso uno a mesi alterni con la no-profit Gasconade.

Chi sceglie Milano, oggi, lo fa per l’attrazione culturale delle numerose gallerie, delle Fondazioni come Prada, Trussardi, Hangar Bicocca, e per i raffinati capitalismi di certe capitali europee: è successo così anche a Benedetta Spalletti, padre collezionista e zio artista, che nel 2001 aveva aperto Vistamare a Pescara. «Ho avvertito che la realtà di Pescara non bastava più», spiega, «e quando ho incontrato Lodovica Busiri Vici abbiamo avviato un progetto milanese insieme». Stessa generazione ma percorso diverso quello di Martina Simeti: forse una madeleine deve averle innescato tali ricordi da convincerla a lasciare Parigi, dove lavorava all’Unesco, per tornare a Milano e aprire prima una galleria e poi SPS, un project space in via Seneca accanto allo studio del padre Turi Simeti, dove ospita artisti e designer attivi dal 1960 a oggi.

Nell’ultimo decennio il mercato su scala globale e l’uso di internet hanno rotto le tradizionali modalità di presentazione dell’arte, che diventa “immateriale”. E cambia la figura del gallerista: da dealer a manager culturale, ha studiato arte e economia, ha un master, segue gli stilisti emergenti, scommette su artisti coetanei o giovanissimi conosciuti in spazi no-profit e nelle scuole d’arte. Fa “scouting” anche in rete. E per aprire una galleria – che richiede capitale, energia e dedizione – lo fa con amici o ex colleghi. In questo modo, per esempio, nel 2016 nasce Clima: a fondarla, dopo un’esperienza a New York, è Francesco Lecci a cui si affianca l’amica Clarissa Grechi, come lui di Grosseto, che diventa socia nel 2020. Nel 2022 aprono una nuova sede in via Lazzaro Palazzi, in uno spazio emblematico dove tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta gruppi di giovani artisti autogestiti organizzavano le proprie mostre. Fanta-MLN, invece, è nata da un’idea di Gloria de Risi, Alessio Baldissera e Alberto Zenere. «Abbiamo percorsi differenti», dicono, «ma ci siamo incontrati lavorando tra il 2011 e il 2012 alla galleria Zero…; quindi nel 2015 abbiamo aperto uno spazio no-profit per dar voce ad artisti della nostra generazione, che nel 2018 si è evoluto in galleria». Come fu all’inizio per Massimo De Carlo e Paolo Zani, anche Gloria, Alessio e Alberto hanno un doppio lavoro per sostenere la galleria, che è aperta dal giovedì al sabato.

Da sinistra. In prima fila: Clarissa Grechi, Gloria de Risi, Tan Cheng, Federico Vavassori. In seconda fila: Francesco Lecci, Alessio Baldissera, Tommaso Calabro, Alberto Zenere, Luca Castiglioni, Pier Francesco Petracchi. Tutte le foto sono state scattate al Bar Basso, Milano.

Tommaso Calabro è nato negli anni 90 con una passione per il Novecento: come sede predilige palazzi storici – sceglie Milano proprio per la sua eleganza architettonica –, continuando la ricerca di galleristi come Alexander Iolas o Carlo Cardazzo. E se Milano significa Accademia di Brera, i suoi storici professori sono stati anche artisti – come Luciano Fabro, che fu docente di Irene Crocco. Racconta lei: «Mi affascinavano molti aspetti del sistema dell’arte, sia quelli teorici che economici, e ho quindi iniziato la “gavetta” nelle gallerie fino a fondare Viasaterna». Alberto Garutti, invece, fu professore di Luca Castiglioni che ricorda: «Dell’esperienza a Brera, più che l’arte sono state le persone che avevano a che fare con l’arte che mi hanno lentamente portato a farne parte e a tornare a Milano, dopo un’esperienza in Brasile, per fondare la mia galleria omonima». Anche Tan Cheng, nato in Manciuria, è stato studente dell’ultimo corso che tenne Garutti: «In Accademia conobbi quelli che sono ancora gli artisti con cui lavoro, i miei amici. Prima del suo pensionamento il professore propose, ad alcuni di noi, di prendere in affitto il magazzino sotto il suo studio in Bovisa». Nacque così Armada, un artist-run space fondato da 19 amici, che divenne per cinque anni punto di riferimento per le giovani generazioni. E dopo Armada, Cheng e gli amici più stretti hanno aperto la galleria Le vite in un garage di via Cenisio 47.

Se oggi il virtuale può essere considerato parte del reale, allora la galleria d’arte può esistere anche senza uno spazio fisico permanente. Questa è la scelta di Matta, fondata da Pier Francesco Petracchi, Giulio Rampoldi e Pietro Rossi, che si definiscono galleristi, compositori, direttori creativi e musicisti. «Il nostro obiettivo è di essere anche parte del progetto e del processo per strutturare una mostra insieme», confidano spiegando che Matta avrà sedi temporanee – perché «siamo come una band che suona in varie venue o un regista che si rapporta con set diversi, che sia una chiesa o una discoteca». E forse Alighiero Boetti aveva già capito tutto quando a Francesca Kaufmann, che nei primi anni 90 sognava di aprire una galleria, disse: «Lo spazio fisico sarà obsoleto, pensa piuttosto a uno spazio virtuale, come l’arte via fax!».

In apertura. Alcuni galleristi della giovane generazione intorno a Lia Rumma. Da sinistra: Alessio Baldissera, Pier Francesco Petracchi, Francesco Lecci, Tommaso Calabro, Giulio Rampoldi, Luca Castiglioni, Alberto Zenere. Tutte le foto sono di Andy Massaccesi. Assistente Tommaso Todisco.