Giorgio Armani compie 90 anni: queste sono le “parole che non gli hanno (ancora) detto” i suoi amici e più stretti collaboratori

Giorgio Armani spegne novanta candeline. E viene raccontato, per la prima volta, da chi lavora con lui. Aneddoti, ricordi e tantissima ammirazione: il dietro le quinte di una storia italiana, tra le più fulgide della moda
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Giorgio Armani compie 90 anni: queste sono le “parole che non gli hanno (ancora) detto” i suoi amici e più stretti collaboratori

Certe volte sono anonime le lettere d’amore più belle. “Se i baci potessero inviarsi per iscritto li leggereste con le vostre labbra ebbre”, scriveva Cyrano a Rossana, nascosto dietro alla timidezza e alla corazza di spadaccino. E nello stesso modo, alla vigilia dei novant’anni che scoccano l’11 luglio, sotto il sole che scalda un mondo di cui anch’egli è inconsumabile raggio, Giorgio Armani può prendersi questi baci senza nome, inviati da chi lavora con lui da una vita.

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Giorgio Armani chiude la sfilata del pret-a-porter femminile per la P/E 1977

Baci. Ma anche scherzi: «Il signor Armani ha il cuore e l’esuberanza di un adolescente», dice per esempio la signora incontrata negli uffici delle risorse umane, «mi raccomando però: non lo scriva per nessun motivo!». Parole libere. Senso d’ammirazione e d’insanabile soggezione anche, la soggezione bella che ti migliora. Gratitudine. Tremori. Dedizione senza tregua: «La cosa peggiore per lui? Il weekend, temo. E, in generale, non aver nulla da fare», racconta un intimo collaboratore nella sala riunioni al civico 11 di via Borgonuovo a Milano, sede storica dove il maestro (qualcuno si rivolge a lui così…) detta e ascolta, sale lo scalone d’onore disegnato da Canonica e crea sotto l’Amore trionfante affrescato da Appiani. Inoltra in bluetooth i suoi silenzi così come le nette indicazioni. Solleva lo sguardo verso le pareti bianche e prima di alzarsi dice no, questo colore non mi piace più. «Nel momento stesso in cui si chiude un progetto è subito pronto per qualcosa di nuovo, sempre “on” e disinteressato alle celebrazioni. Senza un attimo di riposo e senza il gusto di godersela, almeno per un po’», racconta L., che coordina un team di quaranta architetti e un’estate gli ha donato, con insperato successo, una statuetta africana a forma di cammello per il dammuso di Pantelleria.

Un accesso esclusivo di Vogue Italia nelle stanze dove l’impeto di un uomo scende a cascata su tante menti che si muovono all’unisono come un volo di storni. Governati da un motore immobile di cui si conosce il nome, gli occhi azzurri che parlano senza parlare, i polsi coi braccialetti da viaggiatore e le mani irsute che sentono e fanno. «Ricordo una mattina a Roma, io e lui soli. Mi disse “fermati, entriamo in chiesa”, dove restammo in silenzio per un po’. E una volta usciti, guardandomi, mi disse soltanto così: grazie». Un grazie concesso una sola volta in vent’anni. Ma «unico, vero e autentico», ricorda P., «perché è un uomo senza etichette, che ha fatto della timidezza uno stile».

Di timidezza parla anche L., la decana delle sarte che non lo chiama maestro bensì “Isso”, come se fosse un’entità fuori dal tempo e dallo spazio: «Dopo 45 anni non mi sono ancora abituata. E tutte le volte, portandogli i modelli, provo la fifa di sempre. Il terrore che qualcosa non gli piaccia e mi consideri non all’altezza», dice questa elegante signora, trasformandosi per ammirazione in una bambina. «Ma alla fine è un tenero esigente. Che nella concitazione dice “dammi le forbici” e taglia, smonta, trasforma una gonna in un abito o disegna una tasca col gessetto. Mentre con gli occhi cerca sempre la tua approvazione».

Prove dell'evento One Night Only in Bering nel 2012 - Courtesy Giorgio Armani

Giorgio Armani che pesca tessuti da una pila e con una velocità che vien prima del pensiero li lancia in aria, dicendo «con questo facciamo una giacca, con questo un pantalone e con questo un paltò». «Perché lui ha il terzo occhio ed è come se vedesse al buio. Il suo è uno sguardo d’aquila, tagliente, che s’incarna immancabilmente in un commento che ribalta tutti i giochi», ammette G., al suo fianco nell’Ufficio Stile Uomo. Un severo che risponde «ma sei una testona!!!» a qualche timida obiezione ma che in fondo le obiezioni le ama, tant’è che gli “yes man”, in azienda, non fanno molta strada. «La sua attitudine all’ascolto è assoluta», conferma un manager ai piani alti della divisione business, «una caratteristica che ti onora e ti intimorisce. Perché non si distrae mai e sulle tue parole mantiene un focus totale. Il più grande insegnamento è la sensazione, che trasmette, di essere impegnato in un processo costante di arricchimento di sé».

M., responsabile commerciale con delega ai locali, al club e alle sponsorizzazioni sportive EA7, ha la confidenza per danzare sul filo dei chiaroscuri: «Con lui ogni riunione parte in salita», dice, «ma Apollo, anche se incute paura, apprezza molto chi ha il coraggio di osare. Magari ci scazzi, anche duramente. Ma finita la riunione torna tutto come prima». Sa essere duro e morbido come le sue creazioni, insomma. Qua un bottone di metallo e là una spallina destrutturata che scivola sul corpo e sull’immaginazione: «Mi ricorda mio padre, quella generazione di uomini che hanno visto la guerra. Magari non è un tipo particolarmente espansivo ma poi ti chiama la sera tardi se ha saputo che nel tuo team qualcuno ha un problema familiare o di salute. Che ti gela dicendoti “io non ti parlo dei miei problemi e tu non farlo coi tuoi, piuttosto portami una soluzione”. Ma poi fa saltare un evento in Europa, con tutto già pagato, perché scosso dal conflitto tra Russia e Ucraina. Che ha aiutato clienti in difficoltà esposti verso l’azienda con grossi debiti. Ma allo stesso tempo una persona di cui non puoi tradire la fiducia: lì, è davvero finita».

Giorgio Armani nel backstage per la sfilata a Mosca del 2016.

Gran signora di Armani Privé nelle sale dove il maestro disegna l’alta moda, nell’antica sala da ballo di Palazzo Orsini, madama L. rammenta: «Ricordo il debutto a Parigi, nel settembre 2004. Sfilavamo alle otto del mattino in rue de Lauriston, coi macellai che scaricavano i quarti di bue nel supermercato davanti alla location. Lui? Imperturbabile. Finché vennero a complimentarsi tre icone dell’alta moda, tra cui la contessa Jacqueline de Ribes. Si trattava di un grande riconoscimento. E per la prima volta lo vidi tradire un’emozione».

Alla soglia del compleanno Armani si è aperto un po’ di più, dicono nei corridoi. È divenuto emotivamente più accessibile. Ma allo stesso tempo ancor più rigoroso in ciò che fa, nella ginnastica quotidiana, e nella rinuncia di qualche piacere a tavola: «Ha eliminato i fritti ma mantiene la passione per il cioccolato extrafondente: se gli porti quello al latte rischi la vita. Con quello bianco, t’ammazza», sorride L., mani e mente dietro Nobu e ogni iniziativa gourmet del gruppo. «Ha un palato che somiglia alle creazioni moda: pulito, essenziale e respingente degli eccessi. Quando dice “mi fai la carne che non sa di carne? Oppure un pesce che non sa di pesce?”, mi fa impazzire».

Armani nel 2003 - Foto Stefano Guindani / SGP

Emmanuel Scorcelletti

Tecnicamente invece, e umanamente anche, accessibile lo è sempre stato. La possibilità di parlargli garantita a tutti. Tant’è che molti dello staff, non solo le figure apicali, hanno trascorso le vacanze in sua compagnia. Sulla barca Maìn, che porta come nome il vezzeggiativo di sua mamma da piccina. Oppure nella casa di Saint-Tropez, o nell’amato dammuso di Pantelleria. «I compleanni li abbiamo sempre festeggiati nella villa di Broni», sorride R., venditrice del reparto donna nella boutique in via Montenapoleone. «Ci accoglieva all’ingresso con la golf car e faceva avanti e indietro finché non aveva caricato tutti. Predisponeva l’aperitivo e poi ci portava a cena in un castello. Alla fine, tornavamo a casa e ci faceva sfilare in piscina, con tanto di concorso abbinato: un anno, ho vinto il premio per il miglior portamento».

Ma oltre al senso di ospitalità c’è sempre un po’ di educazione all’“armanesimo”, negli inviti di re Giorgio. «Non è un minimalista: è un puro. Che ama quadrati e cerchi ed è sufficiente una forma ovale per fargli raddrizzare le antenne del non gradimento», racconta S., tra i deus ex machina dell’ufficio stile Armani Casa. «Una giornata al suo fianco è come un allenamento in palestra: lì per lì ti sfinisce, ma poi ne vieni fuori piena di endorfine», continua l’architetta, che spesso sale nella dimora milanese dove Armani le mostra le cose che ha comprato: scatole di lacca giapponesi, coperte, statuette prese nei mercatini o dagli antiquari di Saint-Germain a Parigi. «Un oggetto che mi ha stupefatta? Una poltrona anni Trenta rivestita di velluto leopardato. Che infatti, poi, è entrata in collezione».

C., che coordina le attività no profit della Fondazione, invece lo conosce bene e non si stupisce più: «L’ho visto reagire istantaneamente di fronte a fatti epocali: il Covid, i terremoti, le guerre, la povertà estrema dei bambini e degli anziani. Decidere di fare una sfilata in silenzio allo scoppiare di un conflitto o ripiantumare gli alberi a Milano dopo un nubifragio che li aveva sradicati. Ciò che ammiro in lui non è la capacità di decidere. Quanto piuttosto la responsabilità, di decidere». 
Sfuggita alle prove per la collezione Emporio Armani, un’altra creatura innamorata ne parla con accenti freudiani: «Lo ammiro come un dio, ma dietro alla severità sento calore paterno», si emoziona A., modella tra le predilette. «La sua disciplina mi ha messo in ordine la testa, dandomi un terreno solido e, non so, una tranquillità interiore. Con gli occhi sa dire un sì oppure un no. E anch’io, nella vita, ora so fare lo stesso. Essere una donna Armani è meglio che andare dallo psichiatra».

Backstage di Giorgio Armani Privé AI 2006 - Piero Biasion

E meglio del terapista è stato anche per M., commessa nella boutique di Milano: «Quando mi ha assunta, nel 1990, avevo vent’anni. Non stavo bene nel mio corpo e iniziai così una terapia ormonale, incontrando problemi gravi con direttrici frastornate e impreparate, in un’epoca dove l’inclusione non esisteva. Lui mi ha vista. Da lontano mi ha protetta. E ora ho la vita che volevo». 
Al suo segretario personale, Giorgio Armani una volta ha detto: «Quando arrivo in ufficio la mattina sono una pagina bianca». Che ora è piena di queste parole. Alle quali si aggiunge l’augurio di Vogue Italia. Perché sappiamo che nel mondo, caro amico e orgoglio italiano, quando qualcuno legge il nostro nome, in chiaroscuro legge sempre anche il tuo.

In apertura: Dopo la sfilata Giorgio Armani Privé AI 2018-19 - Foto Stefano Guindani / SGP

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