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“Il resto di niente” è la mostra con cui ripensare a Napoli immaginata da Sabato de Sarno

Ha inaugurato al museo MADRE di Napoli una mostra curata da Eva Fabbris e Giovanna Manzotti dedicata alla relazione tra l'architettura e l'identità di chi la abita
il resto di niente
Tobias Zielony Overshoot 1, 2024 stampa cromogenica Courtesy dell’artista e Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli

Il resto di niente, la mostra al museo MADRE di Napoli pensata da Sabato de Sarno sull'architettura e il suo abitare

La distanza che separa Napoli e Milano è di 658 chilometri. Quando nel 2023 Eva Fabbris, vicentina, entra a fare parte del museo MADRE di Napoli come direttrice, nello stesso periodo a Milano, ovvero 658 chilometri più in là, alla direzione creativa di Gucci viene nominato Sabato de Sarno, nato a Cicciano, nel comune di Napoli. Sul suolo napoletano Eva Fabbris e Sabato de Sarno non si incrociano mai effettivamente, un incontro mancato, ma si intrattengono spesso in chiacchiere sul futuro, ma soprattutto sul presente, della città. Napoli non si somiglia mai, la sua personalità consiste nel saper cambiare d'abito in maniera repentina: se sa adattarsi ai cambiamenti, è grazie alla forte capacità immaginativa dei suoi abitanti. Anche quello che la città sta attraversando oggi è uno di questi momenti, la lunga esposizione sotto i riflettori che potrebbe portare come effetto collaterale l'overtourism, «il rischio è che la città venga disneyficata», dice Eva Fabbris, prendendo in prestito le parole dello storico dell'arte Salvatore Settis. È da una di queste conversazioni su come abitare Napoli che nasce Il resto di niente, la mostra collettiva che accoglie il ritorno del Madre dopo alcuni mesi di restauri, ideata da Sabato de Sarno e curata da Fabbris insieme alla curatrice indipendente Giovanna Manzotti.

“Il resto di niente”

Prima di diventare una mostra, Il resto di niente era il titolo di un romanzo storico di Enzo Striano che raccontava la vita Eleonora de Fonseca Pimentel, una rivoluzionaria repubblicana che ha vissuto a Napoli durante gli anni della rivoluzione del 1799 prima di morire impiccata per mano dei francesi. Si trattava, in realtà, di un pretesto per parlare delle trasformazioni sociali che ha subito in quegli anni la città. Allo stesso modo, è quello che vuole fare la mostra Il resto di niente allestita al Madre di Napoli, usando come scheletro narrativo i disegni di Aldo Loris Rossi, l'architetto che ha disegnato alcuni degli edifici che fanno parte dell'immaginario collettivo di Napoli, posto in dialogo con alcuni artisti della sua generazione, come Nanda Vigo o Franco Mazzucchelli, ma anche con artisti più giovani.

AGNESE BEDINI

Gli edifici brutalisti di Aldo Loris Rossi come scheletro della mostra

Sono gli edifici polisegnici disegnati da Aldo Loris Rossi ad aver consegnato la città alla memoria, sono apparsi in video musicali famosissimi come “9 Maggio” di Liberato, oppure scenografie di serie tv come Gomorra, come nel caso del complesso residenziale di Piazza Grandi, che nella serie è segno di speranza e riscatto, perché è la casa che Genny, il villain, compra alla famiglia cercando di riacquisire la loro fiducia. Ma è soprattutto la sua Casa del Portuale che consegna a noi l'immagine di un'architettura brutalista ora incredibilmente desiderata da fotografare e da postare su Instagram, oppure splendidamente fotografabile, come negli scatti cinematografici di Tobias Zielony. Tutti i bozzetti degli edifici sono seminati nelle varie stanze e delineano il percorso, chiedendo alle altre opere vicine di interagire e dialogare con loro. Osservando da vicino i bozzetti, sembrano realizzati da due mani diverse: Eva Fabbris spiega che è effettivamente così, alcuni dei disegni attribuiti a lui sono infatti di Donatella Mazzoleni, compagna e a sua volta bravissima architetta. Sono quelli col tratto più deciso e spesso. I primi disegni, e quindi le prime stanze, sono dedicate all'idea della progettualità, alla fase preliminare in cui vengono coccolate le idee che precedono la progettazione.

È sempre nella prima parte della mostra che troviamo le opere di Angharad Williams, riproduzioni di automobili lungo il muro che sfrecciano attraverso la città e cristallizzano sul vetro del finestrino alcuni particolari del mondo là fuori che rimangono appiccicati e finiscono per scombinare l'ordine tra interno ed esterno, quale influenza l'altro? Allo stesso modo fanno le sculture luminose di Nanda Vigo, contemporanea di Aldo Loris Rossi, che riflette sulle superfici delle cose come specchi dell'interiorità di chi le osserva.

AGNESE BEDINI

Si arriva poi alla concretezza del costruire e dell'abitare: le fotografie che Tobias Zielony ha scattato agli edifici di Aldo Loris Rossi e anche ad alcuni dei loro abitanti dialogano con un loro modellino in scala. Negli scatti alcune ragazze in primo piano fumano sigarette mentre agli edifici viene chiesto di restare nello sfondo. Chi sono? Che cosa fanno? A che classe sociale appartengono? Nonostante lo stato di conservazione precario degli edifici, continuano a raccontare un'utopia. L'ispirazione, racconta Eva Fabbris, proviene sicuramente dal mondo della fantascienza, sembrano infatti enormi navicelle spaziali. Gli anni in cui sono stati realizzati sono effettivamente quelli in cui il mondo teneva gli occhi puntati sulla Luna, il desiderio, forse, di un abitare migliore.

Sicuramente è un abitare diverso, quello del gonfiabile di Franco Mazzucchelli, artista conosciuto per la sperimentazione pionieristica con i materiali sintetici negli anni Sessanta e le installazioni spaziali pubbliche su larga scala. Occupa tutta una stanza un'opera della serie “A. to A.” (“Art to Abandon”, “Arte da Abbandonare”), costituita da sculture gonfiabili in PVC precedentemente abbandonate in qualche luogo d'interesse sociale e poi installate in spazi pubblici o in musei. Si tratta di captare le energie, e poi di liberarle. Sempre in questa stanza ritorna l'opera più fotografata del Madre, “Cara zia” di Giulio Delvè, realizzata dalla commistione delle portiere delle automobili dei Carabinieri e della Polizia, che diventano in qualche modo parte della famiglia.

Quand'è che Napoli è uguale a sé stessa?

L'ultima stanza della mostra è dedicata alle contingenze dell'abitare. Un video di Özgür Kar intitolato “A Guy Under The Influence” ritrae la figura di un ragazzo che dorme e borbotta, ripetendo tutto quello che ha sentito nel corso della giornata dagli schermi, i video di YouTube, le canzoni pop, al telegiornale. Una fotografia di Jim C. Nedd immortala alcune ombre riversate sulla strada con qualche sigaretta per terra durante i festeggiamenti per lo scudetto del Napoli nel 2023. Era questa la città che si era immaginato di dover ricostruire Aldo Loris Rossi nel secondo dopoguerra? Che cosa significa abitare una città in costante metamorfosi? E quand'è che Napoli è uguale a sé stessa? Sono tutte domande a cui la mostra Il resto di niente non risponde, ma pone. Come un semaforo rosso, detta i tempi d'attesa e di riflessione, le soste e le fermate tra l'inerzia dei festeggiamenti dello scudetto, i nuovi video di Liberato, Mare Fuori e le nuove band partenopee che continuano a formarsi ogni giorno.

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