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Lele Acquarone e i suoi magici Scrapbook. Ricordi e aneddoti curiosi della giornalista di Vogue Italia in una rarissima intervista

Entriamo nell’officina creativa di Lele Acquarone, storica firma del nostro magazine. Che ci svela il suo modus operandi così originale. Fatto di illustrazioni, calligrafia e documenti fotografici
Lele Acquarone Vogue Italia
Lele Acquarone, Vogue Italia

Lele Acquarone, firma storica di Vogue Italia, ha sempre amato il potere quasi alchemico delle parole che trasformava in suggestioni visive

«Quando apro il vostro giornale, la prima cosa che cerco è lo Scrapbook di Lele Acquarone». Me lo confidò, nei primi Duemila, un giovane fotografo londinese. E le sue ragioni mi parvero subito chiare: in quelle pagine, disegnate e scritte a mano ogni mese dall’autrice, scorreva una creatività pura e perfettamente comprensibile a chi ignorava l’italiano ma desiderava una chiave di lettura per le ricerche più audaci della moda contemporanea. Spunti e suggestioni prendevano la forma di un collage caleidoscopico, e mentre un rutilante vocabolario fatto di fotografie, acquerelli e giochi di parole scorreva davanti agli occhi, l’immaginazione volava lontano. Impossibile resisterle.

Lele, che questo mese compie 85 anni, negli anni Sessanta entra nella redazione di Novità per avviarsi al giornalismo. «Eravamo in via Brera 17, le finestre affacciate su una piazzetta dove fiorivano i ciliegi», dice quando la incontro nel suo appartamento milanese, dove abita da quando ha lasciato Torino. Mi ha invitato a pranzo e, tra un ricordo e l’altro, scappa in cucina a controllare che non si bruci la frittata di spinaci.

«Di quei primi tempi conservo tanti aneddoti divertenti: per esempio, capitava che bussassero alla porta del nostro ufficio le lettrici abituali – con mia sorpresa piuttosto stagionate – in cerca dell’ufficio abbonamenti posto nell’appartamento di fronte: io, immersa nella scrittura, una volta risposi sovrappensiero a una di loro: “Non è qui, mi spiace, si trova nella pagina accanto”». Il suo talento di narratrice – una miscela d’ironia e precisione d’altri tempi –  cresce quando la rivista Novità diventa Vogue Italia. «“Ragazze, ci hanno venduto”, esclamò una collega. Era arrivata la nuova proprietà americana e con essa Franco Sartori come direttore editoriale».

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Negli anni Settanta il suo stile, prima improntato agli abiti di sartoria, cambia e include jeans, t-shirt, persino zoccoli. «Lidia Tabacchi, allora direttrice, ne fu sconcertata: “Prima ti vestivi così bene”...». A differenza del guardaroba, tuttavia, gli articoli di moda e costume restano rigorosi. Ma è nell’era Sozzani che Lele Acquarone fa il salto creativo più ardito, quello che la imprime indissolubilmente nella storia del giornale. «Le avevano riferito che ero brava a disegnare, così Franca, già nel novembre 1988, mi chiese di illustrare i miei articoli. Lo disse di getto, senza pensarci troppo. La sua dote principale, d’altronde, era l’istinto. Da quel momento, dunque, ho iniziato a realizzare anche i disegni: tutti i mesi arrivavo con molte versioni alternative e i grafici Felice Perini e Luca Stoppini – prima pazientemente, poi sempre più estenuati – mi aiutavano a scegliere quali pubblicare. “Lele, non sai quanto ci costi in psicanalista”, mi dissero una volta». Ride di gusto mentre ricorda quelle prime prove, ravvia i capelli sempre scarmigliati e torna ai fornelli per controllare le scaloppine al marsala. Poi continua. «Facevo talmente tanti disegni che spesso i fogli finivano sul pavimento dell’ufficio e nel corridoio. Una volta giunse in visita a sorpresa un pezzo grosso di Condé Nast da New York, io feci appena in tempo a sentire la sua voce che mi fiondai a terra per tirare dentro tutto!».

La dote che le sta più a cuore – «come tutti i nati sotto il segno dell’Aquario» – è il senso di libertà, che Franca Sozzani ha sempre tenuto in massima considerazione. «“Tu sei libera”, mi diceva. E io partivo per Parigi e per Londra, passavo da una sfilata all’altra in bicicletta e poi via negli showroom dei designer più interessanti, armata di macchina fotografica, per immortalare tutti gli showpieces più mirabolanti che finivano – sotto forma di istantanee o di acquerelli – nelle pagine della mia rubrica, lo Scrapbook». Una rubrica leggendaria, appunto, che non viene solo consultata con attenzione dagli appassionati, ma che la proietta velocemente nell’empireo degli illustratori più importanti del mondo, come attesta il volume Illustration Now! Fashion, di Julius Wiedemann (Taschen). Eppure Lele si schermisce. «Non ho mai avuto quella dedizione assoluta alla moda che caratterizzava, per esempio, Anna Dello Russo o Anna Piaggi. In questo mestiere è una qualità fondamentale».

Da giornalista, ad attirarla è il potere quasi alchemico delle parole. Tant’è che le sue pagine, così incredibilmente visuali, partivano sempre da un elemento verbale. «Il titolo», rivela mentre mi serve i carciofi stufati. «Si trattava di una ricerca anche materiale, perché lo realizzavo artigianalmente con elementi e colori diversi che trovavo in un certo negozio di belle arti e “loisirs créatif” a Parigi, vicino allo showroom di McQueen». Una volta risolto il titolo e scelte le foto, venivano le illustrazioni. «Le completavo all’ultimo momento e arrivavo dai grafici sempre in ritardo», ammette con un sorriso colpevole. «I testi dello Scrapbook poi li scrivevo a mano, con la mia calligrafia, insieme agli acquerelli e seguendo il contorno del disegno».

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Siamo al dolce: dopo le morbide mele al forno, Lele mi porge un vassoio di cioccolatini e marron glacé. «Una volta Franca mi disse, scherzando: “Tu potresti fare la collezione di Watanabe, ma non di Comme des Garçons”. Io pensai: “Meno male, vuol dire che almeno un po’ di buon senso mi è rimasto!». In realtà quello che ha dato agli appassionati di moda, prima di lasciare il giornale nel 2017, è molto di più del buon senso: è il gusto del gioco, tipico di molti veri creativi e così raro in un ambiente che si prende tanto sul serio.

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