INTERVISTE

Quando un corsetto protegge l'anima: il Proemio di Lorenzo Seghezzi

Da BigMama a Sanremo al premio CNMI Fashion Trust Grant 2024 fino allo spettacolo Controcorrente di “Italy Bares”: dalla sartorialità alla semantica, il valore degli abiti
Lorenzo Seghezzi
Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La Queer Revolution di Lorenzo Seghezzi è iniziata da un corsetto: l'intervista a uno dei vincitori del CNMI Fashion Trust Grant 2024.

«È una sensazione bellissima l'essere visti» aveva detto Luca Magliano con gli occhi bagnati durante la premiazione dell'LVMH Prize 2023. Nello sguardo di Lorenzo Seghezzi, tra i vincitori del CNMI Fashion Trust Grant 2024, ho riconosciuto l'eco di quelle parole. Riflette la tenacia e la tenerezza di chi sa quanto difficile sia stato arrivare ad abitare il presente senza più essere “trasparente” (da un punto di vista professionale, s'intende). Non lo si è mai davvero, ma capita che ci si convinca di esserlo quando si lavora duramente e ci si trova davanti solo vicoli ciechi. Lorenzo si prende cura di dire «grazie», sempre. A chi lo ascolta, a chi si ritrova in ciò che crea, a chi ne riconosce il valore, a chi lo supporta senza chiedere nulla indietro. I suoi ultimi mesi sono stati un turbinio di emozioni: è “iniziato” tutto sul palco di Sanremo insieme a BigMama. Avevamo già avuto modo di conoscerci, e mi aveva parlato della sua passione per i costumi teatrali. Proemio, la sua ultima collezione, è nata grazie alla collaborazione con l'associazione benefica “Italy Bares” per lo spettacolo Controcorrente, in programma il 17 e 18 maggio al Teatro Repower di Milano (in occasione della giornata mondiale contro l'omolesbobitransfobia) con l'obiettivo di sostenere ANLAIDS Lombardia. È come se un cerchio si fosse chiuso, ma il cerchio non ha un inizio né una fine. E la sua non può che essere una storia di apertura.

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi
L'intervista a Lorenzo Seghezzi

Non ci sentiamo da un po’, come stai? Mi sembra importante iniziare da qui.

Bene, è un periodo complesso ma sono molto contento, molto soddisfatto. Si sono sovrapposti progetti importanti, per cui sono piuttosto preso.

Torniamo indietro: quando hai scoperto la passione per la moda?

Da bambino ero estremamente attratto dalla cassettiera “del cucito” di mia nonna, quella in cui teneva tessuti, aghi, fili, centimetri e quant’altro. Passavo ore ad attorcigliare scampoli di stoffa, asciugamani, foulard e mi divertivo a vestire - se così si può dire - mia sorella. Ad affascinarmi è sempre stata la sartoria, più che la moda. Da adolescente però ho scoperto il corpo come strumento, e gli abiti sono diventati uno scudo per difendermi dagli attacchi di bullismo e dalle discriminazioni che subivo, una sorta di filtro della realtà. Ho capito che vestirmi in modo provocatorio mi faceva sentire protetto. E poi ho sempre avvertito l'urgenza di esprimermi attraverso una manualità artistica. Non sapevo ancora cucire ma manipolavo, costruivo, assemblavo. Nel 2016 mi sono diplomato in “Scenografia” al Liceo Artistico Statale di Brera, ma il mondo dello spettacolo, delle performance Drag e Burlesque hanno fatto sì che i miei desideri si avvicinassero alla moda. In quel momento ho scoperto che la sartoria non è solo un mondo meraviglioso (lo immaginavo già), ma anche che mi riesce molto bene.

Immagino di sapere già la risposta, ma perché venivi bullizzato?

Ho scoperto la mia sessualità molto presto, ho fatto coming out con i miei genitori quando avevo tredici anni - e quindici anni fa non era semplice come potrebbe forse esserlo oggi. Non sentirsi accettati, non essere accolti, era un’opzione da mettere in conto. Essere esplicito, nel modo di raccontarmi, mi dava sicurezza. Ero un tipo decisamente punk, avevo i capelli colorati e non uscivo mai senza borchie, strappi o scarpe dal platform altissimo. In quel modo sentivo di essere in una posizione diversa, di pormi in maniera “aggressiva” e non remissiva. In realtà è un po' quello che faccio anche oggi, attraverso gli abiti. Mi piace l'idea del capo di abbigliamento come schermo, come armatura, come scrigno di quello che abbiamo dentro. Per questo tendo a utilizzare linee che seguono e definiscono il corpo.

Efrem in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La passione per la corsetteria riflette perfettamente la tua identità come designer, ma è nata da un punto di vista sartoriale prima che semantico. Perché?

Non sapevo ancora cucire bene ma desideravo esplorare la complessità: riuscivo a malapena a realizzare gonne o pantaloni ma avevo già acquistato dei libri per capire come costruire cartamodelli più difficili. Nella sartoria occidentale, credo che nulla sia più complicato delle giacche e dei corsetti. Nessuno dava lezioni sulla corsetteria, ma per me era diventato un chiodo fisso. Mi piace il fatto che ogni passaggio - anche quelli che possono sembrare superflui o non determinanti - sia propedeutico agli altri. È stato un percorso di ricerca che mi ha portato a imparare, in piena autonomia, come fare.

Qual è la cosa più difficile che hai imparato dalla costruzione dei corsetti? E quale quella che, da un punto di vista emotivo, ti ha lasciato di più?

La risposta è la stessa per entrambe le domande: l'analisi. La costruzione di un corsetto inizia dallo studio di un corpo: si tende a pensare che sia il corsetto a delineare una fisicità, che in parte è vero, ma accade prima di tutto il contrario. Durante il lockdown, che è stato il periodo in cui più ho sperimentato e appreso, lavoravo su me stesso. Ora ho smesso, ma ho creato due manichini “su misura”.

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Credo che il “su misura” plasmi anche l'approccio umano, certamente diverso da quello che si ha rispetto a taglie o capi standardizzati. È una questione di rispetto, di cura. E poi il modo in cui il corsetto aderisce alla pelle, al corpo, lo rende un oggetto più difficile da portare: custodisce una complessità che non è solo tecnica, ma anche emotiva, concettuale.

Desiderare, indossare un corsetto corrisponde al fare qualcosa per se stessi, al prendersi cura del proprio corpo, o almeno io la vedo così. Richiedere un capo “su misura”, quando magari non si è in confidenza con la sensazione di un centimetro sulla pelle, è un po' come mettersi a nudo, non letteralmente ma nel senso che i numeri implicano un confronto con la nostra intimità: non definiscono ciò che siamo ma delineano lo spazio che occupiamo. Il corsetto però crea una forma fittizia, quindi si può decidere quali numeri (e quali linee) ottenere. È una sorta di presa di posizione verso il proprio io, ed è bello assistere a momenti così personali e profondi.

Qual è stata la reazione più emozionante a cui ti sei trovato davanti?

Sicuramente quella di BigMama durante i fitting per il Festival di Sanremo 2024. L'ho vista commuoversi, videochiamare sua mamma davanti allo specchio per mostrarle tutti i passaggi che hanno portato alla realizzazione degli abiti. Ma è stato toccante anche perché, finora, è stata una delle mie più grandi soddisfazioni personali. Avevo pochissimo tempo a disposizione e non avevamo mai lavorato insieme prima, per cui non era scontato riuscire a valorizzarla. È stato bello portare un messaggio così potente sul palco più importante della televisione italiana: ricevo ancora messaggi di persone che mi raccontano di essersi finalmente sentite comprese, accettate, accolte, nel vedere risaltare una fisicità che somiglia alla loro. È motivo di estremo orgoglio per me aver portato sotto i riflettori la simbologia trans, stampandola sui suoi leggings - anche se in pochi l'hanno notata.

BigMama in Lorenzo Seghezzi per il Festival di Sanremo 2024

Styling by Azazel Cristian
Textiles by Gruppo Colombo
Tailoring assistance by Elena Brenna & Fabio Martegani

Makeup by Serena Polh - Hair by Alessandro Pompili

Jewellery by Rue Des Mille


@azazelc/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Il corsetto venne introdotto nella Corte di Francia da Caterina De’ Medici intorno al 1500, ma veniva indossato indistintamente da donne e uomini. Nel XIX secolo le signore lo utilizzavano per modellare le forme, mettere in risalto il seno e tenere una postura corretta con lo scopo di modificare il corpo per soddisfare il desiderio maschile, per cui ha iniziato a essere comunemente associato all'immaginario femminile. Oggi mi sembra di essere davanti a una sorta di Rinascimento della corsetteria: credi che la storia contemporanea ne stia cambiando l'accezione? Non credo la si possa più associare a un'idea di costrizione, né tantomeno di stereotipi.

È vero, il corsetto è sempre stato associato alla vanità femminile ma in realtà per quasi due secoli è stato utilizzato in maniera trasversale: ce n'erano persino per bambini e alcuni erano pensati per l'allattamento, per fare un esempio. Ora stiamo vivendo una sorta di rivendicazione culturale di ciò che rappresenta: lo si indossa più liberamente e si scinde il capo d'abbigliamento dai significati che gli erano stati attribuiti. E non è necessariamente legato alla sfera erotica.

Sofia & Trysha in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Lorenzo Seghezzi, come brand, nasce nel 2021. Quali sono le difficoltà più grandi che hai incontrato? Di che tipo di supporto senti di aver bisogno per crescere?

Cerco sempre di lavorare su due fronti: da un lato c'è l'aspetto commerciale, quello dei capi più facili da riprodurre in serie anche se su misura, dall'altro ci sono quelli che chiamo Love Projects, che mi consentono un'espressione artistica più ampia e faccio per passione. L'ultimo, tra questi, è stata la realizzazione dei costumi di scena per l'atto di punta di Controcorrente, uno spettacolo teatrale di beneficenza organizzato da “Italy Bares” e nato con l'obiettivo di sostenere ANLAIDS Lombardia. Parte di quei costumi è diventata la mia ultima collezione, Proemio, che ho presentato per il CNMI Fashion Trust Grant 2024. Far crescere una piccola realtà indipendente come la mia richiede grandi investimenti, che non sempre si ha la possibilità di fare. Spesso mi trovo a gestire cose per cui non ho le giuste competenze, ma faccio del mio meglio. Il mio non è stato un percorso facile, ma se tornassi indietro non cambierei nulla.

Dal backstage dello spettacolo Controcorrente di “Italy Bares”

Giovanna Marino/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Mi racconti di più su Controcorrente, lo spettacolo di “Italy Bares” in programma il 17 e 18 maggio al Teatro Repower di Milano?

“Italy Bares” è un'associazione di volontari che, collaborando per la quinta volta con ANLAIDS Lombardia, con lo spettacolo Controcorrente mira alla sensibilizzare il pubblico sugli stigmi legati all'HIV, ma affronta anche altre tematiche cruciali come la violenza di genere, la violenza di classe e la xenofobia. Sono circa 180 le persone coinvolte, e nessuno riceve compensi. A me è stato chiesto di creare i costumi per 17 ballerine e ballerini che, sul palco, metteranno in scena una mia (finta) sfilata. La collezione è pensata come un omaggio a quei designer e artisti che hanno avuto il coraggio di prendere posizione sul tema dell'HIV negli anni Novanta: Robert Mapplethorpe, Keith Haring, Jean Paul Gaultier o Gianni Versace.

Lorenzo Seghezzi durante lo spettacolo Controcorrente di “Italy Bares”

Giulia Marangoni/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Di cosa non abbiamo ancora parlato?

Del fatto che, dal mio punto di vista, non possono esistere abiti bellissimi o cuciti alla perfezione, se non veicolano un messaggio, se non hanno un valore sociale. Vorrei dare indietro tutto quello che è stato dato a me, e sento di riuscirci in qualche modo. Non abbiamo bisogno dei vestiti per coprirci o ripararci dal freddo. Abbiamo bisogno di raccontare chi siamo, qual è la nostra storia, quali sono i nostri problemi, le nostre ambizioni, le nostre difficoltà, i nostri desideri, le nostre gioie. Abbiamo bisogno di condividere, e gli abiti sono uno strumento per farlo.

Leona in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Alberto in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Tea in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Alice in Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

Dal backstage dello spettacolo Controcorrente di “Italy Bares”

Giovanna Marino/Courtesy of Lorenzo Seghezzi

La collezione Proemio di Lorenzo Seghezzi

Pietro Agostini/Courtesy of Lorenzo Seghezzi
CREDITI SCATTI COLLEZIONE “PROEMIO”
Creative direction: Lorenzo Seghezzi
Photography: Pietro Agostini
Photography assistance: Stefano Brandolini
Models: Malick Ndiaye, Carol Delgado, Elena Bendotti, Liam Paganelli
Styling: Gianluca Persia
Styling assistance: Mattia Quaglia
Makeup: Emanuele Petrini
Hair: Andrea Missiti
Video: Stefano Galli
Video assistance: Leandro Ianniello
Scenography: Lorenzo Seghezzi
Set Assistance: Miriam Pellegrin, Fabio Martegani
Location: Negus
Film Development: Yes We Scan
Textiles courtesy of Colombo Industrie Tessili Srl
Feathers courtesy of Mazzanti Piume
Collection created for Italy Bares in support of ANLAIDS Lombardia

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