We Should All Be Feminists: la nuova mostra della Galerie Dior che racconta al femminile la liaison tra arte e moda

Fino a maggio, l'istituzione parigina ospita una mostra dedicata alle artiste che hanno interpretato i canoni stilistici della maison Dior. Contribuendo a definirne l'universo femminile
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Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior

We Should All Be Feminists: la maison Dior celebra le sue artiste con una mostra a Parigi. Alla Galerie Dior fino al 13 maggio 2024

Appena oltre il passaggio illuminato attraverso il quale i visitatori entrano nella Galerie Dior, c'è una fotografia della T-shirt con la scritta "We Should All Be Feminists", capo che continua a definire l'etica di Maria Grazia Chiuri in qualità di direttore creativo dell'universo femminile Dior. Questa assertiva dichiarazione, tratta dal titolo di un libro di Chimamanda Ngozi Adichie, produce tuttavia un diverso effetto in questa immagine scattata da Brigitte Niedermair. La T-shirt, che qui riveste una tavola di legno come se si trattasse di un manichino, fa pensare più a un'opera d'arte d'assemblaggio o un'insegna improvvisata che a un capo indossato da Rihanna e Natalie Portman.

Si tratta di un'introduzione appropriata a una mostra in cui la vivente eredità di Dior è accostata a opere di artiste che esprimono questo straordinario canone di moda investendolo dei propri significati e della propria esperienza.

Dalla sua apertura nel marzo 2022, la Galerie Dior offre due volte all'anno una presentazione di creazioni d'archivio, opere d'arte, oggetti e documenti che spaziano dall'infanzia di Monsieur Dior alle collezioni presentate solo pochi mesi prima.

L'installazione curata da Elina Chauvet nella Sala dell'Atelier.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior
Un percorso dove la moda non è “oggetto” ma “soggetto”

Quest'ultima "narrazione scenografica" riunisce una serie di talenti – viventi e non – che trovano spazio nella generosa e pluralistica visione femminile della Chiuri. Alcuni artisti, come Niki de Saint Phalle, Judy Chicago e Elina Chauvet, hanno ricoperto un ruolo centrale nelle collezioni o nelle sfilate, mentre Katerina Jebb, Shourouk Rhaiem, Yuriko Takagi e Constance Guisset sono tra coloro che hanno contribuito a progetti culturali speciali.

Secondo Olivier Flaviano, direttore della Galerie, questa è la prima mostra che si dispiega in modo coerente sala dopo sala, come un filo da seguire dall'inizio alla fine. Altrettanto significativo è il fatto che la rassegna trasformi la moda, solitamente "oggetto" di mostre, ne “il soggetto”.

Se siete tra le circa 650mila persone che hanno già sperimentato l'immersione nella realtà della maison offerta dalla Galerie, tornando sul "luogo del delitto" ripercorrerete la stessa sequenza di stanze per scoprire una nuova selezione di abiti che dialogano con l'arte. Una scelta motivata anche dalla necessità di preservare pezzi troppo fragili per rimanere esposti per lunghi periodi di tempo.

Un'immagine scannografica di Katerina Jebb "conversa" con il look che ritrae.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior

Un'altra opera di Jebb accanto al relativo abito.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior

«Abbiamo l'obbligo di cambiare i pezzi ogni sei mesi, e questo ci offre l'occasione per creare una nuova prospettiva sulla storia di Dior», dice Hélène Starkman, responsabile dei progetti culturali di Dior Couture, che ci ha guidato attraverso i 13 temi dell'esposizione, tra cui “The Dior Style”, “La Parisienne” e “The 18th Century Spirit”. «La Galerie ha solo un anno e mezzo di vita, quindi è un luogo di sperimentazione straordinario. È una location parigina, un nuovo spazio per esporre le acquisizioni. Abbiamo l'opportunità di guardare più lontano e più in profondità».

Ritroviamo, sempre immersa nella penombra, una sala concepita come un giardino incantato in cui delicati rampicanti scendono dal soffitto: solo che ora ospita i pittorici ritratti di Yuriko Takagi, le cui modelle-danzatrici, rappresentate a grandezza naturale, indossano gli stessi abiti che si vedono esposti su manichini lì accanto. C'è ancora l'accurata ricostruzione dell'ufficio di Monsieur Dior al 30 di Avenue Montaigne, così come lo spazio in cui i visitatori possono sbirciare attraverso un pavimento di vetro nel vecchio atelier completo di camerini per le modelle. E c'è ancora la stanza che evoca un gran ballo, dove manichini in abiti sfarzosi sembrano personaggi in piedi su un balcone. Fino al termine di questa mostra, il 13 maggio 2024, continueranno a fronteggiare gli immensi pannelli di tessuto realizzati da Judy Chicago per la sfilata Haute Couture della primavera estate 2020.

Omaggio a Niki de Saint Phalle

Tra gli elementi più interessanti della nuova installazione, c'è una sala che stabilisce un legame tra passato e presente. In omaggio a Niki de Saint Phalle, più che alle sue sculture femminili “Nanas”, sono esposti i look di Marc Bohan, storico direttore creativo della maison dal 1961 al 1989, divenuto amico di Saint Phalle e collezionista delle sue opere, e quelli di Chuiri, che si era dichiaratamente ispirata all'artista franco-americana per la sua collezione primavera estate 2018. Le pareti si animano con i disegni di Saint Phalle e persino con le immagini di un servizio di Vogue scattato nel 1968 da Lord Snowdon, che aveva fotografato la modella diventata scultrice in un abito di velluto nero su cui spiccava un colletto di pizzo bianco.

Le pitture “a macchina” di Katerina Jebb

I ritratti scannografici di Katerina Jebb – centinaia di scansioni che vanno a comporre immagini spettrali, allo stesso tempo inquietanti e futuristiche – appaiono in quattro contesti diversi, tra cui una serie che cattura una silhouette chiave, monocromatica e impeccabilmente costruita, di ogni direttore creativo.

Una panoramica della mostra.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior

Raggiunta al telefono, Jebb ha insistito sul fatto che l'intera composizione, gli sfondi grigi, la scelta delle modelle (dalla flessuosa Camille Mervin-Leroy alla composta Setsuko Klossowska de Rola) sono parte integrante del suo processo creativo, che ha descritto come un «tentativo di dipingere con una macchina». Riferendosi alla moda, ha detto: «Non voglio che il soggetto sia un mero veicolo. Il soggetto è prezioso, ha un grande valore. Tutto risulterebbe vuoto e piatto se non fosse incarnato da una donna».

Yuriko Takagi e gli abiti in movimento

Per quanto riguarda Yuriko Takagi, la sua tecnica distintiva – per otto secondi fa muovere le danzatrici molto lentamente, quindi chiede loro di accelerare – dà vita a immagini aggraziate che illustrano il modo in cui il couturier si accosta al design. «Credo che gli abiti siano molto più belli su una persona in movimento, e Monsieur Dior parlava esattamente della stessa cosa», ha detto l'artista giapponese, che ha una formazione in design. Lavorare con la maison le ha offerto la sua prima occasione di fotografare l'Haute Couture: «È pensata per una sola persona al mondo, e quell'energia entra a far parte dell'abito. Ci sono emozioni cucite al suo interno».

Ricami rosso sangue per Elina Chauvet

La sezione più emotiva della mostra è a cura di Elina Chauvet e occupa la moderna e luminosa Sala dell'Atelier. Normalmente, le sue nicchie immacolate ospitano modelli drappeggiati su manichini. Ora immaginate quelle stesse forme dalla costruzione impeccabile ricoperte di illustrazioni e parole in ricami rossi, vividi come il sangue. Un cuore estremamente realistico, un neonato, elementi del mondo naturale, motivi ingenui e scomodi che spuntano da delicate pieghe e voluminosi fiocchi. L'artista messicana ha arruolato 16 ricamatrici per questa installazione; gli abiti hanno debuttato nella Cruise 2024 di Chiuri, mentre le giacche sono state realizzate appositamente per la mostra.

Le immagini di Yuriko Takagi illustrano l'approccio di Dior al design.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior

Chauvet ha spiegato come le battaglie affrontate dalle donne debbano essere controbilanciate da segni di speranza, parola, quest'ultima, che troviamo ricamata su un corpetto. «È importante parlare di questioni difficili», ha detto. «Ma c'è una poesia in questa estetica, e io cerco di cogliere anche la bellezza».

Il debutto di Miss Dior, 1967

Forse, l'unica sezione dissonante era la sala dedicata al prêt-à-porter Miss Dior che debuttò nel 1967 sotto la guida di Philippe Guibourgé, allora assistente di Bohan. Se i look non erano memorabili, riflettevano comunque il momento: silhouette corte e volumi leggeri che incarnavano un'attitudine da “belle ingénue", colori vivaci e prime sperimentazioni sui monogrammi.

Una borsa Lady Dior con il cuore pulsante di Joana Vasconcelos.

Photo: Adrien Dirand/ Courtesy of Christian Dior
Accessori d'artista

Quanto alla Stanza delle Meraviglie, questa è all'altezza del suo nome. Piccole vetrine che corrono da parete a parete sono piene di bizzarri gioielli scultorei disegnati da Claude Lalanne e di borse Lady Dior rivisitate da un'impressionante rosa di artiste contemporanee. Dal patchwork e dalle perline di Mickalene Thomas al cuore pulsante di Joana Vasconcelos, ogni guest artist della maison mantiene la propria identità visiva.

L'impegno di Maria Grazia Chiuri

In qualità di primo direttore creativo donna di Dior, Chiuri si è impegnata a promuovere il suo genere. Come scrive nella prefazione di Her Dior, libro pubblicato nel 2021 che ha per copertina la sopraccitata foto di Niedermair con la T-shirt, «il mio sogno, la mia aspirazione è che noi, come donne, ci guardiamo attraverso i nostri occhi». Ma c'è qualcosa di distintamente femminile nell'arte che sostiene? È Jebb a dare una risposta: «Penso che ogni cosa si rifletta nel momento in cui è stata realizzata. Se lavoriamo con maggiore sensibilità e siamo donne, allora così sia. Ma non voglio escludere gli uomini, né credo nell'arte femminista. Credo solo nell'essere fedeli alla propria arte».

La mostra We Should All Be Feminists prosegue fino al 13 maggio 2024 presso la Galerie Dior, 11 Rue François 1er, 75008 Parigi.

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Vogue USA.