Ode alle scarpe con il tacco basso: perché per essere delle “tacchettine” non ci vuole l'altezza, basta il suono
La gestualità, da vocabolario, è l’insieme dei gesti di una persona considerati come mezzo di espressione e di comunicazione sostituivi della parola. È affidata alle mani, in parte al volto, rare volte all’intera figura. Sono però cinque dita, palmo e polso ad avere il predominio sui gesti, sodalizio consacrato in parte da Bruno Munari con il Supplemento al dizionario italiano.
Nervosi, buffi, raffinati, sognanti, violenti, iracondi, volgari: i movimenti delle mani hanno un raggio d’azione capace di inglobare ogni moto non espresso verbalmente. Un gesto comunicato con le mani, differente in ciascuno popolo, ha efficacia e diffusione immediata. Sono silenziose, ma volendo possono emettere anche dei suoni, schioccano le dita o applaudono. Sono perfette, curate o no che siano, accettate universalmente come linguaggio non verbale.
Giù in fondo, all’altra estremità della persona, giace il piede. La gestualità non è affar suo, è strettamente rilegato alla dimensione operativa («Lazzaro alzati e cammina» è il primo imperativo rivolto al neo risorto) o erotico-feticista. Affusolato o nerboruto, fotografato in penombra o avvolto da calze in spugna, il piede non ha un suono. Non schiocca le dita e, una volta uscito dalle sue due zone di comfort, comunica solo con l’ausilio di una calzatura. Il suono del piede è determinato
dalla scarpa e dal suolo su cui cammina. In estate, quando non “sciabatta”, si fa ancora più silenzioso, ovattato dalla sabbia.
Ma l’estate è finita e l’equinozio è alle porte. È il capodanno pagano che abbiamo imparato ad accettare: back to school. Il sapore è quello del rientro scolastico, non universitario ma liceale, possibilmente i primi anni, quando ancora è viva la speranza di cambiare zaino per gli anni a seguire. Tempo di astucci e nuove penne, ma non di agende, quelle seguono ancora il calendario gregoriano. La mano afferra la biro e scrive o digita tasti per fissare appuntamenti, eco di aperitivi
rimandati.
Il piede, dal canto suo, si riveste ed entra in scena. Annuncia il suo rientro in ufficio facendo rumore e lo fa deliberatamente. Se l’estate ha un sapore di quiete e liberazione dal suono, settembre alza e ripristina il volume della città e della fretta riversata sulla camminata. È svanito il timore adolescenziale di fare troppo casino, scivolando sulle suole in gomma nuovissima per corridoi della scuola o lungo la navata nel pieno di una funzione religiosa.
Siamo delle “tacchettine”. Basta esercitare un rumore per esserlo, anticipare il nostro arrivo tramite suono, non necessariamente su dei tacchi a spillo, venendo meno alla definizione offertaci da Andrea Sachs nel film Il Diavolo veste Prada: «le chiamano tacchettine per il suono dei tacchi a spillo sul marmo dell'ingresso. Fanno cosi tac-tac-tac-tac-tac».
Nella cover story del numero di settembre di Vogue Italia imperversano le kitten heels, per lo più Prada, compromesso tra eleganza e comfort. In termini di misura è uno dei primissimi tacchi creati, sia per facilità di costruzione che per capacità di soddisfare il bisogno nobiliare di altezza e comodità.
La dicitura “gattina”, però, è da attribuirsi a metà del novecento, quando a portarle, nere e lucidissime, è Audrey Hepburn nel guilty pleasure della cinematografia, Colazione da Tiffany. Quello delle kitten è il primo rumore di settembre, diverso da quello dello stiletto o della zeppa.
Ogni scarpa ha un suo suono e ogni suono ha un significato, spesso associato all’autorevolezza e al potere di annunciare il proprio ingresso in scena. In una marcia militare si moltiplica ed è perfettamente sincronizzato, facendosi pesante sotto la suola carro armato dei boots. In un film horror la tensione principale non è mai visiva ma auditiva, il tacchetto della protagonista preme sempre sulle assi di legno scricchiolante per avvisarci che qualcosa sta per accadere. In Profondo
Rosso l’ombra di un omicidio è contemporaneamente accompagnata da un canto inquietante
(School at Night dei Goblin, ndr) e da un paio Mary Jane in vernice che sgattaiolano velocemente sul pavimento.
Quella tra piede e scarpa è una gestualità ben diversa da quella operata dal duo mano-parola. La fascinazione del rumore di una scarpa è dettata dal suo essere immutabile. Variano i modelli nel tempo, ma non il suono, mentre la parola, così come qualche gesto manuale, cambia quotidianamente, impegnata nella costruzione di un nuovo e accettabile vocabolario collettivo. Il suono è invisibile e può concedersi il lusso dell’eternità. Il desiderio di casa, mattone come sinonimo di immutabilità, non lo si esprime con uno schiocco di dita ma battendo tre volte le scarpette di rubini.
Cammini, corri, marci, batti, scivoli, trascini: si sente tutto. Fare rumore senza usare linguaggio verbale. Percepire l’arrivo, senza aver bisogno di vederlo o leggerlo, come per la fine dell’estate, come per l’arrivo di settembre.
CREDITI PER LE IMMAGINI DEL SERVIZIO DI COPERTINA - VOGUE ITALIA, SETTEMBRE 2023
FOTOGRAFA Carlijn Jacobs
MODELLA Angelina Kendall
STYLIST Imruh Asha
ASSISTENTE STYLIST Aroua Ammari
ASSISTENTE STYLIST Camilla Poce
ASSISTENTE STYLIST Miako Girre
MAKE-UP Thomas De Kluyver
HAIR Mustafa Yanaz
SET DESIGNER Sophear
PRODUZIONE Cinq Etoiles
- Vogue Italia presenta Angelina Kendall, cover girl del numero di Settembre, e Next Big Thing. Ecco perché…
- Le kitten heels sono le scarpe con tacco basso più raffinate e comode di sempre