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«Voglio far entrare la luce»: intervista a Seán McGirr, direttore creativo di Alexander McQueen

Incontro con il nuovo direttore creativo di Alexander McQueen. Che per la maison vede un futuro di “giocosa aggressività”. E parla di Sarah Burton e delle reazioni alla sua nomina. E poi di salute mentale e cultura giovanile. E di messaggi nascosti fra le pieghe (degli abiti)
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Photo: Pierre-Ange Carlotti

Intervista a Seán McGirr, direttore creativo Alexander McQueen: «La moda dovrebbe emozionare, ma in modo ottimistico. La tristezza e la cupezza non mi piacciono».

Il giorno fissato per la nostra intervista a Seán McGirr, nuovo direttore creativo di Alexander McQueen, manca meno di una settimana alla sua sfilata di debutto, ma e lui si trova ancora nel bel mezzo del casting. Al piano terra della sede parigina della maison, le modelle fanno la fila con i loro book, mentre scatoloni e scatoloni pieni di vestiti entrano ed escono attraverso la porta d'ingresso, tra raffiche di aria invernale che raffreddano un'atmosfera altrimenti surriscaldata. Ma al piano superiore, dove McGirr è al lavoro, tutto è tranquillo.

Giovani londinesi di ieri e di oggi

I moodboard sono addossati a una parete. Dipinti su tela di David Hammons, sculture di automobili di John Chamberlain e foto scattate dallo stesso McGirr con il suo iPhone dallo schermo crepato sono disposti in file ordinate. Qua e là si vedono immagini di giovani londinesi di un tempo e di oggi, da una Kate Moss ancora in fase Pete Doherty e una Amy Winehouse con svettante raccolto verticale e abito bustier inguinale fino a una certa Bebe Parnell, una studentessa di Oxford che il designer ha intenzione di inserire nella sua prima sfilata. Sugli scaffali fanno bella mostra file di scarpe e stivali, tra cui i caratteristici “clodhopper”, modellati sugli zoccoli dei cavalli. Sulle rastrelliere, invece, sono esposti i look selezionati: i prevedibili tartan e altri pezzi artisticamente ed elaboratamente decorati, che saranno la sorpresa della sfilata.

Tutto molto semplice, ma leggermente contorto…

«Ho iniziato studiando la collezione “Birds”», dice McGirr riferendosi alla sfilata di Lee Alexander McQueen della primavera estate 1995, che per lui è la più importante. «A piacermi è il fatto che sia tutto molto semplice, ma leggermente contorto. Qui una giacca con una spalla troppo imbottita, là un bavero che sale un po' più in alto di quanto dovrebbe… È l'idea di creare dei bei capi di sartoria e poi passarci sopra uno pneumatico per dare vita a qualcosa di nuovo. Prendere qualcosa, stravolgerlo, farlo a pezzi e vedere cosa succede».

La collezione "Birds" di Lee Alexander McQueen, primavera estate 1995.

Photo: Condé Nast Archive
Portatore di un potente linguaggio creativo

Ovviamente, il compito di McGirr è quello di introdurre un elemento di novità in Alexander McQueen. Quando la sua nomina è stata annunciata, l'amministratore delegato del brand, Gianfilippo Testa, ha dichiarato: «Sarà portatore di un potente linguaggio creativo». E quest'ultimo sarà fondamentalmente ispirato dal suo punto di vista di millennial, come conferma lui stesso: «Credo debba possedere un'energia giovanile, parlare di Londra, di questo mix di cultura giovanile che vedo sempre da queste parti». E aggiunge: «Deve provocare una reazione: questo è il DNA del marchio. McQueen è anche aggressività, ma un'aggressività giocosa».

Il nuovo McQueen? Non troppo difficile da indossare

Ci saranno anche i bumster? Questi pantaloni dalla vita così bassa da lasciare intravvedere le natiche e per i quali McQueen era famoso hanno fatto capolino da varie passerelle, questa stagione. Ma McGirr non sta facendo nulla di così letterale. Al contrario, dice di averne profondamente rielaborato un paio d'archivio: «Per me, questa ne rappresenta una versione moderna. Sono ancora super, super bassi, ma sono larghi e si portano in modo cool». Il nuovo McQueen, aggiunge, «non dovrebbe essere troppo difficile da indossare».

Questione di convinzione

Fare crescere il prêt-à-porter è un aspetto cruciale del suo lavoro. McGirr rivela che gran parte del lavoro, al momento, ruota attorno a una sneaker. Le opportunità sono molte, soprattutto per una persona sicura di sé come lui: «Ho sempre messo molta convinzione in quello che faccio», dice. «Mi sono trasferito a Londra a 17 anni, una settimana dopo aver finito la scuola, e i miei genitori mi hanno sostenuto molto, proprio perché vedevano che ero sicuro di quello che facevo».

La collezione "Birds" di Lee Alexander McQueen, primavera estate 1995.

Photo: Condé Nast Archive
Un irlandese a Londra

Oggi 35enne, McGirr era un tipico ragazzo della Londra alternativa quando McQueen è morto suicida, nel 2010: un irlandese in procinto di iscriversi alla Central Saint Martins per poter, un giorno, lavorare nella moda. “Horn of Plenty” e “Plato's Atlantis”, le ultime due sfilate di McQueen, avevano lasciato il segno: «Avevo 20 anni. È stato il mio periodo formativo, e quelle due sfilate mi hanno ispirato moltissimo. “Plato's Atlantis” era molto audace, con un messaggio così forte. Quello show ha avuto un potente effetto su di me, così come sulla cultura, con Lady Gaga e Bad Romance. È davvero entrato nel tessuto culturale».

Quegli outsider un po' pericolosi…

McGirr è cresciuto in un sobborgo di Dublino che lui definisce «piuttosto banale e convenzionale», con una coppia di genitori che lavoravano sodo: la madre infermiera e il padre meccanico (entrambi, più il fratello e la sorella minori di McGirr saranno presenti alla sfilata). «Non ho mai avuto a che fare con la moda», racconta. «A farmela conoscere è stato il cinema». Suo padre aveva una passione per Tarantino e gli ha fatto vedere Le iene e Pulp Fiction: «Questi personaggi ai margini, gli outsider, un po' pericolosi… mi sembravano davvero fantastici». Inizialmente, voleva fare il giornalista, ma poi i film gli hanno fatto capire che attraverso i vestiti si può dire quello che si vuole . «È per questo che amo così tanto McQueen», dice, «perché c'è sempre un messaggio nei vestiti».

L'esperienza dell'omofobia

È la nonna, vetrinista negli anni 50 e 60, a introdurlo all'arte della sartoria. Inizia a comprare abiti vintage e a rielaborarli, ed è lui stesso a confezionare la sua uniforme scolastica. «L'idea dell'improvvisazione: volevo dire qualcosa attraverso il modo in cui un capo si adatta al corpo», ricorda. Una volta arrivato a Londra, accetta un lavoro in un negozio di scarpe in Oxford Street, ma non dura a lungo. «Sono stato oggetto di una specie di omofobia», racconta. «Alcuni dipendenti erano un po' scortesi con me, perché sapevano che ero gay. Ho chiamato mia madre e lei mi ha detto: “Vattene da quel posto”. Così, quella sera sono andato in un bar gay e ho iniziato a lavorare lì».

Storie di affinità insulari

In seguito, grazie a un consiglio di Louise Wilson, leggendaria professoressa di fashion design della Central Saint Martins, chiede e ottiene una borsa di studio, laureandosi presso la prestigiosa scuola di moda londinese nel 2014. Quelli che erano studenti alla Saint Martins cinque o dieci anni prima di lui, come Simone Rocha, Christopher Kane e Jonathan Saunders, avevano lanciato i propri marchi subito dopo la fine degli studi, ma McGirr e i suoi coscritti si laureano dopo la Grande Recessione. La maggior parte cerca lavoro presso grandi aziende, e McGirr sceglie una delle maggiori: Fast Retailing di Tokyo, proprietaria di Uniqlo, dove collabora con Christophe Lemaire alla linea Uniqlo U. «È stato davvero stimolante vivere in Giappone», racconta. «È una cultura così diversa. Ma i giapponesi sono un popolo insulare, come gli irlandesi. E, come noi, sono un po' strani».

I designer preferiti

Dopo un periodo ad Anversa, dove lavora per Dries Van Noten, torna a Londra per unirsi al team di JW Anderson, iniziando con la collezione maschile per poi occuparsi di quella femminile e di dirigere il prêt-à-porter. Oltre allo stesso Anderson, tra gli stilisti che ammira cita John Galliano, Rick Owens e i giapponesi Junya Watanabe, Issey Miyake e Rei Kawakubo: «Persone che guardano alla realtà in modo non convenzionale», dice, «che cercano di far progredire le idee e di cambiare il modo in cui vediamo le cose».

La collezione "Birds" di Lee Alexander McQueen, primavera estate 1995.

Photo: Condé Nast Archive
Il rapporto con il nuovo team…

Del proprio approccio al lavoro dice: «Sono stato un designer per dieci anni – e lo sono ancora – e sono abituato a lavorare con team giovani e a dare molto spazio alle persone, ma mi piace anche essere coinvolto». A parte la stylist Marie Chaix e un assistente, tutti i membri del suo attuale team erano da McQueen già prima del suo arrivo, e molti di loro avevano lavorato con lo stesso Lee. «Siamo tutti entusiasti all'idea di fare qualcosa di nuovo», dice. «Penso di essere abbastanza aperto nei confronti dei creativi e di poter dare prova di una certa flessibilità. Loro cercano di capire ciò che mi piace e io cerco di capire in cosa sono davvero bravi».

… e l'approccio personale allo stile

McGirr indossa maglioni Saint James, pantaloni larghi e orecchini di diamanti che mettono in risalto i suoi occhi blu. Durante la conversazione, non perde mail il contatto visivo e si muove per lo studio con atletica disinvoltura. Pratica il nuoto e, in vista della sfilata, ha effettuato sessioni di yoga.

Una successione controversa

La nomina di McGirr ha scatenato una sorta di Sturm und Drang mediatico: un altro uomo in una posizione di rilievo nel campo del design e, quel che è peggio, proprio in quello che, fino a poco tempo prima, era stato il posto di una designer donna, Sarah Burton, già storica collaboratrice di McQueen. McGirr si dimostra rispettoso nei suoi confronti: «Il lessico di McQueen: è questo che Sarah sapeva utilizzare in modo straordinario», dice. «Ciò che faceva era caratterizzato da quella verve, ma lei ne amplificava i codici». E la sua risposta all'ondata di costernazione che il suo arrivo ha suscitato sembra in linea con il suo approccio collaborativo, quello di chi non teme di sporcarsi le mani: «Ovviamente, è molto complesso», dice. «Ma, a essere sincero, sono davvero felice e orgoglioso che il mio annuncio abbia scatenato questa discussione sulla diversità. Ho lavorato in tutto il mondo e ho sempre notato che la diversità genera creatività. Credo che sia davvero importante continuare a parlarne».

Di loghi e teschi

Il mese scorso, McGirr ha lanciato una campagna teaser scattata dall'artista Tommy Malekoff e interpretata dalle modelle Debra Shaw e Frankie Rayder, già protagoniste delle sfilate di Lee McQueen. La campagna reintroduce il logo disegnato da McQueen – quello con la C all'interno della Q – e il motivo del teschio, icona della maison. «È una sorta di gioco di parole sulle tradizioni gotiche del brand», dice il designer. «Volevo fare qualcosa di molto diretto, un po' giocoso e un po' aggressivo». La campagna ha suscitato un certo clamore in rete, come sempre accade agli esordi di una nuova direzione creativa, e i commenti sono stati contrastanti, ma, anche in questo caso, McGirr è equanime in proposito: «Sì, ha diviso un po' gli animi», ammette. «Ma penso che sia giusto così, penso che sia importante. Negli anni 90, Lee McQueen ha detto: “Preferisco che la gente lo detesti piuttosto che vederla reagire con indifferenza”. Credo che McQueen sia un po' così».

E luce sia!

Provocatore per natura, McQueen era a suo agio con l'oscurità, ma non aspettatevi lo stesso da McGirr: «La moda dovrebbe davvero emozionare le persone, ma in modo ottimistico», dice. «Non mi piacciono la tristezza, la cupezza. A essere onesti, penso che la salute mentale del mondo sia ai suoi minimi storici. Per quanto mi riguarda, si tratta di far entrare la luce. La moda dovrebbe essere in grado di evocare sentimenti un po' contorti» – all'anteprima parigina ha usato l'espressione "rough glamour" ("glamour grezzo") – «ma, allo stesso tempo, dovrebbe anche ispirarti».

Addio a Instagram

Per mantenere il proprio equilibrio, l'anno scorso ha rimosso il suo profilo da Instagram: «Mi piaceva molto averne uno», spiega, «ma poi ho deciso di abbandonare, soprattutto perché volevo rimanere concentrato sul lavoro. Penso che sia più salutare, per me, starne fuori». Inoltre, con cadenza settimanale, si sottopone a una seduta di analisi: «Mi è di grande utilità per contestualizzare e capire cosa sto cercando di fare e per riflettere profondamente sulle cose», dice, precisando che il suo analista è junghiano, non freudiano. «Mi interessa molto la mente umana, come funzioniamo, la nostra psiche, perché arriviamo alle cose... Viviamo in un mondo molto reattivo, ed è sempre interessante pensare un po' più a fondo, capire da dove nascono le cose».

Un debutto decentrato

La sua prima sfilata per McQueen, in programma sabato 2 marzo, durante la Paris Fashion Week autunno inverno 2024 2025, si svolgerà all'Olympiad, un ex mercato alimentare all'ingrosso nel cuore della Chinatown parigina. McGirr voleva qualcosa di un po' industriale e in linea con la tradizione inaugurata da McQueen di presentare le collezioni lontano dal centro borghese di Parigi. «Penso che McQueen sia stato il più grande stilista mai esistito, davvero», conclude. «Quindi, sì, è emozionante. Pensare al futuro mi riempie di entusiasmo».

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Vogue Business.