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Soffrite di social hangover? Quali sono i sintomi della “sbornia da vita sociale” e come gestirli secondo gli esperti

L'esaurimento psicofisico causato dalle interazioni sociali è un fenomeno sempre più diffuso. Come affrontarlo? Ascoltando il nostro corpo, secondo gli psicologi
social hangover
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Social hangover: il fenomeno (sempre più diffuso) della “stanchezza sociale”. Ne abbiamo parlato con alcuni esperti. Che ce ne spiegano i sintomi. E le vie d'uscita

Può sembrare paradossale che, dopo una pandemia, con il lockdown che ci ha fatto riscoprire l'importanza delle relazioni interpersonali, oggi si parli, come mai prima, del fenomeno opposto: l'affaticamento che la socializzazione può causare. In effetti, quello della “stanchezza sociale”, o “social hangover”, sta cominciando a essere un fenomeno diffuso. E ciò a dispetto del fatto che gli esseri umani siano animali sociali e, com'è scientificamente provato, abbiano bisogno di relazionarsi con i loro simili per vivere meglio e più a lungo. Si pensi, in proposito, alle cosiddette “zone blu”, le aree del pianeta con la più lunga aspettativa di vita: è stato rilevato che l'attenzione ai legami famigliari e all'amicizia è uno dei fattori che accomunano queste enclavi ad alto tasso di ultracentenari.

E tuttavia, in certi momenti, questa parte pubblica della nostra vita provoca in noi un senso di affaticamento. «La stanchezza sociale può essere definita come l'esaurimento fisico e, soprattutto, mentale che compare dopo una giornata intensa o dopo diverse interazioni con altre persone non intervallate da momenti di pausa. Il senso di saturazione e l'impellente bisogno di ritirarsi e riposare in silenzio ne sono i sintomi più comuni. Alcuni possono persino mostrare irritabilità e nervosismo», spiega la psicologa Brigida H. Madsen.

Non è una patologia

Ulteriori segnali sono «una maggiore difficoltà a concentrarsi e la sensazione che il tempo trascorso in solitudine abbia più valore di quello passato in compagnia», dice la psicologa Unai Aso, che tuttavia precisa: «In realtà, parliamo di un genere di esperienza perfettamente normale, soprattutto nel caso di persone introverse o molto sensibili».

Concorda la psicologa Bárbara Tovar, la quale sottolinea come, in linea di principio, non si tratti di un problema grave né tantomeno di una condizione patologica, bensì di uno stato d'animo che può presentarsi di tanto in tanto. «Voler prendere le distanze dal gruppo per acquisire una prospettiva su se stessi è un comportamento del tutto umano», afferma. Sarebbe preoccupante solo se portasse ad altri disturbi o se fosse una conseguenza del deterioramento della salute mentale. Di fatto, osserva la psicologa, questo tipo di stanchezza sociale è comune nei pazienti, perché la motivazione e il desiderio di socializzare richiedono equilibrio emotivo: «Quando siamo tristi o preoccupati, uno dei modi in cui reagiamo è quello di ritrarci dall'interazione con la società. Si tratta di una strategia tossica, ma comune».

Questione di carattere

Tuttavia, sebbene sia una condizione transitoria che si verifica con frequenza variabile, «è importante capire che questi stati d'animo possono anche manifestare un bisogno non soddisfatto», avverte Tovar. «Se si cerca l'isolamento, è perché si avverte una reale necessità di “riparare” le emozioni. E il modo migliore per rispondere a questa esigenza è quello di fermarsi e concedersi un po' di tempo da soli con se stessi».

Inoltre, il bisogno di disconnettersi dagli altri non è uguale per tutti, ma varia da persona a persona, né può essere misurato oggettivamente. «Occorre comprendere, accettare e rispettare il fatto che, così come non abbiamo tutti lo stesso appetito, non avvertiamo tutti lo stesso bisogno di socializzare», dice Madsen. «Nel caso delle persone più introverse, la socializzazione comporta un maggiore affaticamento mentale e, pertanto, questo senso di logoramento si manifesta prima». La psicologa pone l'accento sull'importanza di essere coerenti con le proprie esigenze, perché questo è uno dei fattori chiave del nostro benessere. «Non c'è niente di più sano che fare ciò che il nostro corpo ci chiede», dice, ribadendo l'utilità di ascoltare la propria voce interiore, un esercizio che, sottolinea, viene praticato troppo di rado.

La via della “solitudine positiva”

Quanto sopra ci porta a un altro tema, quello relativo alla “solitudine positiva” e alla necessità di cercare intenzionalmente dei momenti di connessione con noi stessi. Gli esperti invitano addirittura a farne un'abitudine. Ci si può anche limitare a qualcosa di estremamente semplice, come trascorrere una serata tranquilla a casa o dedicare un'intera giornata a se stessi.

«È utile anche concentrarsi su attività di autocura, quale può essere la lettura, l'esercizio fisico o la meditazione», consiglia Unai Aso. Oppure partire per delle vacanze da soli, praticare lo yoga o i cosiddetti “ritiri del silenzio”. «Chiunque provi questi momenti di riconnessione interiore si rende conto dei benefici che ne derivano», dice Tovar. «Soprattutto la calma e l'opportunità di risolvere questioni che spesso non riusciamo ad affrontare durante la routine quotidiana per mancanza di tempo».

Questi processi di disconnessione sociale non devono essere rigorosamente solitari, ma possono includere amici e famigliari. «Ci sono persone con le quali siamo talmente in sintonia che interagire con loro richiede un dispendio di energia molto minore rispetto a quello che comportano, invece, i rapporti con gli altri», fa notare Tovar. «Ciò detto», aggiunge, «il mio personale consiglio è quello di coltivare quegli spazi in completa solitudine».

In conclusione

In definitiva, conclude Madsen, «sebbene l'interazione sociale sia fondamentale per la salute della mente, è importante imparare a regolarsi. La nostra energia non è infinita e nessuno meglio di noi sa cosa ci serve in un determinato momento». Come per gran parte delle cose, la virtù sta nel mezzo.

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Vogue Spagna.