Anna Piaggi

Visionaria, teatrale, picassiana. Con intelligenza irriverente, ha trasformato la sua vita in un’opera d’arte. E inventato suggestioni estetiche prima impensabili
Anna Piaggi

"Ritengo di essere stata una squatter nei giornali, pianto la mia bandiera. È una sfida, non cerco l’ufficialità". Surreale, un punto esclamativo, un imperativo vivente: Anna Piaggi era nata a Milano nel 1931, ma in realtà era come se fosse arrivata da un altro pianeta, dove si respira un’aria speciale e dove probabilmente è tornata nel 2012. Sposata ad Alfa Castaldi, fotografo e protagonista della scena culturale milanese, morto nel 1995, di lui diceva: "Mi manca la sua conversazione". Visionaria, intelligente, con una grande capacità di elaborare analisi, traduttrice prima e fashion editor poi per il mensile Arianna, si esprimeva con diversi linguaggi. Contribuì al progetto di Vanity, che diresse nel 1981, spingendo la sperimentazione con l’illustratore Antonio Lopez e conducendo l’immagine in territori sconosciuti e audaci.

Presente su Vogue Italia fin dagli anni Sessanta, è però nel 1988 che crea le sue D.P. Doppie pagine di Anna Piaggi, rubrica cult che raccoglierà poi nel libro Fashion Algebra (1999). Adorata dagli stilisti e dai fotografi di tutto il mondo, ha occupato un posto d’onore dovunque andasse, tanto che nel 2006 il Victoria & Albert Museum di Londra le ha dedicato la mostra Anna Piaggi fashion-ology. Un giornale americano arrivò a trasformarla in un’unità di misura, attribuendo a vari personaggi dello spettacolo e della scena internazionale il potenziale di Piaggi, con tabella di valori e quotazioni misurate in cappellini, la sua ossessione e il suo segno distintivo. Un talento unico nel trasformarsi continuamente, pur rimanendo fedele a se stessa, scardinando concetti consolidati come bello e brutto, alto e basso. Sempre un passo in anticipo sulle tendenze, era capace di raccontare quel che si vedeva al di là delle nuvole.

Picassiana, asimmetrica, l’eterna ciocca blu, perennemente accompagnata dal suo amico Vern Lambert, con il quale condivideva la passione per la moda. Mischiava abiti di stilisti dell’establishment a quelli di sconosciuti, pronta a inventare alleanze estetiche prima impensabili. La sua teatralità non era un gesto esteriore, ma corrispondeva alla sua natura. Anna Piaggi incarnava il significato stesso di eccentricità: stare fuori dal centro. Non si stupiva di nulla, occupava lo spazio con un irriverente misto di naturalezza e regalità: "Si vive visualmente, bisogna immaginarsi sem­pre come in una polaroid", affermava. Una sorta di Joseph Beuys della moda, ha fatto della sua stessa vita un’opera d’arte. Per molti inafferrabile, enigmatica, timida malgrado l’aspetto estroso. Se non ci fosse un chiaro gap temporale, si direbbe che Matisse si sia ispirato a lei per il suo Femme au chapeau.

Renata Molho, estratto da Vogue Italia, settembre 2014, n. 769, p.176