Karl Lagerfeld, lo stilista icona della moda che ha rimodernato (non solo) Chanel

Tutto quello che dovete sapere su Karl Lagerfeld, il primo direttore creativo che ha lavorato per Chloé, Fendi e Chanel
Karl Lagerfeld stilista storia biografia
Pascal Le Segretain/Getty Images

Karl Lagerfeld, lo stilista più celebre e venerato che ha dominato la moda per circa settant’anni, da Fendi e Chanel all'omonima label

Il genio della moda contemporanea che ha creato e plasmato la figura stessa del Direttore Creativo. Perché l'approccio di Karl Lagerfeld non si riduce all'applicazione moda all'interno di una collezione, ma va oltre, creando un mondo che gravita attorno alla maison da lui messa sotto la lente. La sua visione ha contribuito ad ampliare ed estendere il raggio di influenza della moda stessa abbracciando ogni altro settore, dalle celebrità alle belle arti, apportando un tocco di audacia, freschezza e irriverenza.

Basta pensare al suo approccio appena entrato in casa Chanel: eredità difficile per qualsiasi couturier, ma lui è forte delle sue idee e così è riuscito ad unire lo spirito del tempo con la sartorialità originale del “total look” - un concetto creato dalla stessa Coco Chanel - in cui i singoli capi di abbigliamento sono meno importanti rispetto agli accessori di cui vengono adornati o arricchiti.

Anche i numeri (e i ruoli ricoperti) sono impressionanti: ha mantenuto e portato avanti un carico di lavoro notevole fino alla fine. Ha firmato più di dodici collezioni all’anno per tre case di moda la cui estetica non poteva che essere più dissimile - Chanel, Fendi e il marchio omonimo – ed è stato l’unico stilista a presentare collezioni haute couture e haute fourrure a Parigi durante ogni singola stagione di collezioni. Si è spesso spostato dietro l’obiettivo fotografando e dirigendo le campagne pubblicitarie delle maison sotto la sua guida creativa o firmando editoriali di moda per le riviste più prestigiose. È stato un partner entusiasta che ha fatto da apripista al fenomeno delle collaborazioni tra moda fast-fashion e stilisti del lusso creando una collezione per H&M nel 2004 o mettendo il suo talento stilistico al servizio di una serie di marchi – dai peluche Steiff ai pianoforti a coda Steinway. È stato persino il proprietario di una libreria a Parigi. Tra i vari ruoli non si può non citare quello di padrone di Choupette, la gatta birmana come fedele compagna degli ultimi anni di vita.

Karl Lagerfeld, 1983

John van Hasselt - Corbis/Getty Images

Le muse di Karl Lagerfeld

Da Inès de la Fressange, Anna Piaggi e Amanda Harlech fino alle più recenti, come Rihanna, Kristen Stewart, Cara Delevingne e Lily-Rose Depp: i legami non sono sempre stati della stessa intensità – e apparentemente queste donne non hanno molto in comune – ma possiedono ognuna una notevole forza di carattere e una bellezza unica. Sono – stando alle sue parole – indispensabili al suo processo creativo. «Senza le mie muse, il processo sarebbe astratto e sterile», racconta a un giornalista nel 2014 «contribuiscono a dare forma ed espressione alla mia creatività».

Un instancabile lettore

Avido ricercatore e osservatore, Karl Lagerfeld ha saputo distillare e tradurre tutto ciò che vedeva, sentiva o leggeva in potenti immagini di moda. Pochi sanno che la sua biblioteca personale – composta in prevalenza da libri di fotografia e d’arte – conta ben oltre i 300.000 volumi. Un passatempo che aiutava a combattere la noia, diventando stimolo per creare e plasmare, fino a spingersi oltre i nuovi successi «Mi annoio facilmente. Il pensiero di trascorrere la mia vita a reinterpretare e rielaborare lo stesso concetto continuamente è un vero incubo», racconterà in un’intervista al Guardian nel 1985.

Lo spessore culturale è stato alla base di ogni sua visione creativa, sempre pronto a nuove sfide per combattere, quindi, la noia: un animo irrequieto che si liberava di pezzi d'arte anche faticosamente recuperati, già fonte d'ispirazione in precedenza «Uno stilista deve immaginarsi come un edificio con le antenne di una televisione, pronto a catturare le immagini di tutto ciò che accade attorno, registrarle per poi dimenticarle», confessa nel 1984 in un’intervista a Vogue America.

Gli studi in Italia e la consulenza creativa da Fendi e Chanel

Karl Lagerfeld, nome originale Karl Otto Lagerfeld, è una figura poliedrica che segna profondamente la moda del ‘900 e i primi anni 2000. La sua storia è poco conosciuta, la vita privata ancora meno, nascosta dietro a colletto inamidato, gli occhiali scuri e i guanti che descrivono un’immagine la cui esistenza va ben oltre i marchi che ha rappresentato. Nato ad Amburgo, in Germania, persino la data di nascita è incerta: la biografa Alicia Drake segna il 10 settembre del 1933, anche se molti riportano il 1935, mentre è certa la data di morte, il 19 febbraio del 2019. Già il 22 gennaio di quell’anno Chanel sfila al Grand Palais di Parigi senza Karl Lagerfeld, facendosi sostituire da Virginie Viard, suo braccio destro. Un'assenza colma di paura che ha fatto tremare gli addetti al settore.

Karl Lagerfeld vince il premio French International Wool Secretariat (al secondo posto Yves Saint Laurent)

Keystone-France/Getty Images

Ma ripercorriamo la sua storia, quando ancora adolescente arriva a Parigi nel 1952: dopo appena due anni vince il primo premio del concorso French International Wool Secretariat (ora International Woolmark Prize) grazie al design del suo cappotto (mentre il 19enne Yves Saint Laurent si aggiudica la vincita nella categoria abiti da cocktail). Nel 1955 viene assunto da Pierre Balmain, e 3 anni anni dopo diventa direttore artistico della casa di moda di Jean Patou. La dipartita nel 1963 coincide con l’allontanamento dall’alta moda; Lagerfeld è stanco di creare abbigliamento formale per ricchi. La decisione di diventare stilista di prêt-à-porter freelance è considerata allora ‘audace’, se non addirittura avventata, ma lui aveva già compreso che i tempi stavano cambiando «Sapeva che voleva fare ciò che piaceva a lui e non lavorare per un’obsoleta casa di moda» scrive Alicia Drake, autrice della biografia a lui dedicata, The Beautiful Fall.

Karl Lagerfeld, 1960

Keystone-France/Getty Images

Nel 1964 lascia la Francia per studiare storia dell'arte in Italia: sarà un periodo fondamentale per nutrire la sua anima inquieta e affamata di conoscenza, nascosta dietro a una figura imperturbabile. La sua mente è viva e ricca d'idea: disegna come freelance per più maison: Chloé (dal 1964 al 1983 e di nuovo dal 1992 al 1997), Krizia, Valentino, calzolaio Charles Jourdan e infine, nel 1967, è consulente di Fendi, chiamato per dare nuovo lustro alla linea di pellicce dell'azienda. Non lascerà più la casa di moda italiana dalla doppia “F", logo da lui stesso creato per far riferimento all'ironia giocosa dei suoi capispalla “Fun Fur”.

Karl Lagerfeld per Chloé primavera estate 1995

Stephane Cardinale - Corbis/Getty Images

Nel 1982, il Presidente di Chanel, Alain Wertheimer, invita Lagerfeld ad assumere la direzione creativa della casa di moda. L’annuncio viene accolto con sospetto circa l’idoneità di questo "styliste" tedesco – non un couturier - ad assumersi la responsabilità della guida di un monumento nazionale quale la Maison Chanel. Lagerfeld ha passato gran parte della propria carriera a criticare apertamente l’alta moda, dichiarandola un relitto degli anni 50 o definendola “pas du tout moderne”. Questa volta ha l'onere di far risplendere l'etichetta - ormai in gravi difficoltà - fondata da Mademoiselle Coco, già scomparsa nel 1971 «La gente tende a dimenticare che a un certo punto Chanel era morto e sepolto. Lo portavano solo le mogli dei medici del 16° arrondissemente. Non lo voleva più nessuno, era un caso disperato». Alle ore 15:00 del 25 gennaio 1983, solo pochi fortunati si presentano al numero 31 di rue Cambon: è quella sfilata che segna il nuovo destino di Chanel grazie a scelte audaci che re-inventano l'iconico tailleur creato da Coco, riducendo le giacche e accorciando le gonne. Non cambia i codici stilistici, anzi li utilizza con ridondanza: loghi, perle, croci e camelie per lungo tempo assenti, il creativo li utilizza per definire i look della collezione haute couture. Chanel si risolleva e Karl Lagerfeld diventa definitivamente famoso. Un anno dopo creerà il suo marchio, prima sotto il nome Lagerfeld Gallery, cambiato poi in Karl Lagerfeld.

Karl Lagerfeld per Chanel

John van Hasselt - Corbis/Getty Images

«La tradizione va maneggiata con cura in quanto può uccidere. Il rispetto non è mai stato creativo. In un certo senso, ciò che ho fatto è stato rimodernare Chanel… è un exercice de style», racconta a Vogue America nel 1984. Il rapporto tra Lagerfeld e le petites mains dell’alta moda – le sarte e gli artigiani altamente specializzati che con fare certosino danno vita agli abiti – lo hanno contraddistinto da ogni altro stilista. Nel 2003 la prima Métiers d’Art, una collezione annuale pensata appositamente per mettere in luce la straordinaria maestria e il know-how di atelier parigini storici, quali Desrues e Lesage.

Le sfilate di moda di Lagerfeld per Chanel hanno sempre dimostrato perfettamente la convinzione dello stilista per cui la moda non può esistere all’interno di una bolla. «La moda è anche un tentativo di rendere visibili alcuni aspetti invisibili della realtà del momento», scrive nel catalogo che accompagnava la sfilata di Chanel del 2005 ambientata presso il Metropolitan Museum of Art. Le sfilate di Chanel hanno rivelato sin dagli inizi una perspicace comprensione del potere dell’immagine e del concetto di promozione. I set delle sue sfilate sono divenuti leggendari: dalle modelle con bastone da hockey e tavola da surf alla più recente ambientazione a supermercato con tanto di carrelli della spesa targati Chanel. «La forza di Lagerfeld sta tanto nella sua abilità di creare un contesto quanto in quella di creare moda», confessa alla sua amica, l’ex direttrice di Vogue Paris Joan Juliet Buck nel 1979.

Il suo desiderio di riflettere i cambiamenti e gli stravolgimenti culturali non è stato esente da controversie e provocazioni. Nell’autunno inverno 1991 presenta una sfilata a tema rap e hip hop considerata osé e sgradevole per la venerabile casa di moda francese. «I rapper dicono la verità ed è proprio questo di cui abbiamo bisogno ora», afferma, con tanto di alzata di spalle, in un’intervista al termine della sfilata. Più di recente, la sfilata primavera estate 2015 che ha visto le modelle marciare in passerella con manifesti contenenti logori slogan femministi quali History is Her Story fu criticata per l’appropriazione di un messaggio politico per vendere abiti.

Karl Lagerfeld per Chanel autunno inverno 1991

Victor VIRGILE/Getty Images

È difficile identificare Karl con una specifica poetica stilistica: il lascito di Karl Lagerfeld ha meno a che fare con la sua opera e più a spartire con la direzione che ha dato alla moda e con l’instancabile curiosità intellettuale con cui lo ha fatto.

I libri su Karl Lagerfeld scelti da Vogue:

Karl di Marie Ottavi

Karl Lagerfeld. Un tedesco a Parigi di Alfons Kaiser

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