“La prima opera d’arte di cui ho memoria è la fontana Stravinsky di Niki de Saint Phalle accanto al Centre Pompidou di Parigi; credo avessi tre anni. I colori che utilizza, le sue texture, le ho assorbite in maniera inconscia fin da bambina: una realtà morbida, multiforme che è parte del nostro vocabolario di famiglia da sempre. Un’estetica alla quale non mi devo adattare, semplicemente mi appartiene”.
Margherita Missoni legge per Vogue il lavoro della grande artista americana, a lei il MoMa PS1 di New York dedica una importante retrospettiva.
Le Nanas, le sue opere più conosciute, sono donne dai contorni sinuosi che danzano gioiose come in un grande inno alla vita. Nella sua arte la figura femminile è vista come dea madre…
L’associazione con le prime statuette votive femminili è per me sempre stata immediata. I grandi volumi, i seni rigogliosi, i colori primigeni, rimandano all’archetipo della donna. Personalmente ho sempre legato la figura di Niki de Saint Phalle alla mia mamma; ancora oggi mi viene difficile riferire la sua arte a un universo maschile.
Quali altri suoi lavori ha trovato particolarmente interessanti?
Il primissimo periodo quando da autodidatta si avvicina all’arte. Mentre le Nanas sono quasi elementari, queste opere sono invece molto ricche ed elaborate, sembrano raccontare delle storie… Parto sempre da un’artista per le mie collezioni, non ho ancora fatto riferimento diretto a lei ma sicuramente ci arriverò.
Anche la fase in cui milita come unica donna nel Nouveau Réalisme è molto lontana dalle ridenti Nanas… A questo periodo appartengono gli Shooting Paintings, opere realizzate facendo esplodere sacchetti di colore che sembrano sanguinare sulla tela...
Conoscendo solo le opere più celebri non ci si aspetterebbe mai che sia stata un’artista di rottura (peraltro bellissima, aveva anche posato per Life e Harper’s Bazaar)…Ho letto che gli Shooting Paintings sono stati una forma di esorcizzazione della rabbia dovuta a un’infanzia molto dolorosa. Mi ha colpito scoprire che proprio grazie ad un approccio terapeutico all’arte Niki abbia superato i suoi traumi e rivoluzionato il suo stile.
La contaminazione di diverse forme d’arte e la combinazione di materiali eterogenei connotano il suo lavoro, è un tema che vi unisce?
In famiglia abbiamo una passione per il mosaico; uno dei suoi tanti linguaggi… Sono cresciuta in una casa dove un amico della mamma aveva decorato il camino e le porte degli ascensori con dei grandi mosaici. Uno di questi interventi era stato realizzato sulla base di un mio disegno fatto da bambina. Senza rendermene conto era molto ispirato a Niki.
Il linguaggio cambia, ma la sua arte rimane sempre fortemente politica mettendo al centro la condizione della donna, ma anche il tema dell’aids o quello razziale…
Era una donna eticamente schierata. È evidente anche dal fatto che molte delle sue figure sono nere come l’Imperatrice del Giardino dei Tarocchi in Maremma.
Questo grande parco della Toscana è il suo capolavoro: un’opera monumentale alla quale ha lavorato per una vita. Che cosa la colpisce?
Che sia un’opera da vivere, non solo da guardare. Proprio questo mi aveva stregato da bambina della fontana Stravinsky: con le sue mille forme sembrava quasi un parco giochi per grandi. Non sono mai stata ai Tarocchi, ma voglio andarci presto con i miei figli.
Il tema del gioco rimane centrale e viene istintivo collegarlo alla filosofia di Missoni…
Anche una certa leggerezza, l’arte può non essere solo sofferenza e dolore, ma anche gioia, cose belle da guardare e accoglienti. L’artista non deve necessariamente morire dannato, quello che è interessante in Saint Phalle è il percorso: se riesci a non farti condizionare dagli altri e vivi attraverso i tuoi momenti, i tuoi errori, l’arco si compie e alla fine, in maniera organica, tutto ha un senso.