Vogue incontra Iman, premiata con il Franca Sozzani Award 2019

“Un pizzico di mistero può darvi un grande potere. Fatevi desiderare”. La modella e filantropa, premiata con il Franca Sozzani Award 2019, parla a Vogue dei suoi 40 anni nella moda e del perché non smetterà mai di battersi per le cause che contano davvero
Vogue ha incontrato Iman premiata con il Franca Sozzani Award 2019

Iman non cattura semplicemente l’attenzione: avvolge la stanza con la sua presenza, in questo caso la hall del Mercer Hotel a New York. Con la nonchalance di chi si muove in territorio familiare, la super modella, 64 anni, infonde all’istante un senso di calore in uno spazio estremamente freddo. 

Questa settimana Iman è stata insignita del Franca Sozzani Award, ed è la terza donna a riceverlo: è stato istituito in memoria della direttrice di Vogue Italia scomparsa nel 2016, per premiare le imprese artistiche e l’impegno sociale delle donne di tutti i settori creativi. Il premio in passato è stato assegnato a Salma Hayek, nel 2018, e a Julianne Moore, nel 2017.

Franca Sozzani Award 2019
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“Sono onorata di essere parte dell’eredità che ci ha lasciato Franca Sozzani, e di mettere in luce quello per cui si batteva”, dice Iman a Vogue, mentre sorseggia un tè freddo. “Franca utilizzava la sua piattaforma per farci scorgere i cambiamenti della nostra società, per renderci migliori, per educarci. Aveva capito che il giornalismo di moda e la fotografia riflettono chi viene rappresentato, ma anche chi viene ignorato. Le foto di moda possono avere un impatto forte su una ragazza che sta crescendo, e sull’opinione che ha di sé. Franca era sempre in prima linea per quanto riguarda inclusione e body positivity”. 

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La cerimonia di assegnazione dei premi si è tenuta il 27 agosto al Belmond Hotel Cipriani, presentata dal figlio di Sozzani, Francesco Carrozzini, e da sua moglie Bee Shaffer. Carrozzini, che conosce Iman da molti anni, confessa di essere rimasto colpito prima di tutto dalla sua apertura mentale e dalla sua sensibilità. “Le persone con il passare degli anni diventano più testarde, non cambiano idea, credono di sapere tutto”, spiega. “Con lei invece mi sembra di parlare con qualcuno più giovane di me, perché ha così tanto entusiasmo e tanti interessi”.

Con i suoi quarant’anni di carriera nella fashion industry, Iman potrebbe facilmente fare colpo su di noi con i racconti delle serate allo Studio 54, del backstage alle sfilate di Thierry Mugler negli anni 80, degli shooting con Herb Ritts, dei fitting con Yves Saint Laurent o con svariati aneddoti sul suo matrimonio con David Bowie, durato 24 anni (quando la incontriamo indossa una catenina d’oro con scritto “David”). Ma preferisce di gran lunga raccontarci del suo impegno per organizzazioni benefiche come The Children’s Defense Fund, Action Against Hunger e Raise Hope for Congo.

“Alla fine, la cosa più importante è quello per cui ti batti, quello che puoi fare per dare una mano nella tua vita”, afferma. “E devi scegliere con intelligenza le tue cause, non puoi limitarti a dare il tuo nome a una charity, devi impegnarti di persona. E quando dico che mi voglio impegnare personalmente intendo dire che voglio lavorare sul campo, voglio conoscere come funzionano le cose nel dettaglio, e sapere posso gestirle in prima persona, per fare la differenza”.

Iman si interessa da anni di filantropia. Nata a Mogadiscio, in Somalia, nei primi anni Settanta i suoi genitori (madre ginecologa, padre diplomatico) hanno richiesto lo status di rifugiati in Kenya. “Anche allora pensavo al futuro, ma vivevo molto il momento. Ero una rifugiata, non avevo più nulla, quindi aiutare gli altri è sempre stata una priorità per me”, spiega Iman. “Le persone che mi hanno aiutato allora, quando ero una rifugiata, facevano parte di ONG. Avevo 14 anni e non avevo mai lavorato, ma parlavo tre lingue. Mi hanno assoldata come traduttrice e mi hanno insegnato a cavarmela nella vita, a sopravvivere”.

Iman in seguito ha studiato Scienze Politiche all’Università di Nairobi, dove, a 20 anni, era stata notata dai fotografi Mirella Ricciardi e Peter Beard. Con un primo portfolio realizzato da Beard, Iman era volata a New York, dove si era poi trasferita, e dove ha avuto un successo travolgente nella moda. È apparsa sulle copertine di innumerevoli riviste, è stata la musa più amata di stilisti del calibro di Gianni Versace, Calvin Klein, Issey Miyake e Halston. “Ero arrivata piena di entusiasmo in un Paese, e in un mondo, quello della moda, che mi aveva accolta. Stavo vivendo il momento più glorioso in termini di bellezza, di inclusione, di accoglienza”, ricorda Iman. “Poi tutto è cambiato, tutto è degenerato. Avevo 21 o 22 anni quando hairstylist e truccatori della mia età morivano di AIDS. Di fronte alla morte, siamo diventati tutti adulti”.

Iman racconta anche delle persone che ha perso in età più matura. “Tutti abbiamo avuto nelle nostre vite qualcuno che è morto di malattia”, dice. “Ho perso mio marito, ho perso mia madre, entrambi sono scomparsi troppo presto, e a pochi mesi l’uno dall’altra. Capire quello che possiamo fare davvero nelle nostre vite, per i miei figli, per i miei nipoti, è davvero importante”.

Quest’anno segna anche l’inizio delle attività del The Franca Sozzani Fund for Preventive Genomics presso il Brigham and Women’s Hospital di Harvard, creato per sostenere la ricerca sulla prevenzione delle malattie, a cominciare delle forme ereditarie di tumore e di patologie cardiache. Una causa che sia Carrozzini che Iman hanno molto a cuore, dal momento che sia Sozzani che Bowie hanno lottato contro il cancro. “Bowie era come mia mamma, in teoria avevano tutto a disposizione per salvarsi”, spiega Carrozzini. “Eppure, né David né mia mamma hanno potuto essere salvati. Ma le persone che amiamo continuano a vivere con noi, e noi possiamo utilizzare quello che è accaduto come l’eredità che ci hanno lasciato, un modo per cambiare il mondo”.

Iman si è ritirata ufficialmente dal mondo della moda nel 1989, ma è rimasta nel settore, con fermezza e forza, per portare un cambiamento. Nel 1993, molto prima che fosse quasi un obbligo per una modella fare anche l’imprenditrice, e che Rihanna e Pat McGrath lanciassero le loro linee trucco per le donne nere, Iman aveva rivoluzionato la beauty industry con Iman Cosmetics, oggi un business da 25 milioni di dollari all’anno. “Quando ho cominciato, non volevo seguire le politiche del settore beauty. Mi dicevano: ‘Perché non crei semplicemente prodotti dedicati solo alle donne black?’ Io guardavo video di hip-hop e non vedevo le stesse divisioni che notavo invece nella fashion industry: nei video c’erano ragazze asiatiche con i dreadlock e ragazzi che erano un miscuglio di razze. Sapevo che c’era una nuova generazione in arrivo, e Iman Cosmetics era per loro. Vedevano il mondo in modo diverso da come lo vedeva la mia generazione, a noi dicevano che il mondo era o bianco o nero, e questo crea divisioni”.

Vent’anni dopo, nel 2013, Iman ha fatto squadra con Bethann Hardison e Naomi Campbell per lanciare la Diversity Coalition, che si batteva per la diversità nella moda prima che il resto del settore iniziasse a interessarsene sul serio. “Invece di dire ‘donne di colore, io dico ‘donne con la pelle di colore”, aggiunge Iman. “E con questo intendo le donne di tutto il mondo”. 

Negli anni ha capito, dice, che nella vita non è importante essere come gli altri, ma distinguersi, e farsi sentire per le cose importanti. “Tutte le cose che credevo di volere da bambina, ora non le voglio più! Le ragazze dell’età di mia figlia vogliono tutte assomigliare alle altre. Poi cresci e pensi, andate al diavolo tutti quanti, io non voglio essere come tutti gli altri!” 

E a proposito di Lexi, la figlia 19enne di Iman e Bowie, dice “Devo ancora imparare a essere paziente. Lexi voleva uscire stasera con la mia borsa bianca di Murakami che Marc Jacobs ha creato per Louis Vuitton. La borsa è, appunto, bianca, e sta per piovere. Le ho detto ‘Non toccarla’!”

Che consiglio darebbe alle nuove generazioni? “C’è un solo stratagemma in cui credo, e no, non vi dirò di bere tanta acqua, niente cavolate del genere”, dice sorridendo, prima di abbassare la voce in modo teatrale, fino a farla diventare un sussurro. “Non dovete essere sempre presenti. State un po’ defilate. Un pizzico di mistero può darvi un grande potere. Fatevi desiderare”.