Lady Diana, oltre il mito. Vezzi ed eccentricità inedite. E gli scatti più commoventi
Ventisei anni fa moriva Lady Diana e i dettagli della sua vita continuano ad affascinare
La testa sempre un po’ chinata di lato, gli occhi grandi, liquidi, il sorriso timido, la grazia innata. La sua bellezza fragile ha gettato le basi del mito di Lady Diana, che da subito tutti cominciarono ad amare.
A ventisei anni dalll'incidente nel Tunnel dell’Alma a Parigi, la sua storia sembra appartenere a un'altra era, eppure continua ad affascinare. Grazie al tempo che ne ha lasciato emergere una visione meno idilliaca, più imperfetta e quindi più umana. E grazie al coraggio e allo spirito ribelle che hanno cambiato il volto della monarchia.
“Il mio titolo è più antico”
Anche se lavorava come maestra d’asilo quando si fidanzò con il principe Carlo e anche se si sarebbe sempre trovata più a proprio agio con la gente comune, Diana non era certo una commoner. Proveniva da una delle famiglie nobili più antiche e blasonate d’Inghilterra, e molti considerano il suo lignaggio superiore a quello della casa reale. Da 500 anni i conti Spencer si tramandano Althorp House, maestosa tenuta nel Northamptonshire che ospitava una delle più ricche collezioni d’arte private. Al duca di Edimburgo, che una volta l’aveva minacciata di toglierle il titolo, aveva risposto, ricordandogli la casata dalla quale proveniva: “Il mio titolo è più vecchio del vostro”.
Un tè a cavallo
Abbandonati dalla madre Frances, con il conte Spencer spesso assente, Diana, le sorelle e il fratello crescono ad Althorp completamente liberi e privi di regole.
Tanto che la sorella Sarah entrava in casa a cavallo per prendere il tè, alimentando quel mito dell’eccentricità dell’aristocrazia British che ha ispirato poi fotografi come Tim Walker e Bruce Weber.
Sloane Rangers, l'upper class inglese
Nel 79, diciottenne, Diana si trasferisce Knightsbridge ed entra a far parte delle Sloane Rangers: ragazze dell’upper class che incarnavano le tradizioni dell’aristocrazia British ma le declinavano in chiave moderna. Per essere Sloane bisognava vivere in campagna oppure a Kensington, avere un lavoro non troppo impegnativo, così per impegnare il tempo, in attesa di un matrimonio da fiaba. La divisa prevedeva foulards di Hermes annodato sotto le labbra, gonna di tweed, cardigan bon ton, camicie dai volants increspati e mocassini Gucci, ma senza mai esibire etichette. Anche il modo di parlare denotava l’appartenenza: parole abbreviate e vocali contratte, come raccomandava la bibbia del movimento, uscita nel 1982, l’ “Official Sloane Ranger Handbook”.
La regina nel cuore della gente
Una principessa che non sarebbe mai diventata regina, ma che voleva essere “regina dei cuori della gente”, come disse lei stessa nell’intervista bomba alla Bbc nel 1995, in cui per la prima volta rivelava al pubblico i retroscena del suo matrimonio.
Quando si affaccia sul palcoscenico del mondo, la sua propensione ad aiutare gli altri, le sue straordinarie doti di empatia e comunicazione alimentano il mito della “principessa del popolo”. Diana si avvicinava alla gente sotto la pioggia, senza temere di rovinarsi l’acconciatura (la più copiata del decennio). Lontana anni luce dal distacco con cui gli aristocratici facevano beneficenza, andava ad assistere i senzatetto sotto i ponti, e fu la prima a baciare e abbracciare gli ammalati di Aids quando si temeva che il solo contatto potesse trasmettere il contagio.
I romanzi di Barbara Cartland
All’epoca non era comune che le donne dell’aristocrazia studiassero, e Diana non fu un’eccezione. Divorava però gli stucchevoli romanzi rosa di Barbara Cartland, che accendevano le sue fantasie romantiche (il suo preferito? “Sposa del re”): la scrittrice, ironia della sorte, era la madre della detestata matrigna Raine.