Il Jamaica compie 100 anni

La storia del bar più moderno d'Italia. Un racconto per immagini
Il Jamaica compie 100 anni
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Compie 100 anni una vera istituzione milanese. Il celebre Bar Jamaica, in via Brera, apriva, infatti, i battenti nel lontano giugno 1911: modernissimo per quei tempi, essendo dotato di macchina per il caffè espresso e di telefono. Il nome “Jamaica”, però, sarebbe venuto svariati anni dopo, grazie al musicologo Giulio Confalonieri che lo battezzò così ispirandosi al fortunato film del ’39 Jamaica Inn, regia di Alfred Hitchcock. Nei primi anni del secondo dopoguerra il Jamaica, nel cuore del quartiere allora bohémien di Brera e a due passi dall’Accademia, divenne un autentico laboratorio di avanguardie artistiche. In particolare quando, nel 1948, il gestore Elio Mainini organizzò una mostra dal titolo Premio Post-Guernica, che ebbe l’adesione di protagonisti della scena creativa quali Gianni Dova, Roberto Crippa e Cesare Peverelli o ancora, Bruno Cassinari, Ernesto Treccani e Ennio Morlotti.Subito la modernità, sconcertante e inattesa, proposta dalla manifestazione, fece assurgere il locale a “Caffè degli artisti” del capoluogo lombardo, crocevia delle loro vite, teatro di confronto, di discussioni spesso accese, di furiose liti e interminabili partite a carte. Vi si riuniva un milieu diversissimo e irripetibile, che attraversa una stagione straordinaria, davvero unica della storia della Milano del Novecento. C’erano il provocatorio e giovanissimo Piero Manzoni e il grande Lucio Fontana nel suo passaggio verso l’astrazione assoluta dello spazialismo, scrittori quali Germano Lombardi e Nanni Balestrini, i poeti Ungaretti e Quasimodo, Luciano Bianciardi intento a scrivere “La vita agra”, Valerio Adami e Antonio Recalcati, poco più che ragazzi, che con le loro geometrie neo-surrealiste andavano controcorrente e abbracciavano un ritorno al figurativismo. Molti di essi non avevano il becco di un quattrino e si arrangiavano come potevano. Si praticava il credito à go-go, naturalmente. Già Benito Mussolini, direttore del Popolo d’Italia e habitué degli inizi, prima di sparire senza saldare il conto in una mattinata del 1922, aveva inaugurato la lista dei debitori illustri. Negli anni 50 era normale il baratto di dipinti in cambio di cibo. Le macchine fotografiche le si prendeva a prestito, si perdevano opere d’arte a scopa, il vino veniva segnato “a libretto”. Indulgente e curiosa mecenate, l’officiante di tutta questa trama era “Mamma Lina”, che faceva credito spesso a fondo perduto e rifiutava categoricamente, per non sfruttarne le difficoltà economiche, i quadri che i suoi artisti le offrivano come pagamento. Ma il fulcro della vita del Jamaica era il figlio di Lina, Elio Mainini, che selezionava vini ricercati e, aggiornandosi sulla stampa americana, proponeva cocktails e sperimentava su carpacci, Ceasar Salads e tartine, spinto dagli amici Arrigo Cipriani e Gualtiero Marchesi. Con Marchesi, Ettore fondò pure la prima scuola italiana per sommelier. La temperatura intellettuale, nelle sale del Jamaica impregnate di fumo e gremite di ragazze avvenenti e artisti, ebbe una sterzata fondamentale all’apparire di una nuova generazione di fotoreporter che ambivano a essere considerati artisti esattamente come i pittori e gli scultori. Una cosa ben di là da venire all’epoca. Erano Ugo Mulas (autore delle foto che pubblichiamo qui sopra, ndr), Mario Dondero, Alfa Castaldi e Guido Aristarco, guru della critica cinematografica. Una faglia che, mentre la pittura nucleare e lo spazialismo iniziavano ad affermarsi nell’art market, doveva consacrare per sempre il Jamaica come luogo nodale della vita culturale di Milano e dell’Italia. Alla fine degli anni 70, periodo che vedeva per interi pomeriggi Allen Ginsberg, poeta e portabandiera della Beat Generation USA, sui tavolini del locale, arriva anche il riconoscimento cittadino con una benemerenza ufficiale concessa dal sindaco a Mamma Lina per i suoi meriti nell’aver contribuito a dar vita a quel crogiolo di artisti e letterati che avevano fatto di Milano una capitale dei linguaggi dell’arte contemporanea. Il resto è storia. Oggi il Jamaica è affollato da tanti giovani e prediletto dai talenti del fashion e del design, attirati dal suo charme intramontabile e dal patrimonio di memorie, di leggende e aneddoti incredibili che custodisce. Alcune delle figure superstiti della sua age d’or non mancano mai di affacciarvisi, quando passano per Milano. La tradizione è portata avanti dalla moglie di Elio Mainini, Vittoria, dalla figlia Micaela e dalla nipote Carlina.