Quattro designer sudafricani visti alla Berlin Fashion Week

Dalla rivisitazione di “Alkebulan” a una riflessione sulla geometria sacra, passando per una moda sostenibile e artigianale: i designer sudafricani raccontano nuove storie sulla loro terra natia, mentre il mondo ascolta
Da sinistra Lezanne Viviers Rich Mnisi Floyd Avenue Clive Rundle
Da sinistra Lezanne Viviers, Rich Mnisi, Floyd Avenue, Clive RundlePaul Won Jeong

L’energia incalzante del design sudafricano ha contribuito a dare visibilità al talento degli stilisti di quella parte del mondo, anche grazie alla vittoria di Thebe Magugu all’LVMH Prize dello scorso anno. Inoltre, la Mercedes-Benz Fashion Week di Berlino ha aperto i battenti questa settimana mandando in passerella quattro degli stilisti africani più interessanti del momento: Rich Mnisi, Clive Rundle, Floyd Manotoano e Lezanne Viviers. L’evento soddisfa la crescente curiosità nel mondo per la creatività e il design sudafricani, consolidata dal successo di piattaforme come Design Indaba, vero punto di riferimento per il design africano a livello internazionale. «Siamo felici di valorizzare una parte del mondo che non solo è ricca di straordinario talento, ma che sta dimostrando di avere un approccio unico alla produzione naturale e sostenibile nella moda», commenta Bettina Fetzer, vice presidente marketing di Mercedes-Benz.

Mnisi crede che Magugu, suo amico da lungo tempo, e la vittoria all’LVMH Prize abbiano stimolato un importante cambiamento verso una percezione della moda africana più ampia. Non solo Magugu è il primo designer africano ad aggiudicarsi il premio, ma il suo womenswear manda un messaggio politico preciso sul suo Paese. «La vittoria di Thebe è molto significativa perché il suo lavoro non viene percepito dagli europei come estetica africana, lui crea partendo da un punto di vista sudafricano», dice Mnisi. «In molti casi quello che viene considerato come “africano” dagli europei o dagli americani è in realtà molto scontato e tipico - come le stampe africane, ad esempio - quindi è fantastico che il mondo possa finalmente vedere quello che abbiamo da offrire. L’Africa è un continente molto variegato, ed è bello che ogni storia individuale possa essere ascoltata».

Vogue ha incontrato Mnisi, Rundle, Manotoano e Viviers per capire come questa diversità ha ispirato le loro ultime collezioni.

Floyd Manotoano

Floyd Manotoano prende spunto dalla sua grande conoscenza delle sottoculture per la sua griffe di menswear, Floyd Avenue. Il designer faceva parte di The Smarteez, un gruppo di quattro stilisti di moda uomo i cui completi sgargianti hanno contribuito a dare il là a un nuovo movimento nell’arte, nella musica e nella moda a Soweto, Johannesburg. Oggi Manotoano ricorda l’apprensione della sua famiglia quando aveva manifestato il suo interesse per la moda. «Eravamo di Soweto, con un background non esattamente privilegiato», racconta. «Lavorare in ambito creativo? Si muore di fame se si lavora in ambito creativo, per questo ho scelto di studiare ingegneria». Molto presto ha lasciato gli studi per dedicarsi alla moda, e sono ormai più di dieci anni che lavora nel settore. 

Floyd Manotoano per Floyd AvenuePaul Won Jeong

L’approccio creativo di Manotoano alle sue collezioni uomo, lineari e pulite, è intuitivo, ogni capo porta a quello successivo in modo organico. Ed è un’evoluzione naturale: ad esempio, partendo da un giubbotto di jeans, disegnato pensando a chi va al lavoro in bici, ha poi creato un frac in denim. Il designer lamenta la difficoltà di procurarsi i tessuti in Africa, ma ammette che una ricerca faticosa è alla base del suo processo creativo. «È difficile trovare bei tessuti in Sudafrica», spiega Manotoano. «A noi arriva tutto quello che il resto del mondo non vuole. Quindi non puoi far altro che andare a cercarti i tessuti da solo. Una volta trovati i tessuti, la storia si racconta da sola».

Floyd AvenuePaul Won Jeong

Lezanne Viviers

La designer Lezanne Viviers, di base a Johannesburg, ha appena lanciato la sua griffe, Viviers, che testimonia il suo amore per la natura rigogliosa e per l’arte contemporanea del Sudafrica, ma anche la sua fascinazione per il simbolismo della geometria sacra e per i concetti metafisici. E tutto questo si traduce in abbinamenti sfarzosi di tessuti preziosi riccamente decorati con disegni, perline e “colori alchemici” dalle nuance dorate. Lavorando con l’artista Marlene Hettie Steyn, la designer ha immaginato abiti cut-out decorati con perline e forme scultoree, scegliendo disegni che, dice Viviers, ricordano al tempo stesso orchidee e vagine. La collezione è in edizione limitata, realizzata a mano da artigiani con un focus sulla sostenibilità. «Mi affascina il significato della geometria sacra e il modo in cui le cose sono un riflesso l’una dell’altra, in un gioco fra manifestazione fisica e anima», dice.

Paul Won Jeong

Viviers ha lanciato il suo brand nel 2019 dopo aver lavorato per otto anni come direttore creativo per Marianne Fassler. Viviers ha inaugurato anche Lotus House, uno showroom/atelier e galleria per l’arte contemporanea sudafricana con tanto di giardino e uno spazio dedicato ai «rituali e alle cerimonie celebrative». «Prendermi del tempo per osservare il mondo fa parte del mio processo creativo», racconta Viviers. «Possono essere cose anche banali, non è necessario che siano cose troppo strane, posso essere ispirata semplicemente dal fatto che sono qui, dal fatto che sono consapevole di tutto quello che succede in Sudafrica: per la strada e nella natura. Bisogna solo aprire gli occhi, essere curiosi, lasciare che queste cose ti parlino».

ViviersPaul Won Jeong

Clive Rundle

Clive Rundle, nato nello Zimbabwe e di base a Johannesburg, è un veterano del mondo della moda, anche se minimizza il suo status di “designer”. Ha aperto il suo primo negozio nel 1989 e ha sfilato nell’anno in cui è stata lanciata la South African Fashion Week, il 1998: poi Rundle ha avuto come mentore Anne Chapelle, l’investitrice belga che ha sostenuto Haider Ackermann e Ann Demeulemeester. Chapelle ha spostato Rundle e tutto il suo team in Belgio per tre mesi, e questa esperienza ha completamente cambiato l’approccio creativo di Rundle. «Nel mio team c’erano persone che provenivano dalle fasce sociali più diverse», ricorda. «Persone che non avevano mai lasciato il Paese, che non avevano mai preso un aereo, non avevano mai messo il naso fuori dalla loro città. E adesso era tutti lì, in Belgio. Un’esperienza sconvolgente dal punto di vista culturale».

Clive RundlePaul Won Jeong

Ogni look della nuova collezione di Rundle è un vero esercizio di stile nell’arte delle sovrapposizioni, la sua predilezione per le texture preziose e i caleidoscopici Anni '70 è evidente sia nei capi menswear che in quelli womenswear. «La complessità della collezione nasce in parte a partire dalla palette colori», spiega Rundle. «È interessante il fatto che abbiamo lavorato con le stesse tonalità per 30 anni in modo trasversale. Ma se oggi scelgo una nuance arancio che abbiamo usato 20 anni fa, funziona ancora».

Clive RundlePaul Won Jeong

Rich Mnisi

La straordinaria collezione di Rich Mnisi nasce dal suo desiderio di ricordare e rendere omaggio a Nwa-Mulamula, la sua bisnonna, ormai scomparsa, che non ha mai conosciuto e di cui non ha mai visto nemmeno una fotografia. «Volevo mettere in luce la sua storia, perché volevo semplicemente che la gente sapesse che è esistita», racconta. «E questa mia esigenza si è trasformata a sua volta nella volontà di raccontare la verità in modo ancora più ampio, e questo è fortemente influenzato dalla storia del Sudafrica. Ci sono moltissime storie e persone che sono state cancellate solo per il fatto che nessuno ne parlava più, nessuno le ascoltava. Ed è questa la motivazione dietro tutto quello che faccio».

Rich MnisiPaul Won Jeong

Intitolata Alkebulan - il nome originale e più antico dell’Africa - la collezione di Mnisi immagina l’Africa come se non fosse stata mai colonizzata. Per la donna, bluse in seta e gonne con plissé soleil con stampe grafiche e colour blocking; completi verdi a stampa camouflage per gli uomini, con un tocco più androgino, grazie a pantaloni bianchi a vita alta e maniche impreziosite da elaborate ruches in tulle; un abito viola è indossato con un corsetto nero con l’immagine dipinta di una donna sudafricana e la scritta “Protect us Mother”. «La collezione è il mio modo divertente e colorato di immaginare la Terra», spiega Mnisi. «Si ispira agli animali, agli alberi, ai fiori, sono questi i colori, i disegni, le proporzioni. È come se fosse vista attraverso gli occhi di un bambino».

Non solo abiti: la collezione è accompagnata dalla linea di mobili creata da Mnisi, in cui grandi divani e tavoli informi rappresentano corpi e lacrime. «La considero l’affermazione di un’Africa incontaminata», dice. «Cerco di immaginarci senza la colonizzazione, senza il dolore che il Continente ha dovuto affrontare. Siamo figli della terra».