Pino Corrias: a 30 all'ora per riprenderci le città

Matteo Salvini è sceso in campo per contrastare il limite e rivendicando la velocità. Ma non è vero che aumenta l’inquinamento, e in realtà può dimezzare gli incidenti e la mortalità
sanità pubblica

Questo articolo di Pino Corrias è pubblicato sul numero 6 di Vanity Fair in edicola fino al 6 febbraio 2024.

Abbasso le automobili in città. Nelle capitali più civili del mondo – Amsterdam, Berlino, Londra, Bruxelles, Helsinki – si va a 30 all’ora da anni. A Zurigo e Ginevra, nelle «zone d’incontro» addirittura a 20. Lo stesso a Parigi. Da noi ha cominciato Cesena a tirare il freno a mano. Poi Milano in alcune zone. E ora tocca alla rossa Bologna che lo ha imposto come limite fisso in tutta la città. Apriti cielo.
Dalla foresta pluviale dei semafori verdi è sceso di persona Salvini Matteo, re dell’Antropocene, nonché ministro dei Trasporti, a mostrare i suoi minacciosi muscoli legislativi già pronti a contrastare il divieto dettato «dall’ideologia dell’annullamento», ennesima declinazione della mollezza radical chic che si trastulla con «il diritto di sentire il canto degli uccellini». Annunciando che agirà contro questa «scocciatura» dei benpensanti sinistrorsi a tutela di chi «ogni mattina prende la macchina per andare a lavorare», circostanza esistenziale che, a sfogliare la sua biografia di arruffapopolo, conosce solo per sentito dire. L’intera destra di governo si è unita alla protesta – «la nazione non ha tempo da perdere» –, critica la lentezza come fosse il privilegio di una minoranza, si annette la velocità come già fece quel bell’uomo di Tommaso Marinetti, il futurista coi baffi, che il secolo scorso la elogiava insieme con la sinfonia molto maschile della mitragliatrice. Riuscendo a dire in poco più di una settimana di polemiche almeno tre bugie col turbo: che i 30 all’ora in città «aumentano gli ingorghi e quindi l’inquinamento», «non riducono gli incidenti», «sono un danno per tutti».
La verità viaggia nella corsia opposta. Non è vero che aumenta il traffico, tantomeno l’inquinamento. In compenso diminuisce drasticamente la gravità degli incidenti, come dimostra lo studio più ampio fatto a Londra, dove in vent’anni – tra il 1986 e il 2006 – si sono dimezzati gli incidenti e la mortalità. Non un dettaglio, visto che in Italia gli incidenti superano i 220 mila l’anno e i morti inghiottiti dalla velocità, dalla distrazione, dalla sciocca leggerezza con cui si guida, sono stati 3.159 nel 2022.
Sappiamo bene che i 30 all’ora non sono la soluzione. Abbiamo costruito le città per gli uomini e ci siamo sentiti sempre più moderni cedendole alle automobili che, accatastandosi nei loro labirinti immobili, oggi occupano l’80 per cento dello spazio su strada. Dobbiamo riprendercelo, cambiando l’intero paradigma del nostro modo di abitare. Prima di tutto smettendo di muoverci con i 1.600 chilogrammi di ferraglia addosso che sono il peso medio di una automobile, moltiplicando la mobilità pubblica, ampliando il verde, arredando ex novo i quartieri. Tornando a favorire l’economia di prossimità, i negozi, i servizi, le relazioni sociali, anziché lasciarci imprigionare a 17 all’ora (velocità media nelle grandi città) per ammucchiarci dentro ai centri commerciali, dove altro rumore, altro stress neurovisivo ci attende, prima di rimetterci tutti in fila per il ritorno, a caccia di un parcheggio sotto casa.

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