Eleonora Duse, la popstar del teatro novecentesco

A cento anni dalla scomparsa della grande attrice, una mostra a Venezia ne celebra il mito
Eleonora Duse in La Gioconda fotografia Byron 1900 ca. Archivio Duse Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione...
Eleonora Duse in La Gioconda, fotografia Byron, 1900 ca. Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione Giorgio Cini, Venezia

Consapevole, indipendente, alla perenne ricerca di nuove sfide. Per spiegarla semplice: Eleonora Duse è stata per il teatro del Novecento ciò che Taylor Swift è oggi per il pop mondiale. Unica, incomparabile. A cento anni dalla sua scomparsa, l’Istituto per il Teatro e il Melodramma ha ideato negli spazi di Palazzo Cini, a Venezia, la mostra Eleonora Duse mito contemporaneo (aperta al pubblico da oggi fino al 13 ottobre): vestiti, abiti di scena, oggetti, fotografie e documenti dimostrano perché per tutti era «la Divina».

Eleonora Duse in Antonio e Cleopatra di W. Shakespeare, fotografia di Pau Audoaurd, 1890 ca.
Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione Giorgio Cini, Venezia


Proviamo a raccontarne l’esistenza. Eleonora Duse nasce a Vigevano nel 1858, durante una tournée dei genitori, che erano attori girovaghi. La piccola Eleonora cresce sul palcoscenico: è bella, capace, seduttiva. A vent’anni è già un fenomeno della recitazione, a ventotto prende in mano la situazione e fonda la sua compagnia teatrale, la Drammatica Compagnia della Città di Roma, di cui è attrice principale e anche capocomica. Mai sarà ingaggiata da altri: per tutta la vita terrà salda la gestione della sua carriera, amministrazione finanziaria inclusa. Il salto lo compie negli anni Novanta dell’Ottocento: con intelligenza interpreta i libretti più alla moda dell’epoca (come le traduzioni dai drammi di Shakespeare di Arrigo Boito, i drammi di Ibsen, le opere di D’Annunzio) e grazie a una serie infinita di tournée, diventa una diva. È la Nora di Casa di Bambole che tutti vogliono vedere sul palco, la Cleopatra indomita e la Signora delle Camelie applaudita in ogni teatro.

Si sposa nel frattempo con Tebaldo Marchetti, da cui ha una figlia, ma l’unione dura poco perché poi conosce Gabriele D’Annunzio con cui intreccia un'altalenante relazione punteggiata da collaborazioni artistiche e feroci rotture. Per lunghi anni, stanca di tutto quel girovagare che il lavoro di attrice comportava, Eleonora Duse si ritira dalle scene, ma è abituata a un tenore di vita tale che a un certo punto deve cedere: le servono soldi e torna a recitare (nel film Cenere, tratto dal romanzo di Grazia Deledda) e poi parte per l’America per una nuova esaltante tournée. Muore a Pittsburgh nell’aprile del 1924, lasciando l’Italia sconcertata. Per Ada Negri è «la più sublime figura femminile del nostro tempo» (glielo scrive in una lettera che troviamo ora in mostra a Venezia), per Luigi Pirandello la sua arte era «la quintessenza di una verità pura e vissuta».

Lodata da Stanislavskij e Isadora Duncan, Duse è stata formidabile anche nella gestione del suo personaggio: esposti a Palazzo Cini ci sono autografi, copioni, lettere e soprattutto i suoi amatissimi abiti, tra i quali è difficile distinguere quali fossero ad uso esclusivo di scena e quali per la vita quotidiana.

Soprabito in crespo di seta realizzato da Mariano Fortuny, 1915-1920. Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione Giorgio Cini, Venezia

Soprabito in taffettà con decori nocciola realizzato da Paul Poiret, 1910 ca. Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione Giorgio Cini, Venezia

In mostra a Venezia c'è anche uno dei suoi ultimi ritratti, questo:

Ritratto di Eleonora Duse, fotografia di Arnold Genthe, 1923, Archivio Duse, Istituto per il Teatro e il Melodramma Fondazione Giorgio Cini, Venezia

Tra gli scatti in mostra, anche quello famoso del fotografo Arnold Genthe, che immortalava tutte le grandi star di passaggio da New York. Di Eleonora Duse aveva detto: «The most beautiful woman who had ever sat for me», la più bella donna ad aver mai posato per me.