Giovanni Storti: «Con Aldo e Giacomo abbiamo detto tanti no. Ho paura di chi schiaccia il dissenso»

Nel corto 154 si interfaccia con l'intelligenza artificiale, mentre qui riflette sulla carriera, sul tempo che passa e sulla libertà che dobbiamo tenerci stretta
Giovanni Storti «Con Aldo e Giacomo abbiamo detto tanti no. Ho paura di chi schiaccia il dissenso»
Aliocha Merker

Per Giovanni Storti le ferie vere non arrivano mai perché gli risulta difficile se non impossibile evitare di osservare quello che lo circonda senza trarre ispirazione per una battuta, una gag o un personaggio. «Come diceva Dino Risi, chi fa il nostro mestiere lavora anche quando guarda fuori dalla finestra», dice Storti, fresco protagonista di 154, il corto WeShort Original che sarà presentato al Giffoni Film Festival il 28 luglio e che ha a che fare con un tema che sta prendendo sempre più piede non solo nella vita di tutti i giorni ma anche nel settore artistico: la pervasività dell'intelligenza artificiale. Nel corto, diretto da due ventenni, Andrea Sbarbaro e Riccardo Copreni, Giovanni è un maestro d'asilo incaricato di istruire un avanzato prototipo di intelligenza artificiale a patto di approcciarsi a esso come se fosse un bambino. «Mi piace ogni tanto partecipare ai lavori dei giovani perché mi piace vedere come si approcciano al mondo, come lavorano e che cosa fanno», aggiunge Storti che, per questo come per in altri progetti, ha fatto a meno dei due sodali con i quali ha costruito il successo, Aldo Baglio e Giacomo Poretti.

Che cosa pensa dell'intelligenza artificiale?
«È un tema tosto, importante, che da da una parte è affascinantissimo e dall'altra molto pericoloso. Il corto racconta bene le possibilità infinite che ha l'intelligenza artificiale per portare a dei miglioramenti nei campi più disparati, come la medicina e l'istruzione, ma, allo stesso tempo, dimostra anche che può creare dei disastri nel campo delle guerre. Dipende sempre da come può essere usata e da quello che può diventare».

Pensa che possa essere pericolosa anche per il suo lavoro di scrittura?
«Non saprei. Ho visto dei racconti scritti dall'intelligenza artificiale e devo dire che sono sorprendenti, ma ho visto anche delle cose tremende, come la nostra gag del tranviere in cui parliamo perfettamente inglese. Ecco, questo può essere pericoloso».

In tutta onestà, crede che l'intelligenza artificiale potrà mai scrivere un film?
«La cosa brutta è che negli ultimi tempi la qualità delle sceneggiature e degli sketch si è molto abbassata, e che alcune persone prive di strumenti potrebbero effettivamente chiedersi la matrice di un lavoro e non riconoscerla».

Lei, nel suo piccolo, cosa fa per tenere alta la qualità?
«Dipende dalla fortuna di quello che sei e di quello che hai fatto. In questi ultimi tempi punto molto sulla consapevolezza, che penso manchi tantissimo e che è sempre in grado di fare la differenza. La consapevolezza ti dice da dove arrivano le cose che mangi, le cose che indossi e le idee che hai, è un lavoro continuo di ricerca delle fonti vere».

È sempre stato consapevole?
«Negli ultimi tempi ci sto più attento perché è importante sapere dove fanno a finire le azioni che fai».

Giovanni De Sandre

La consapevolezza c'entra un po' con la crescita. Visto che 154 è diretto da due registi Under 30, Giovanni Storti com'era giovane?
«Era un altro mondo, molto più indipendente e molto più frizzante di adesso. C'erano più possibilità di sperimentare tante cose, senza contare il fermento nell'arte e nella tecnica. Adesso questo meccanismo si è un po' appiattito, siamo in un periodo di decadenza».

In cosa eravate più liberi rispetto ai ragazzi di oggi?
«Non avevamo il telefonino: se andavi in vacanza, chiamavi se andava bene una volta ogni 15 giorni e questo ti permetteva di cavartela da solo, che è una delle cose che più manca ai giovani d'oggi».

Le sue due figlie sono state risparmiate da questa dipendenza tecnologica?
«Sì, anche se spesso le chiamo e non rispondono. Se la sono cavata, per fortuna».

Che padre è per loro in questo momento della sua vita?
«Ormai sono grandi. Sono un papà che, se serve, c'è».

Cosa voleva diventare da grande?
«Il ciabattino, un mestiere che mi appassionava molto perché per farlo contavano sia l'esperienza che la conoscenza. Ricordo ancora il mio stupore nel vedere mio padre mettersi in bocca i chiodi per poi tirarli fuori uno alla volta: all'inizio temevo che se li mangiasse. Era un processo molto lungo, tra lo spago e la passata della pece: oggi il concetto di tempo è molto cambiato, vogliamo tutto e lo vogliamo subito».

Dopo il ciabattino ha avuto altre vocazioni?
«Certo, quella del musicista, ma anche dell'acrobata. Tutti mestieri che, bene o male, abbiamo messo negli spettacoli con Aldo e Giacomo».

Quando ha capito che far ridere poteva essere la sua strada?
«Quando, insieme, abbiamo capito che riuscivamo a intrattenere gli altri, solo che non pensavamo che potesse diventare un mestiere. All'inizio seguivamo il meccanismo della strada».

Che cosa intende?
«Che vivevamo un po' la giornata: ci si incontrava, si cazzeggiava, si scherzava, si facevano lavoretti e cose così».

E poi sappiamo com'è finita: si rivede mai quando passa un suo film in tv?
«Non mi piace rivedermi perché c'è sempre qualcosa che non mi convince e che vorrei fare in maniera diversa. Alcune cose che ho fatto, però, mi fanno ancora ridere. Come il Dottor Alzheimer».

Si reputa esigente?
«Penso sempre di poter fare meglio, ma l'importante è che vada bene al pubblico».

Quando le chiedono un selfie come reagisce?
«È un po' una rottura, ma cerco di sbrigarmi contando fino a 5, così è più veloce. Mi fanno morire quelli che mi dicono di non riuscire ad andare sulla fotocamera: ma cazzo, il telefono è vostro e devo saperlo usare io?».

Lei ha mai chiesto un selfie a qualcuno?
«No, anche se ai tempi dei Telegatti ho delle foto pazzesche con personaggi come Joe Pesci e John Voight».

Potendo scegliere, a chi lo chiederebbe, invece?
«A Jeff Bridges, ma anche a Jerry Lewis e a Stanlio e Ollio, che avrei fatto carte false per conoscere».

Nella sua carriera è andato incontro a un successo strepitoso: pensa di essersi mai montato la testa?
«Il fatto di essere in tre e di venire da un'estrazione molto popolare penso che ci abbia aiutato molto. Ci sono voluti 15 anni a me e ad Aldo prima di essere veramente riconosciuti, ed è per questo che siamo sempre rimasti tranquilli».

Giovanni Storti protagonista del corto 154

In diverse occasioni, come in 154, lei recita senza Aldo e Giacomo: come la vive?
«Molto bene, anche se quando siamo in tre si crea quell'incredibile magia che è frutto di tanti anni passati insieme: qualsiasi cosa uno sbaglia o si inventi, gli altri gli vanno dietro, e penso che questo non sia replicabile in nessun'altra realtà. Per il resto, a questo punto sento di non dover dimostrare più niente a nessuno, ma è anche bello cimentarsi in cose diverse».

Che rapporto ha con il tempo che passa?
«Da una parte è una bella cosa perché ti dà più consapevolezza, ti tranquillizza e ti permette di non vivere più le cose con ansia, ma dall'altra ti indebolisce il fisico, che non è più quello di una volta».

I compleanni li festeggia?
«Non li trovo interessanti».

Ha mai sentito la pressione legata al fatto che, raggiunta una certa età, sia il caso di fermarsi?
«No, ma ogni tanto, riguardandomi e riguardandoci, il pensiero ci viene. Recentemente abbiamo evitato tante cose televisive o di altri meccanismi».

Si vede a 80 anni su un palco?
«Il teatro è molto faticoso ma magari, se ci verrà in mente qualcosa, potrebbe essere un'occasione».

C'è un tempo per tutto?
«Ovvio. In un mondo che cambia continuamente, non puoi continuare a fare sempre quello che facevi prima».

Di cosa ha paura?
«Del tentativo di schiacciare qualsiasi forma di dissenso».

Da artista, come combatte quella paura?
«Cercando di portare un po' di consapevolezza sui temi che mi piace trattare».

Le è mai capitato di autocensurarsi?
«No. È capitato che ci dicessero che alcune cose non potevano essere fatte, ma non ci siamo fortunatamente mai bloccati. Basta guardare quello che abbiamo fatto per accorgercene».

Giovanni Storti è una persona libera?
«Non completamente, come tutti. Sono libero nei limiti di quanto si possa essere libero in questo mondo».

C'è una domanda a cui si è stancato di rispondere dopo tanti anni?
«Quando arrivano delle domande a largo spettro non è facile rispondere perché non sono un tuttologo: ci vorrebbero Corrado Augias, Michele Serra, o Alessandro Bergonzoni».