Diva Futura, il film di Giulia Steigerwalt in concorso al Festival di Venezia 2024: la recensione di Vogue Italia
Oggi Riccardo Schicchi, probabilmente riderebbe di come è cambiato il mondo del porno evoluto, tra OnlyFans, accesso libero, vedi Youporn, e lui non avrebbe forse paradossalmente più peso. Lui, che invece, di quel settore all’italiana (ma non solo) fu uno dei pionieri e visionari, fondando la famosa Diva Futura, l’agenzia (in ascesa di casting e produzione, che in poco tempo diede vita e successo a personaggi come Ilona Staller (che ne fu co-fondatrice) in arte Cicciolina, Moana Pozzi (di cui fra poco, il 15 settembre, ricorrono i 30 anni dalla scomparsa, a soli 33 anni), ed Eva Henger, moglie dello stesso Chicchi, con il quale continuò a lavorare anche dopo la separazione, e che gli rimase vicino fino alla morte.
Nomi, tutti, nessun escluso, entrati di diritto nel costume (sociale) di allora e di un linguaggio. Personaggi, protagonisti e protagoniste, che a dispetto di una “violenza” che il porno impone da anni, colpa dell’accesso ad Internet, furono artefici di un modo artigianale, genuino e d’altri tempi, provando a imporre, con professionalità, storie, nudo, sesso, fascino, fantasie e bei corpi, quando la fruizione si limitava alle riviste e alle sole VHS. Ed è proprio Diva Futura, il titolo del film diretto da Giulia Louise Steigerwalt (lo vedremo in sala nel 2025), passato in concorso al Festival di Venezia 2024 mercoledì 4 settembre.
Traendo adesso spunto dal romanzo di Debora Attanasio, Non dite alla mamma che faccio la segreteria, il film torna indietro nel passato, a quel luogo, crocevia di speranze e progetti, osservandolo, e capovolgendolo, dal punto di vita femminile di chi fu segretaria per anni dello stesso Schicchi (Pietro Castellitto), qui interpretata da Barbara Ronchi, e dalle stesse che lo resero grande. Una dimensione di lavoro, oltremodo leggera (lo si vede dalle tavolate insieme nelle pause dei set, dal clima che si creò), ironica, al punto da considerare tutti parte di una bella e solida famiglia allargata.
Senza giudizi, moralismi o retorica, la pellicola analizza il settore, ma anche il dietro le quinte, le sogni, le ossessioni, la quotidianità, l’umanità di donne desiderate, ma anche desiderose di uscire allo scoperto, imporsi in altro, talvolta sottovalutate, vedi la Pozzi (si voleva candidare a sindaco di Roma), talvolta riuscite ad entrare nel meccanismo della politica (vedi Cicciolina, con i radicali). Giulia Steigerwalt non si limita solo a dirigere, crea lei stessa l’occasione di riannodare una memoria storica, e lo fa con un linguaggio semplice, quasi televisivo, ma nostalgico ed empatico.
«Volevo raccontare questo sogno, l’illusione di raggiungere la fama e nel diventare dive», dice la regista Giulia Steigerwalt in conferenza stampa. «Trovavo affascinante narrare quelle contraddizioni, che ha generato questa rivoluzione nel costume, ma la violenza, ad esempio, non era un elemento che faceva parte di questo gruppo. La violenza ha una doppia faccia, è l’animo umano, è amore e morte, in loro però c’era assenza di pudore. Qualcuno poteva pensare al porno associandolo a qualcosa di viscido, aggressivo, mentre, invece, ognuno provava a fare arte, e a rompere dei tabù».
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