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Women Dressing Women, l'evoluzione del fashion design al femminile raccontata da una mostra a New York

Dalle anonime sarte del XVII secolo alle grandi couturière del '900, fino ai talenti concettuali di oggi. Una mostra (ora prolungata) ripercorre 350 anni di moda. Creata da donne per altre donne
Women Dressing Women
Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Inaugura al Costume Institute di New York la mostra Women Dressing Women: 350 anni di moda creata da donne per altre donne. Fino al 10 marzo 2024

Women Dressing Women, la mostra che inaugura il 7 dicembre presso il Costume Institute del Metropolitan Museum di New York, potrebbe includere l'identità di genere tra i propri temi, ma a renderla interessante è soprattutto il fatto che, del genere, evita gli stereotipi. Al contrario, unisce con una sorta di fil rouge talenti della moda vissuti in epoche diverse, collegandoli alle collezioni del Met. E vale la pena notare, a questo proposito, che circa la metà degli pezzi che si possono ammirare nell'ambito della mostra non era mai stata esposta prima. «Spesso cerchiamo ciò che non abbiamo, ma in questo caso è stato affascinante guardare a ciò che era già qui e a ciò che era stato trascurato», ha dichiarato la curatrice associata del Costume Institute, Mellissa Huber, che ha organizzato la mostra insieme a Karen Van Godtsenhoven, curatrice indipendente ed ex studentessa del Costume Institute. L'espressione “nascondersi in bella vista” potrebbe essere utilizzata per descrivere, in termini generali, l'esperienza delle donne nel mondo della moda.

Una celebrazione con risvolti critici

Il modo in cui questa mostra verrà letta e accolta dal pubblico sarà sicuramente influenzato dagli eventi attuali. L'addio di Sarah Burton ad Alexander McQueen, ad esempio, ha richiamato l'attenzione sulla mancanza di donne con ruoli di leadership nell'ambito della moda di lusso. Ma, per essere chiari, la mostra non vuole essere una risposta ai recenti avvenimenti. L'idea originaria era quella di farla coincidere con il centesimo anniversario della ratifica del 19° Emendamento, che nel 1920 riconobbe alle donne il diritto di voto negli Stati Uniti. «Nel frattempo, purtroppo, le cose non sono sempre cambiate in meglio», osserva Van Godtsenhoven. «Ma all'epoca – era il 2019 – prevaleva un sentimento di celebrazione».

Un genealogia del fashion design al femminile

Il concetto di genealogia, o di una linea che attraversa la storia, è il leitmotiv della mostra, sottolinea Huber nel corso di un'anteprima, «in relazione non solo alla collezione o alla storia del nostro dipartimento, ma anche a storie sociali più ampie, a quella della stessa industria della moda e ai percorsi delle singole designer».

A sinistra. Abito da sera, Madeleine Vionnet (1876-1975) per House of Vionnet, autunno inverno 1924 25. Al centro. Giacca da sera, Elsa Schiaparelli (1890-1973) per Schiaparelli, primavera estate 1937. A destra. Abito da sera, Gabrielle Chanel (1883-1971) per la Maison Chanel.

Photo: © The Metropolitan Museum of Art

Madame Grès, Rei Kawakubo e le “Tre Grazie”

Il visitatore viene introdotto a questo concetto ancor prima di entrare nelle gallerie, che, dettaglio significativo, occupano spazi sotterranei, un rimando allo status di seconda classe solitamente attribuito dai musei alle collezioni di moda. Ad accogliere il pubblico ci sono due creazioni emblematiche, rispettivamente di Germaine Émilie Krebs (alias Madame Grès, scomparsa nel 1993) e di Rei Kawakubo: un abito plissettato in seta bianca da dea olimpica e un maglione di lana abbinato una gonna di cotone, entrambi neri. Uniche donne cui siano state dedicate mostre monografiche al Costume Institute, Grès e Kawakubo si sono accostate al design da due direzioni opposte, il classicismo e la rottura, pur mantenendo entrambe la forma femminile al centro del loro lavoro. Più oltre, si incontrano le “padrone di casa della mostra”, ovvero e le “Tre Grazie” della moda: Madeleine Vionnet, Elsa Schiaparelli e Gabrielle "Coco" Chanel. I loro lavori sono presentati in una maxi teca dotata di specchi, per offrire una vista frontale, laterale e posteriore degli abiti, una tecnica espositiva che, come spiega Van Godtsenhoven, prende spunto dal modo in cui Vionnet fotografava i suoi modelli per motivi di copyright.

Agli antipodi dell'essenzialismo, questi cinque look presentano molteplici e originali approcci al design. La moda di Chanel, slanciata e pensata per agevolare i movimenti, ha definito il modello della donna moderna. Se Vionnet si concentrava sul taglio diagonale, elaborando i suoi complessi disegni su bambole, Grès si concentrava sul drappeggio. Schiaparelli, dal canto suo, ha gettato ponti tra arte e moda, mentre uno degli aspetti chiave del lavoro di Kawakubo è l'attenzione al ma, ovvero lo spazio intorno al corpo.

Da sinistra. Abito da sera, Germaine Émilie Krebs/Madame Grès (1903-1993) per Grès. Ensemble, Rei Kawakubo (nata nel 1942) per Comme des Garçons, autunno inverno 1982 83.

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Anonymity: 1675-1900

Ci sono svariate chiavi di lettura della mostra, anche perché la cornice entro cui si dipana presenta più livelli, che spaziano dalla museologia alle strutture sociali. La prima delle quattro sezioni che la compongono riguarda l'anonimato e copre un arco temporale che va dal 1675 al 1900. La data di inizio fa riferimento alla fondazione della prima corporazione di sarte. In questo periodo, tanto gli uomini quanto le donne lavoravano con i singoli clienti a livello locale, di solito adattando le tendenze piuttosto che stabilendole. A parte rare eccezioni – si pensi alla sarta di Maria Antonietta, Rose Bertin –, non era pratica corrente rivendicare la paternità di un abito. Le cose cambiarono alla vigilia del XX secolo, quando Charles Frederick Worth, un inglese a Parigi, iniziò ad apporre etichette sui suoi abiti. Egli introdusse anche l'idea del "genio solitario", come dice Huber, in seguito evolutosi nel designer star dell'attuale fashion industry.

Uno dei concetti sottolineati dai curatori nella mostra è quello della collettività della moda come attività. I sarti lavorano insieme ai loro clienti, così come i direttori creativi si affidano all'esperienza del loro atelier. Ma si parla anche dei pregiudizi, più o meno consapevoli, che possono condizionare il modo di comporre le raccolte. Così, gli abiti inclusi in questa sezione riguardante l'anonimato comprendono una vestaglia à la française del 1770 circa, di attribuzione ignota, e un abito con l'etichetta di Saks Fifth Avenue disegnato per il rivenditore da Ann Lowe, a dimostrazione del fatto che i pezzi della collezione possono avere storie non raccontate.

Veduta della sezione “Visibility”.

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Visibility: 1900-1968

La seconda sezione della mostra riguarda il periodo che va dal 1900 al 1968 e ha per tema la visibilità. L'attenzione si concentra in particolare sul periodo tra le due guerre, non solo perché è il campo di specializzazione di Huber, ma anche perché gli anni 20 e 30 sono stati l'unico momento storico in cui a Parigi c'erano più direttori creativi donne che uomini. In una sala a forma di U è stato allestito un “pantheon” di queste figure. Qui Chanel condivide lo spazio con abiti di pizzo di Callot Soeurs e Lucile, maison, queste ultime, che hanno da tempo cessato la propria attività. I curatori hanno compilato una genealogia di donne stiliste davvero ampia, che dimostra quanto il sistema fosse interconnesso, in questo primo periodo, e come il gioco delle sedie duri da parecchio tempo nel mondo della moda. Di particolare interesse è il fatto che molti dei modelli di quell'epoca siano ispirati alla lingerie, come se l'ascesa delle donne nell'industria fosse partita dalla pelle per procedere verso l'esterno.

“The Boutique Generation”, nella sezione “Agency”.

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Agency: 1968-2023

Il terzo tema di Women Designing Women è quello della rappresentanza ("Agency") e racconta la moda dal 1968 a oggi, tracciando la progressione da quella che Van Godtsenhoven chiama «la generazione delle boutique» fino alla crescente individualizzazione dell'autopresentazione caratteristica di questo secolo. «La boutique è uno spazio in cui uno stilista entra in contatto con il cliente», dice la curatrice. «C'è più dialogo. Offre un intero stile di vita, non solo capi di abbigliamento. E, naturalmente, c'è una sorta di connubio tra business e creazione».

“Bodily Agency”, nella sezione “Agency".

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

All'interno di ogni tema sono presenti delle sottosezioni, identificate dai vari copricapi personalizzati di Caitlin Keogh. All'interno della sezione “Agency” troviamo un gruppo di creazioni che, come recita la didascalia, illustrano «come l'abbigliamento sia stato un luogo di espressione politica e fisica e racconti esperienze vissute che spesso sono state trascurate nell'ambito della moda “firmata”, come la gravidanza o la disabilità». Qui sono presenti lavori di No Sesso, Collina Strada e del marchio danese Customiety, che propone moda per le persone affette da acondroplasia.

Sezione “Atmosphere”. Da sinistra. Abito, Ester Manas (nata nel 1992) e Balthazaar Delpierre (nato nel 1993) per Ester Manas, primavera estate 2022. Abito "Delphos", Adèle Henriette Elisabeth Nigrin Fortuny (1877-1965) e Mariano Fortuny (1871-1949) per Fortuny.

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Assenza e rimozione

Il quarto tema della mostra è l'assenza/rimozione (sezione “Atmosphere”), e i pezzi che lo illustrano non sono allineati lungo le pareti della galleria, ma si trovano al centro di quest'ultima. Si tratta di giustapposizioni di capi che raccontano, tra le altre cose, storie di mancato riconoscimento o di deliberata rimozione. Un abito di Ester Manas, per esempio, richiama l'attenzione sul fatto che la body diversity sia stata a lungo ignorata dall'industria. «Non abbiamo allestito la mostra con intenti "politici"», sottolinea Huber. «L'idea di fondo era quella del riconoscimento. E della celebrazione». Questo, tuttavia, ha incluso la messa in evidenza di quelle aree dove c'è ancora spazio per il miglioramento.

Veduta della sezione “Atmosphere”.

Photo: Anna-Marie Kellen / © The Metropolitan Museum of Art

Una mostra a più livelli

Women Designing Women è una mostra inevitabilmente complessa, perché il ruolo delle donne nella moda non può essere separato dalla loro posizione nella società, che in passato ha limitato la loro capacità di esprimersi creativamente, ad esempio impedendo loro, tra le altre cose, di detenere proprietà, di ereditare e di votare. La classe e la razza sono fattori che hanno ulteriormente limitato il campo d'azione delle donne. «Si tratta di un soggetto estremamente sfaccettato, e la mostra offre una cornice all'interno della quale leggerlo», dice Van Godtsenhoven. «C'è una sorta di meta-livello in cui si parla di pratiche museali e di collezionismo, ma la mostra è anche un racconto di periodi storici, di cambiamenti epocali, di vite di donne uniche e del ruolo che hanno giocato nell'evoluzione della moda e dei costumi sociali».

Di fatto, ciò che la mostra non offre è un'unica risposta riguardo al modo in cui le donne operano nella moda e al loro specifico contributo nel settore. In entrambi i casi, infatti, le risposte sono molteplici quanto le stesse protagoniste dell'esposizione.

I curatori hanno posto una particolare enfasi sulla natura collettiva della creazione di abiti. Prendendo le distanze dal concetto di genio solitario, hanno voluto tracciare una sorta di genealogia del fashion design al femminile. È nella celebrazione di quella che Huber definisce una «costellazione di talenti» che Women Dressing Women trova la sua principale ragione d'essere.

La mostra Women Dressing Women inaugura il 7 dicembre 2023 presso il Costume Institute del Metropolitan Museum di New York e prosegue fino al 10 marzo 2024, prolungata per attraversare la giornata delle donne dell'8 marzo.

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su Vogue USA.