Non ho invitato nessuno al mio matrimonio. Ed è andata benissimo così

«Ogni volta che qualcuno mi annunciava che stava per sposarsi, pensavo: "Che bella notizia! Ma non vorrei proprio essere al tuo posto"»
matrimonio senza invitati
Thomas Barwick

Matrimonio senza invitati: confessioni di una sposa che ha scelto una cerimonia a due. Su una spiaggia di Formentera

C'è un vecchio adagio che recita: «Ogni bambina sogna il giorno del suo matrimonio».

Beh, per me non è stato così. Non ho mai sognato il giorno del mio matrimonio. Anzi, l'idea mi è sempre sembrata strana. Perché avrei dovuto sognare di percorrere lentamente un ambiente gigantesco sotto lo sguardo scrutatore di decine e decine di persone? O di indossare un abito lungo e ingombrante – odio gli abiti in generale, figuriamoci quelli a balze o con lo strascico –, con un velo calato sugli occhi e l'ansia di inciampare? E perché mai avrebbe dovuto allettarmi la prospettiva di sbaciucchiare la persona che amo davanti a una folla di parenti e amici? Senza contare che i matrimoni sono terribilmente costosi. Sinceramente, se proprio dovessi spendere tanti soldi, preferirei fare un viaggio o investire in una casa. Ogni volta che qualcuno mi annunciava che stava per sposarsi, pensavo: “Che bella notizia! Ma non vorrei proprio essere al tuo posto".

O, almeno, così stavano le cose fino a quando non ho incontrato una certa persona. Neanche lei è mai stata una fan sfegatata delle cerimonie nuziali. Nessuna di noi due si vedeva percorrere una navata in un lungo abito bianco. Poi, un giorno, a Ibiza, in una luminosa mattina dai toni pastello, lei mi ha chiesto davanti a un bicchiere di succo d'arancia: «Che ne dici?». È stato il “sì” più facile della mia vita. Non avevamo bisogno di un matrimonio per sentirci impegnate l'una con l'altra, e questo rendeva tutto più romantico, perché era un gesto di ribellione nei confronti di noi stesse. Sposarci era come dire: è bello infrangere le proprie regole per la persona che si ama, è bello sorprendere se stessi.

Ma poi il giorno del matrimonio ha cominciato ad avvicinarsi. «Devo indossare un cappello?», un'amica mi ha chiesto scherzosamente, e io ho sentito il petto contrarmisi come se non ci fosse abbastanza ossigeno nella stanza. «Sulle note di quale canzone eseguirete il primo ballo?», mi ha chiesto un'altra con pari innocenza, ed ecco che mi è tornato alla memoria il motivo numero 10.792 per cui non avevo mai voluto un matrimonio: tutti che ti guardano mentre incespichi sulla pista da ballo. Devo confessare di aver sempre trovato insopportabile anche l'idea di una festa di compleanno: tra i venti e i trent'anni, cercavo regolarmente di fare in modo che la ricorrenza della mia nascita coincidesse con un viaggio in solitario a lungo programmato, così da avere una scusa credibile per non festeggiarla. Il fatto di aver accettato di sposarmi stava quindi iniziando a sembrarmi sempre più ridicolo. Ogni volta che cercavo di figurarmi il grande giorno – io che lanciavo in aria un bouquet, uno zio che si ubriacava con un mio ex compagno di scuola, una mostruosa torta nuziale a sei piani ricoperta di glassa –, avevo l'impressione di immaginare la vita di un'altra. Fantastico, in teoria, ma niente a che vedere con me.

Alla fine, qualcosa doveva succedere. Non potevo accettare tutto ciò che la gente pensava che sarei stata in grado di accettare. Per fortuna, la mia promessa sposa la pensava esattamente allo stesso modo. Così, ci siamo accordate: non ci sarebbero stati ospiti, non ci sarebbero stati abiti nuziali, non ci sarebbe stata una navata, né un padre che accompagna la figlia all'altare (non sono sicura di come funzioni nei matrimoni fra due donne: i nostri due padri avrebbero dovuto scortarci lungo la navata marciando fianco a fianco?). Invece, abbiamo deciso di fuggire. Su una spiaggia di Formentera. Entrambe in bikini bianco e cappello da cowboy. Forse, dopo ci saremmo immerse nell'acqua del mare, o avremmo fatto qualsiasi cosa ci fosse sembrata giusta in quel momento. Ma, soprattutto, nessun ospite. Nessuno che ci guardasse mentre eseguivamo questa cerimonia che è la tradizione più consolidata e, allo stesso tempo, più bizzarra del mondo.

Ero preparata ad affrontare cori di proteste: parenti e amici che si disperano, piangono, vomitano… Ma, di proteste, neanche l'ombra. A nessuno sembrava importare più di tanto che avessi optato per un matrimonio senza invitati. «Mi aspettavo qualcosa del genere», mi ha detto pacatamente una zia in cucina, prima di tornare ad affettare con metodo una cipolla. «Per me, qualsiasi cosa ti renda felice…». Evidentemente, mi ero talmente lasciata assorbire dal pensiero di ciò che ci si aspettava da me che avevo dimenticato una verità fondamentale: il giorno del tuo matrimonio puoi fare ciò che vuoi.

In un certo senso, la mancanza di reazioni da parte di tutti mi ha reso meno ansiosa in merito all'intera faccenda. A un certo punto, ho deciso che, dopo tutto, avrei anche potuto dare una festa post-matrimonio, qualche settimana più tardi, una piccola riunione di parenti e amici. Ma non ci sarebbe stata una navata. Niente damigelle, né primo ballo, né lancio di coriandoli sui gradini della chiesa. Solo musica, buon cibo e fiumi di champagne. E, sì, magari anche una torta, a patto che non fosse a più piani e ricoperta di glassa.

Adoro tutto ciò che riguarda i matrimoni degli altri. Le persone che si mescolano – la nonna di uno degli sposi che balla con un collega di lavoro dell'altro sulle note di Common People –, la celebrazione a cuore aperto dell'amore, il fatto che, in fondo, sia solo una scusa per organizzare una maxi festa davvero memorabile. Vorrei poter desiderare tutte queste cose per me. Ma non ci riesco. E mi sono resa conto che va benissimo così.

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Questo articolo è stato pubblicato originariamente su British Vogue.