Bastano 5 giorni per catturare l'essenza di New York?

Luoghi culto e nuove mete inaspettate, un best of per scoprire la propria “città nella città”
New York in 5 giorni musei hotel itinerari e ristoranti

Visitare New York in 5 giorni? Impresa ardua se non impossibile, vale la pena soprattutto se ci si lascia incuriosire da itinerari inaspettati

New York non è una città. Non è un posto fisico. Piuttosto è un luogo dell'immaginario, una specie di memoria collettiva e sedimentata. New York sono tutti i film, i libri, tutto il primo Woody Allen, tutte le puntate di Sex and the City, tutto Paul Auster. Proprio lo scrittore scomparso qualche settimana fa era nato in New Jersey ma per tutta la vita aveva vissuto, passeggiato e raccontato le strade di Brooklyn; è ricordato proprio per i romanzi racchiusi nella cosiddetta Trilogia di New York (ma non fategli torto, rileggetelo tutto) e lì scriveva: «New York era un luogo inesauribile, un labirinto di passi senza fine». La città che non finisce mai, che non dorme, che ti inghiotte sfiancandoti e ricaricandoti, quella in cui «sembrava di essere davvero contemporanei, giovanissimi», scrive Veronica Raimo nell'introduzione di Schiavi di New York di Tama Janovitz, altra pietra miliare anni Ottanta (appena ripubblicata da Accento edizioni) a formare questa imprescindibile muraglia delle suggestioni. La città dei delitti più fittizi che reali (Città in fiamme, ennesimo romanzo-mondo da recuperare), dei grattacieli, dei tombini che fumano, degli hot dog agli angoli delle strade e di Empire State of Mind sparata a palla (chissà le royalties di Alicia Keys).

Tutto questo lo si sa già prima di mettere piede nella Grande Mela. È come se New York, proprio per questo sovraccarico preventivo della fantasia, si pre-conoscesse. I primi giorni della permanenza in città si passano con il naso all'insù, scrutando i riflessi nel cielo nei palazzi di vetro e ferro, e soprattutto chiedendosi come sia possibile avere la costante sensazione di essere già stati in quei luoghi, tra quelle strade, in quel 7eleven coi pavimenti un po' zozzi ma con le ciambelle chimiche e deliziose. È una sensazione più che mentale, proprio fisica, una specie di sindrome del “viaggio” fantasma. Siamo tutti già stati a New York anche se non ci abbiamo mai messo piede prima. E poi però ci vai davvero, e qualcosa fa click, si dischiude: ognuno ha la sua epifania newyorchese. Ecco perché la prima dose di questo panorama urbano-universale è meglio che sia concentrata, rapida, 4-5 giorni, per fare una full immersion, e anzi farsi percorrere, lasciare che le avenue e le square ci attraversino. «New York era il nulla attorno al quale lui si era costruito», scriveva sempre Auster: facciamoci costruire, in pochi giorni. Pronti a ritornare dove non siete mai stati?

Giorno 1

Se si parte (il giorno prima) per un viaggio intercontinentale che più sulla distanza si misura sull'impazienza di scoprire e riscoprirsi, tanto vale farlo comodamente, e con una chicca che forse non tutti conoscono: da Milano Malpensa viaggia infatti La Compagnie, nomen omen della compagnia francese solo business class, che assicura un viaggio comodo, iperconnesso grazie al wifi velocissimo, menù gourmet firmati da chef internazionali, champagnino d'ordinanza prima del decollo e creme Caudalie nel kit degli essentials in dotazione (a New York meglio arrivarci idratati, in tutti i sensi). Arriva a Newark, in New Jersey a 40 minuti di auto da New York stessa, il che è positivo per svariate ragioni: meno code ai temutissimi controlli dell'immigrazione ma anche una porta d'accesso laterale alla città. New York è tanta roba, scoprirla non sbarcandoci sfacciatamente, ma girarci attorno come si fa con gli animali selvaggi è un approccio cauto e consigliato.

Menù gourmand a bordo de La CompagnieFoto: Christophe Dauphine

Nell'immensa e tentacolare offerta abitativa della città, la prima notte la passiamo all'Hotel AKA NoMad, angolo privilegiato di Madison Avenue, nel quartiere “North of Madison” divenuto un punto di riferimento per gli amanti del design, soprattutto italiano. Non a caso lo stesso AKA NoMad, circondato da negozi e showroom, è stato disegnato dall'architetto Pietro Lissoni, che ha voluto conferire alla classica brownstone esteriore un interior sincretico tra orientale e scandinavo, dal lusso elegante, fastoso e compassato al contempo (ammirevole la monumentale e futuristica scala a chiocciola all'ingresso). Fate una passeggiata nei dintorni per un primo tuffo nell'essenza newyorchese, tra strada amplissime, negozi di catena e drugstore dei più vari: l'Empire State Building non è lontano da qui.

AKA NoMad
La suite con vista Empire State Building dell'AKA NoMadFoto: Jeffrey Totaro

Per chi ama appunto l'arte e lo sfarzo, impensabile non iniziare i propri itinerari, a un quarto d'ora a piedi, da una tappa meritevole ma non gettonata come dovrebbe: è la Morgan Library, residenza-museo-biblioteca del grandissimo banchiere e magnate ottocentesco J.P. Morgan - quello dell'omonima società finanziaria ma anche ispiratore dell'omino con baffi e panciotto del Monopoly. Qui vi perderete tra pareti di raso, manoscritti medievali, mosaici classicheggianti e una vastissima collezione d'arte, tra cui spiccano cimeli sumeri. È anche l'occasione per scoprire la straordinaria storia di Belle da Costa Greene, bibliotecaria di Morgan che a inizio Novecento gestiva - nonostante fosse donna e nera (anche se si dichiarava bianca), una combinazione impensabile all'epoca - una delle collezioni d'arte più grandi al mondo. In arrivo, ovviamente, il biopic hollywoodiano.

The Morgan LibraryFoto: Graham Haber
The Morgan LibraryFoto: Graham Haber

Cambio di passo (e di zona) per un'altra visita insolita e da veri insider, quella a Atelier Jolie, tra NoHo e Chinatown: l'attrice e filantropa Angelina Jolie ha recuperato l'edificio che era appartenuto a Warhol, il quale a sua volta l'aveva affittato a Basquiat che ne fece il suo studio; oggi è una boutique-laboratorio, che ospita una selezione del fashion brand della star holywoodiana ma anche designer emergenti, che si legano a lei per l'attenzione alla sostenibilità e alla multiculturalità. Qui è possibile anche fare pausa nel caffè gestito da Eat OffBeat, collettivo di chef e pasticceri rifugiati, che quindi è un vero tripudio di sapori prevalentemente mediorientali (da provare il cappuccino alla rosa e la torta vegana mandorle e arance).

Atelier JolieFoto: Amir Hamj

Dalla marginalità chic a quella che è considerata la centralità assoluta, chi dice della città e chi del mondo: tappa dunque al One World Trade Center per il doveroso pellegrinaggio al monumento dedicato alle vittime dell'11 settembre, voragine fisica ma anche emotiva; ma per non perdere mai l'abitudine di rivolgere gli occhi al cielo, c'è anche la OWO Experience at One World Observatory, col suo ascensore velocissimo (102 piani in 47 secondi) che ti catapulta verso una vista panoramica a 360 gradi su tutta la città, il migliore dei modi per orientarsi a colpo d'occhio in tutta la metropoli. Rimessi i piedi a terra, una visita interessante è al vicino PACNYC, il Perelman Performing Arts Center, che ha un ricchissimo cartellone di musica, teatro e danza, oltre a un'architettura a guscio marmoreo traslucente e un ottimo cocktail bar, il Metropolis, disegnato da David Rockwell (lo stesso architetto del Dolby Theatre degli Oscar a Los Angels) dove gustare un menù concepito da Marcus Samuelsson, già chef di Obama. Per concludere la serata - la giornata è stata lunga - niente di meglio che rilassarsi sulle note del jazz e dei signature cocktail al Saint Tuesday, nelle cantine suggestive del Walker Hotel Tribeca, dove ogni sera c'è musica live e atmosfera delle più cool.

Foto: Iwan Baan
Il cocktail bar Metropolis al PACNYFoto: Adrian Gaut
The Perelman Performing Arts Center al World Trade CenterFoto: Ron Antonelli
Saint TuesdayALEXA BENDEK PHOTOGRAPHY

Giorno 2

I veri estimatori di New York sanno che se visiti solo Manhattan godi solo a metà. Bisogna dunque allungare lo sguardo ai boroughs oltre l'isola principale. Immancabile è quindi una tappa a Brooklyn e anche qui c'è spazio per un po' di originalità. Non solo Dumbo, la passeggiata su Brooklyn Heights, le giostre di Coney Island, le stradine di Williamsburg e le viste di Prospekt Park: per chi ama scoprire nuove realtà che si legano a progetti alternativi di riqualificazione urbana c'è per esempio Industry City, un hub creativo e commerciale di quasi 560mila metri quadrati, il quale ospita oltre 550 società che vanno dai ristoranti ai negozi di mobili, dai co-working alle distillerie, dagli spazi per eventi alle aree outdoor, passando per atelier di moda, artigianato e alimentari. Il tutto sorge negli edifici del Bush Terminal, uno dei più grandi complessi industriali degli Stati Uniti, inaugurato agli inizi del Novecento per accogliere le merci in arrivo dal mare. Per molto tempo abbandonato, è stato rivitalizzato in un luogo vivace e colorato, che accoglie i newyorchesi in ogni momento della settimana e ha permesso anche di avviare un circolo virtuoso nell'intero quartiere.

Praticamente al di là della strada, ha sede BSE Global, piattaforma di intrattenimento e sport che possiede tra gli altri suoi brand diverse società sportive (come i Brooklyn Nets e la squadra di basket femminile New York Liberty) oltre a venue come il Barclays Center. Proprio a Industry City è possibile visitare il Brooklyn Nets HSS Training Center, un centro di avanguardia per quanto riguarda l'allenamento e la fisioterapia sportiva, con tanto di campo di allenamento e una terrazza dalla vista mozzafiato su Manhattan, che è possibile vedere appunto dall'"altra parte".

Dallo sport al food, e dal Bronx al Queens, e più precisamente a Jackson Heights: un altro modo per visitare zone inedite della città è farsi accompagnare da associazioni come Turnstile, che organizzano visite guidate a tema. Una delle più originali è proprio il Jackson Heights Food Tour, che si svolge tra i food cart di questo quartiere dalla storia stratificata, tra immigrazione e gentrificazione: qui si incontrano baracchini di ogni nazionalità, dai pakistani ai colombiani, dai tibetani ai messicani, che sono la vera spina dorsale di una zona che cambia volto in continuazione, dove voltare l'angolo significa teletrasportarsi in un con continente diverso. Seguire questo tour è anche un modo per sostenere Street Vendor Project, associazione che rappresentazione e sostiene i piccoli business di questo tipo, soprattutto a regolarizzarsi dal punto di vista dei documenti e delle normative.

Jackson HeightsFoto: Busà Photography/Getty

La giornata può terminare ritornando a Brooklyn, in uno dei tantissimi ristorantini e locali che animano questi quartieri, come per esempio Cecily, a Greenpoint: gestito da Kristin Ma e Tara Noble, entrambe cone esperienza in ristoranti stellati e bar in della zona, questo wine bar si distingue per l'ampia scelta di vini naturali, soprattutto naturali, che vengono accompagnati dai piatti dello chef Zach Frieling, anche lui dal curriculum in realtà stellate. Da non perdere l'ottimo pane di lievito madre con le acciughe, i chicharrones di ceci e il pollo arrosto, ma ci sono tante opzioni veg. Da notare che Cecily adotta un equitable financial model, per cui i proventi del locale sono redistribuiti periodicamente anche tra i camerieri, una rarità per questa professione negli Stati Uniti.

CecilyFoto: ig @cecilybkn
I piatti del CecilyFoto: David Malosh

Giorno 3

Divertente, in una città che offre così tanti alberghi e indirizzi, è cambiare struttura a metà viaggio. Volendo passare dall'hotel di design innovativo a quello più storico, la scelta nel nostro cade ricade sul Knickerbocker Hotel, residenza d'altri tempi incastonata tra Times Square (dalla sua terrazza si può vedere anche la famosa “palla” del countdown di Capodanno) e Bryant Park, centralissimo per gli spostamenti verso ogni meta turistica. Il Knickerbocker ha una storia prestigiosa, che risale al 1906 e alla ricchissima famiglia immobiliare degli Astor: nelle sue suite, ancora oggi amplissime e di un lusso finemente rinnovato, sono passati ospiti come Enrico Caruso mentre al bar sedevano personaggi come Rockfeller o Francis Scott Fitzgerald. Pare che in uno speak-easy dell'albergo, nascosto al livello della metropolitana, il barista Martini di Arma di Taggia abbia messo a punto il Dry Martini (le versioni sulle origini del cocktail del resto sono le più svariate): ancora oggi l'hotel ha uno speciale Martini cart e organizza tour in tutto il mondo, ma la sua offerta di ristoro comprende anche ristoranti firmati da chef come Charlie Palmer e una terrazza panoramica dalla drink list infinita.

Knickerbocker Hotel

A pochi blocks di distanza dall'hotel, pratico anche per chi vuole muoversi un po' a piedi e non perdersi in metropolitana, c'è la Fifth Avenue con la sua infilata di condo chicchissimi e soprattutto di musei. Tra questi, molto caro a Vogue e ai suoi fan, il Metropolitan Museum of Arts. Oltre agli eventi straordinari come il Met Gala, questo museo è uno dei più completi al mondo, con oltre 490mila opere d'arte che coprono oltre 5000 anni di storia e tutti i più svariati angoli del pianeta. Ci sono sempre mostre di grande rilievo: fino al 28 luglio, per esempio, si può visitare The Harlem Renaissance and Transatlantic Modernism, un'occasione davvero straordinaria per rendere omaggio agli artisti black che tra gli anni Venti e Quaranta hanno animato una vera e proprio rivoluzione nel panorama artistico nordamericano, talvolta con balzi di emancipazione impensabili prima (e dopo) quell'epoca. Riempiti gli occhi di arte e capolavori, non c'è modo migliore poi per distendersi che perdersi nel vicinissimo Central Park: scoiattoli, hot dog e artisti di strada si moltiplicano numerosi in questo luogo che forse è tra il più scolpito nel nostro immaginario. E proprio lì per esempio io ho avuto la mia epifania newyorkese, precisamente alla Bethesda Fountain, che a me ricorda il dolore e lo stupore della miniserie Hbo Angels in America.

Proprio in quel parco ho in qualche modo avuto una rivelazione commovente, che New York cioè non è solo una città di frenesia ed esteriorità, ma ha anche i suoi luoghi di raccoglimento e sensibilità, quasi fossero catalizzatori appunto di questi sentimenti collettivi. E a proposito di raccoglimento, fate l'esperienza di prendere uno dei tipici ferry che dal Carl Schurz Park porta ad Astoria, nel Queens. Direzione finale il Noguchi Museum (i più attenti lo ricorderanno citato ne Il diavolo veste Prada, quando Miranda Priestly valuta location per i suoi servizi fotografici), un luogo incantato che trasuda atmosfere zen. Nel 1961 Isamu Noguchi, scultore e paesaggista americano di origini giapponesi, si trasferì da Manhattan a questo vecchio stabilimento commerciale di Long Island City, dove condurre una vita quasi monacale e realizzare la maggior parte delle sue opere, tutte sculture sinuose e ieratiche, dai toni sommessi e dalle suggestioni filosofiche, immerso in giardini di ghiaia e seducenti magnolie.

Noguchi MuseumFoto: Nicholas Knight
Noguchi MuseumFoto: Nicholas Knight

Dopo quest'esperienza meditativa (e magari una tappa in un caffè lì vicino, lo Château Le Woof, spartano e biologico ma con la particolarità di avere annesso un vivacissimo asilo per cani), ci si può reimmergere nel vortice degli stimoli più svariati con una visita al Museum of Moving Images, recente istituzione che vuole celebrare le tappe più significative della storia delle immagini in movimento, dal cinema ai videogiochi passando per la televisione e l'animazione. Il tutto è pensato come un'esperienza immersiva e interattiva, con la possibilità di realizzare il proprio corto animato, di doppiare una scena filmica e altrimenti semplicemente di visitare le sconfinate collezioni che comprendono bozzetti, oggetti di scena e pupazzi, da Jim Henson (quello dei Muppets e di The Dark Crystal) a Star Wars, passando per il Neorealismo italiano e gli anime giapponesi.

Museum of Moving Images
Museum of Moving Images

Dopo tante suggestioni visive nel Queens, è tempo di ritornare a Manhattan, anzi al suo cuore più complesso e movimentato, nella zona di Wall Street, che di sera è paradossalmente deserta e cristalizzata: ispirato ai café europei più intimi e raffinati, ma con un menù che vira su una steakhouse modernizzata alla francese, è il ristorante La Marchande, ospitato dal lussuoso Wall Street Hotel. Da provare, oltre alla carne e a piatti vegetali come la caesar salad di scarola e la tarte tatin di cavolfiore, anche il Black Truffle Martini.

La Marchande
La Marchande

Giorno 4

Dopo due-tre giorni in questa città tentacolare e magmatica si ha l'impressione di averne scalfito solo la superficie. Per cercare di non farsi inghiottire dal disorientamento, è come al solito utile fare un passo indietro e guardare le cose da una certa distanza. New York sembra una città di ferro e vetro, in realtà è una città d'acqua, quindi va esplorata nel suo elemento principale: la Classic Harbor Line, per esempio, offre dei tour in barca che circumnavigano Manhattan, un intero giro attorno all'isola con le spiegazioni degli esperti della American Institute of Architects, con tanto di cocktail a bordo: quasi tre ore per osservare un panorama fatto di grattacieli, edifici in mattoni, ponti mastodontici, progetti avveniristici ma anche scogliere e parchi naturali, e affacciarsi poi su quello che c'è dall'altro lato, isole come la celeberrima Ellis Island (con la mitica Statua della Libertà, emozionante passarci sotto e ricordarne il passato d'accoglienza) o l'appartata Governors Island, quartieri come Brooklyn, Wiliamsburg, Greenpoint, Astoria. Girando attorno a Manhattan si ha l'occasione di rintracciare le storia architettonica e dunque anche sociale, le vicende economiche e le particolarità geografiche, il sottile confine tra passato e futuro, miseria e nobiltà, in una carta d'identità precisissima e stupefacente di questo centro urbano sempre così sfuggente.

Si parte e si torna dal mitico Piers 62, affaccio di Chelsea che è un'oasi piena di verde e strutture sportive perfetta per atleti, corridori e famiglie. Immergiamoci allora in uno dei quartieri più sofisticati della città partendo dal futuristico progetto di Hudson Yards e soprattutto il suo caratteristico Vessel, disegnato da Thomas Heatherwick: specie di alveare alieno, è un belvedere mozzafiato che però è ora chiuso perché tristemente teatro di alcuni suicidi. Anche solo osservarlo da fuori, però, fa assaporare l'inesausta forza propulsiva verso il futuro di questa città. Affacciato qui è anche l'Equinox Hotel New York, espansione ricettiva del noto brand di luxury fitness e health club che qui declina il suo concept a 360 gradi, tra suite, palestre, ristoranti e anche un'esclusiva The Spa by Equinox Hotels, con i trattamenti più all'avanguardia, tra cui terapia al plasma, light therapy e tecnologia infrarossi (io ho provato l'MLX i3 Dome con maschera a infrarossi, un'esperienza a metà strada tra un bagno turco concentrato e Star Trek, dall'effetto detossificante e rigenerante).

The Spa by Equinox HotelsFoto: Jesse Dittmar
The Spa by Equinox HotelsFoto: Joyce Wang
The Spa by Equinox HotelsFoto: Joyce Wang

Con la pelle totalmente rinnovata, si esce dell'Equinox Hotel decisamente più leggeri, ma forse anche un po' affamati: consigliatissima la tappa alla vicina location di Russ & Daughters, per dei bagel vecchio stile completamente personalizzabili. Sempre da Hudson Yards parte la famosa High Line, progetto replicato in molte altre metropoli del mondo, che ha recuperato oltre due chilometri di vecchia linea ferroviaria trasformandola in un parco pubblico e in un viale per passeggiate e jogging, dove in mezzo al verde spuntano opere d'arte e dove sbirciare negli appartamenti che si affacciano lungo il percorso. Se resistete alla tentazione di scendere e perdervi nel Chelsea Market, arrivate fino al Whitney Museum of American Art, un'istituzione fondamentale nel panorama artistico newyorchese che non dovrebbe essere tralasciata: fondato dalla socialite, artista e mecenate Gertrude Vanderbilt Whitney, ora il museo è collocato in un edificio designato da Renzo Piano e, oltre a una collezione che esalta l'arte statunitense soprattutto del XX e XXI secolo, organizza un'importante Biennale sempre focalizzata su artisti emergenti a stelle e strisce (l'edizione attuale è visitabile fino al 20 agosto).

Whitney Museum
Whitney Museum

Una giornata così piena di stimoli va conclusa in una location altrettanto suggestiva: al caso nostro fa il ristorante Agency of Records, collocato nello storico Renwick Hotel nel cuore di Manhattan, a pochi passi dalla Grand Central Station, da Madison Avenue e dal Chrysler Building. Ispirato a Mad Men e all'epoca d'oro delle ruspanti agenzie pubblicitarie della città, raccoglie anche la tradizione dei grandi scrittori (Mann, Steinbeck e Fitzgerald) che frequentavano l'hotel sovrastante: il menù è un caleidoscopio di classici rivisitati con classe e originalità - dalle verdure grigliate al pollo croccante -, ma ancora più peculiare è la drink list dai nomi tutti a tema che richiamano lo slang dei pubblicitari vecchio stile. Dato che si ritorna poi verso il Knickerbocker ed è l'ultima sera, tappa obbligata a Times Square, illuminata a giorno dai videowall pubblicitari anche a tarda notte. E sicuramente non sarete soli a farvi quel bagno di luce artificiale.

Agency of RecordsFoto: Michael Carnevale
Agency of RecordsFoto: Michael Carnevale

Giorno 5

L'ultimo giorno è quello che va gestito con più cura. Rilassare i ritmi, assicurarsi di non dimenticare niente, incamerare le ultime, essenziali boccate d'aria. Il metodo migliore è abbandonare itinerari troppo strutturarsi e concedersi una lunga passeggiata, quasi a vagabondare, magari facendosi attrarre dai propri luoghi del cuore o dalle proprie passioni più fondanti. Nel mio caso, uscito dall'albergo, mi son lasciato fluire lungo 7th Avenue, direzione Lower Manhattan. Avevo una vaga idea di dove volessi andare, che si è concretizzata cammin facendo. Un mix di destino e volontà mi ha portato nel Greenwich Village e più precisamente al Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender Community Center, un luogo di aggregazione per la comunità queer che custodisce tra l'altro, come un tesoro nascosto, un affresco tanto prezioso quanto osceno di Keith Haring. Proseguendo si arriva in Christopher Street, dove si trova il mitico Stonewall Inn, il bar dove nel giugno 1969 è scoppiata una rivolta (i famosi moti di Stonewall) che hanno dato il via al movimento LGBTQIA+ così come lo conosciamo. Se avete passeggiato abbastanza tranquillamente sarà ora di pranzo, o ancora meglio - se nel weekend - di un brunch: l'indirizzo da non perdere in zona è Buvette.

L'ingresso dello Stonewall Inn in Christopher StreetSpencer Platt/Getty Images
Le strade di SohoFoto: Alexander Spatari

Di brownstone in brownstone si arriva fino a SoHo, dove è bello perdersi nelle stradine concedendosi lo shopping più disimpegnato o facendo zig zag tra le gallerie d'arte più inaspettate. Un giro da McNally Jackson per un libro ricordo, una tappa al Museum of Ice Cream per un'esperienza pop e zuccherosa, un salto tra l'artigianato orientale al Pearls River Market, una pausa gourmand da Dominique Ansel e poi probabilmente il tempo a disposizione è giunto al termine. Prima di ripartire per l'aeroporto, cercate Jean Andre Antoine, uno street photographer che si posiziona tra Broadway & Crosby Street: vi osserva un attimo, vi mette in posa e vi scatta un'istantanea che sarà il vostro ricordo più personale dei questi cinque giorni a New York. Sono sufficienti per assaporare l'essenza di questa città così multiforme, brulicante e imprevedibile? Probabilmente no, ma saranno sufficienti per comprendere in quale delle mille New York avete voglia di ritornare.

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