Queer, recensione del film estremo di Luca Guadagnino al Festival di Venezia 2024

Dopo Challengers, abbiamo visto la seconda pellicola dell'anno del regista italiano che ha presentato il suo nuovo lavoro in Concorso alla 81esma Mostra di Cinema veneziana
Queer recensione film
Yannis Drakoulidis

Queer, recensione del film di Luca Guadagnino al Festival di Venezia 2024: una storia d’amore, estrema e psichedelica, con un Daniel Craig inedito, tormentato e fragile

Luca Guadagnino ha un dono nel modo di raccontare le cose, i suoi personaggi, che forse non tutti posseggono. Non li giudica, è pragmatico in tal senso, agisce senza timore, va avanti per la sua strada seguendo il proprio istinto, conscio che ciò che farà potrà piacere o dividere, ma lui lo avrà realizzato senza rimpianti. Si chiama coraggio artistico, lo stesso che mixa ricerca, meticolosità, estetica, cura del racconto, capacità di dare forma e sostanza, anche nel provocare. Ora è riuscito a trasformare la sua sfida-ossessione di sempre, in quello che è a tutti gli effetti, almeno a caldo (sarebbe da rivedere con calma) un film visionario, articolato, complesso, non perfetto come altri, ma in fondo onesto, semplice, possiamo dire, anche da comprendere in alcuni passaggi, e toccante in altrettanti momenti e scorci.

Parliamo di Queer, in concorso a Festival di Venezia 2024 (lo distribuirà più avanti la Lucky Red di Andrea Occhipinti) l’attesa pellicola, che fa seguito al successo di Challengers, e che, parere di molti, lo porterà doppiamente a contendersi qualcosa di importante anche ai prossimi Oscar. Le premesse ci sono tutte. Qui parte, in termini di ispirazione, da uno dei romanzi brevi (in parte autobiografici) di William S. Burroughs, scritto tra il 1951 e il 1953, ma pubblicato solo nel 1985, riadattandolo però con ulteriore originalità e personalità. Merito dello sceneggiatore, Justin Kuritzkes.

Yannis Drakoulidis

Queer, recensione del film

La forza della storia parte in questa direzione, dalle parole, i dialoghi, anche i silenzi, gli sguardi, le scene di sesso. Ambientato tra Città del Messico, ricostruita incredibilmente nelle strade, angoli, palazzi, negli studi di Cinecittà a Roma, e il Sud America, la storia mette al centro il protagonista, William Lee. Un uomo sui 50 anni o poco più, affascinante, ben vestito, accanito fumatore e  bevitore, che quotidianamente si divide tra i bar, e la “caccia” di una compagnia maschile, occasionale, di sesso. È un solitario, ma in molti lo conoscono. È appunto queer, “diverso”.

Nelle avventure che gli capitano si scontra un giorno, è il caso di dirlo, con le reticenze (iniziali) di un giovane turista americano, Eugene Allerton (bravissimo l’attore Drew Starley): si osservano, ma non lo corrisponde, si nega, per poi accettare la proposta di una relazione mercenaria, in cambio di soldi e droga, oppiacei ed eroina, lo stesso Lee fa uso smodato da anni, e dai cui però vorrebbe liberarsi. In lui (Eugene) cerca una sorta di continuità significativa, romantica, la condivisione, non solo carnale, per colmare una propria solitudine, un vuoto esistenziale, un sentimento di mancanza, che adesso ha urgenza di riempirsi, anche in maniera estrema. Li vediamo bere insieme, amarsi follemente, andare anche a caccia dello Yage, una sorta di radice, un decotto psichedelico (si trova in Amazzonia) che, pare, possa trasmettere poteri di telepatia.Il loro, il suo (di Lee) è un viaggio multidimensionale, allucinato e apparentemente felice, quando può circondarsi di ciò che lo soddisfa, e come ogni dipendenza vorrebbe subito ricominciare, partire da zero, vivere in maniera selvaggia il momento, gli attimi.

Yannis Drakoulidis

Un Daniel Craig così non si era mai visto: “Per me è stato un processo liberatorio”

Per un ruolo del genere Luca Guadagnino ha chiamato Daniel Craig. Risultato: sorprendente, e da possibile premio. Una metamorfosi radicale, dal James Bond-007 che nell’immaginario di mascolinità abbiamo conosciuto, e dal quale si è ufficialmente sganciato, ad una nuova fase della sua carriera, pronta a sperimentare, sulla propria pelle e corpo, una emotività e sensibilità più spiccata, indecifrabile, anche nel mostrare le proprie fragilità.

«Volevo lavorare con Luca da tempo - ha dichiarato l’attore inglese in conferenza stampa - Se non fossi in questo film, e lo avessi guardato, avrei voluto essere io attore, esserlo, sfidarmi. Se riguardo il film penso unicamente alla gioia, non alla sfida, è il tipo di cinema che amo e concepisco, è stato un processo liberatorio, sapevamo fin da subito in che direzione saremmo andati. Ho riguardato molte interviste di Burroughs: al di là di ciò che poteva trasmettere, parlava in modo misurato, ma era parte di lui, era forse una difesa. Leggendolo volevo capire chi era lui. Si parla anche di perdita, solitudine, desiderio».

Yannis Drakoulidis

Luca Guadagnino in conferenza stampa: “Leggere quel libro mi ha trasformato”

«Leggere quel libro a 17 anni mi ha trasformato - Parola del regista, Luca Guadagnino - Da ragazzo volevo cambiare il mondo attraverso cinema. Lessi il titolo, Diverso, questo mi ha innescato un collegamento profondo di quello che è anche l’assenza di giudizio, il romanticismo, le persone che desideriamo. Lee sta sprofondando, sembra annegare, ma poi si collega, cerca l’umanità pure nelle zone più oscure. Mi ha trasformato per sempre, per questo volevo essere fedele al passaggio della storia sul grande schermo. Spero che alla fine il pubblico lo capisca, abbia idea del sé, di chi amiamo quando siamo soli, chi stiamo cercando, a prescindere che siamo qui, uomini o donne. È stato viaggio bello e gioioso. Sono un regista pragmatico, non amo sognare, faccio. Pensai, riguardo a Daniel Craig, “non accetterà mai”, ed invece c’ha detto un sì definitivo, uno degli attori più grandi in circolazione. La sua qualità migliore? La generosità, la capacità di essere mortale nel mostrare le proprie fragilità».