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«Tra l'infanzia e l'età adulta intercorre uno spazio che mi affascina: è il momento in cui si forma il carattere» spiega Miuccia Prada

Vuole creare cultura ed “essere utile”, Miuccia Prada. Che, attraverso il suo ugly chic, ha costruito un impero conciliando il femminismo e la militanza di sinistra con il lusso (un termine che non ha mai amato).
miuccia prada

Miuccia Prada svela, in occasione della sfilata Miu Miu, il suo senso del vestire: «Questa collezione parla di vita, di esperienze espresse attraverso gli abiti. Tra l'infanzia e l'età adulta intercorre uno spazio che mi affascina: è il momento in cui si forma il carattere. Questa è una collezione che parla di quei momenti personali e individuali»

La sua collezione Autunno Inverno 2024 2025 per Miu Miu parla di una storia personale e di una specifica età della vita, tra l'infanzia e l'età adulta. Spiega infatti Miuccia Prada nelle note che hanno accompagnato la sfilata alla Paris Fashion Week del brand: «Questi abiti sono un vocabolario del vestiario. Qui si possono scegliere modelli che vanno dall'infanzia all'età adulta, mischiarli tra loro e farne ciò che si vuole. In questo senso, questa collezione è molto personale. Si tratta di un'espressione individuale della moda e di un'esperienza individuale della vita. Tu, ciò che è tuo».

Foto di Stef Mitchell. Styling di Alex Harrington

Delle fasi della sua vita e della sua carriera, della sua famiglia e dei suoi ruoli - compreso quello di nonna - ci aveva parlato nell'intervista di qualche mese fa, frutto di due incontri tra Venezia e Milano.

È novembre, e tira vento sul balcone di Ca’ Corner della Regina, il palazzo settecentesco che ospita la Fondazione Prada a Venezia. È qui, sullo sfondo del Canal Grande, che Miuccia Prada sta posando per alcuni scatti. Indossa un cappotto di seta rossa (dalla sua prima collezione, quella del 1988) su un maglione giallo citrino, stagliandosi luminosa e nitida contro il cielo grigio e le sfumature terracotta, ocra e verderame di una Venezia che sembra tremolare nella frizzante aria autunnale. È priva di make-up e i suoi lunghi capelli color biondo ramato le scendono sulle spalle in morbidi riccioli naturali. Quando si agitano nella brezza, lei scherza sul fatto di avere un’aria molto anni Novanta, che ricorda Cindy Crawford in una macchina del vento.

Foto di Stef Mitchell. Styling di Alex Harrington

Ci riuniamo poi attorno a un tavolo per il pranzo. La “signora Prada”, come viene chiamata con deferenza, si toglie le sue grandi collane d’oro e le appoggia su una sedia, come per liberarsi delle pesanti catene del suo ruolo ufficiale, quindi, in perfetto stile “mamma italiana”, ci serve il risotto. È un pranzo semplice: polpettine di pollo, indivia brasata, spinaci e insalata. Le verdure, dice, provengono dal suo orto in Toscana, e sì, sottolinea, si interessa molto all’orticoltura. In effetti, viene da chiedersi a cosa Miuccia Prada non si interessi.

Oggi 75enne, ricorda per certi versi la regina Elisabetta II: una signora anziana e minuta, magnificamente abbigliata, con un portamento regale, maniere gentili e discrete e una genuina curiosità per le cose e le persone. Parliamo della mostra che, al momento della nostra intervista, è in corso al palazzo, Everybody Talks About the Weather (si è conclusa a novembre 2023), un’interessante interazione di dipinti storici, opere d’arte contemporanea e informazioni scientifiche sulla crisi climatica. Miuccia Prada si lamenta della difficoltà di trovare curatori capaci di collegare arte e ricerca accademica per allestire l’ambizioso genere di mostre multidisciplinari che lei vuole siano ospitate presso la fondazione. Racconta di aver fatto fatica, per esempio, a individuare la persona giusta per supervisionare una rassegna sul femminismo, qualcuno in grado di operare una sintesi in un ambito così eterogeneo e di comunicare al meglio concetti complessi e piuttosto spinosi. «Voglio che la cultura sia attraente», dice.

Fondazione Prada, Venezia. dalla mostra Everybody Talks About the Weather

Marco Cappelletti

Al termine del pranzo, Miuccia aiuta a sparecchiare, quindi, indossate di nuovo le sue collane, si dice pronta per la nostra intervista. «La moda è un terzo della mia vita», esordisce la donna che ha creato i brand di moda Prada e Miu Miu e che, insieme al marito, Patrizio Bertelli, è a capo del Gruppo Prada, un polo del lusso di statura globale, con 4,2 miliardi di euro di ricavi netti (al 2022) e oltre 13mila dipendenti. Il secondo terzo della sua vita, continua, è rappresentato dalla cultura e dalla Fondazione Prada, che da quando è stata istituita, nel 1993, è uno dei principali enti sostenitori dell’arte contemporanea. «Poi ci sono la famiglia e gli amici, e forse qualche piacere», dice. Fa una pausa di riflessione e aggiunge: «In realtà, si sovrappongono tutti. Cerco di fare in modo che la mia vita sia utile».

Le piace usare l’aggettivo “utile”, mentre non ama la parola “lusso”, che trova volgare. Ed ecco il punto, il nodo, la dicotomia che attraversa la sua vita e il suo lavoro. Miuccia Prada è una stilista di straordinario successo, che vende abiti e accessori bellissimi e costosi. Ma è anche, come conferma lei stessa, una donna di sinistra, con un dottorato in Scienze Politiche (ha anche studiato mimo per cinque anni), nonché un ex membro del Partito Comunista Italiano che, a suo tempo, ha marciato per i diritti delle donne. «Ho sempre pensato che ci fossero solo due professioni nobili: la politica e la medicina», dice. «Fare vestiti era come un incubo, per me. Mi vergognavo tanto, ma l’ho fatto comunque. L’amore per le cose belle ha prevalso». Sulle sue opinioni politiche è piuttosto riservata: «Lavoro per un’azienda di lusso, il che non è facilmente conciliabile con una posizione politica come la mia. Questa è sempre stata la più grande contraddizione della mia vita».

L'attivismo di Miuccia negli anni 60

Miuccia Prada nasce nel 1949, con il nome di Maria Bianchi, in una benestante famiglia della borghesia milanese. Il nonno, Mario Prada, aveva fondato un negozio di pelletteria, Fratelli Prada, nel 1913, attività che la madre di Miuccia rileva negli anni 50. «Quando ero giovane, ho sempre voluto essere diversa», dice. Negli anni 60, si unisce agli attivisti della sua generazione, ma ama la moda e, mentre gli altri partecipano alle manifestazioni indossando i jeans, lei fa altrettanto in Saint Laurent. Così, pur ribellandosi ai presupposti borghesi della sua educazione, entra nell’azienda di famiglia, rilevandola poi nel 1978. Nello stesso anno incontra Bertelli, fondatore di un’azienda di pelletteria concorrente. I due uniscono le forze, a livello sia personale (si sposeranno nel 1987) sia professionale, e lei inizia a giocare con l’idea di uno zaino in nylon, pratico, leggero, resistente all’acqua: utile, insomma. Quando viene messo in vendita per la prima volta, nel 1984, non riscuote molto successo, ma il fatto che un marchio di fascia alta realizzi un accessorio all’epoca considerato economico e di uso quotidiano segna comunque una svolta innovativa, e ben presto lo zaino diviene un pezzo iconico, l’emblema di una trasformazione tettonica nella moda. Nel 1988, dopo aver cambiato il proprio nome in Miuccia Prada – mediante adozione legale da parte di una zia materna nubile – ed essersi così legata al marchio e all’azienda di famiglia, lancia la sua prima linea di prêt-à-porter. «Non sono neanche in grado di disegnare», confessa. Ma ha sempre saputo cosa voleva indossare e fin dall’inizio lavora con una capacità intuitiva da cui traspare un ricco bagaglio di conoscenze.

Tutte le foto del carousel sono di Stef Mitchell. Styling di Alex Harrington. Hair: Akemi Kishida; make-up: Karin Westerlund, set design: Anne Aubert. Photographed At Daylight Studios. Tailor: Lauryn Trojan. Manicure: Eri Narita.

Appena due mesi dopo la prima sfilata, lei e Bertelli hanno un figlio, Lorenzo (il secondogenito, Giulio, nascerà due anni più tardi). Quando le chiediamo come ha gestito quel primo anno, lei sdrammatizza: «In famiglia non ci accorgevamo neppure che, nel frattempo, stavamo costruendo Prada», dice. «Probabilmente siamo persone a cui piace lavorare, essere attive».

La prima collezione, emblematica del futuro stile Prada, presenta colori neutri che contrastano con tonalità vivaci, pantaloni dal taglio dritto e maschile, mocassini con suola in gomma, dettagli e silhouette che richiamano le uniformi militari e una gonna al ginocchio che, nel tempo, diventerà la firma della maison. Prada è originale: rifiuta tanto le linee languide e immacolate di Armani quanto l’estetica sfarzosa di Versace e Dolce & Gabbana. «Vedere le donne solo come belle silhouette? No», dice. «Io cerco di rispettarle. Tendo a non fare abiti super-sexy. Cerco di essere creativa in un modo che possa essere indossato, che possa essere utile».

Realizza un’intera collezione in nylon, mentre in un’altra esprime con ironia la sua avversione nei confronti del pizzo. La sua estetica, comunemente nota come “ugly chic”, giustappone verde acido e marrone, pesanti maglie a trecce e impalpabili tessuti trasparenti, retrò e futuro, plastica e cristallo, calzini e sandali con i tacchi alti, borghesia e ribellione. Gioca con la nostalgia degli anni Cinquanta, il minimalismo degli Ottanta e le orrende combinazioni di colori dei Settanta.

«Naturalmente la disarmonia è ovunque, nei film, nell’arte, nella vita...», osserva. «Ma, per qualche ragione, quello che chiamano “cattivo gusto” non è mai stato accettato nella moda. All’epoca era una specie di scandalo, un insulto. Anche adesso, la moda è talvolta il luogo della bellezza stereotipata. Ed è proprio il cliché della bellezza a dover essere rimosso, sì, cambiato».

Da bambina la chiamavano Miu Miu. E da qui nasce il brand

Il successo del brand è improvviso e stratosferico. Nel 1993, Miuccia lancia un secondo marchio, Miu Miu (dal nome con cui i famigliari la chiamavano quando era bambina), che sembra fornire uno sbocco al suo estro, con luccichii, tocchi di rosa e curve da cartone animato che prendono in giro la femminilità. Ben presto si espande in Asia, nel 1993 crea una linea maschile e, nel 1997, debutta con Prada Sport, combinando tessuti performanti e chic urbano e anticipando di un decennio o due l’athleisure. Prada ha dettato le tendenze, ma non le ha mai seguite, guardando sempre a ciò che è «più interessante, più nuovo, più audace, più eccitante», come dice Miuccia, che aggiunge: «Mi piace il rischio».

«Miuccia è semplicemente fedele a se stessa», ha detto Bertelli a proposito della moglie e partner professionale. «Si pone domande, è curiosa, intellettualmente onesta... Può essere un’anticonformista, ma possiede punti di riferimento storici molto precisi e una profonda comprensione della moda». Da parte sua, lei insiste sul fatto che, più che una semplice combinazione di forma e funzione, gli abiti di Prada sono una narrazione: «Mi interessa la vita delle persone», dice. «Quindi non si tratta di disegnare, ma di mettere insieme personalità, storie, pezzi di vita, belli e brutti».

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Secondo Catherine Martin, la costumista con cui Miuccia ha collaborato per Il grande Gatsby di Baz Luhrmann, il lavoro della stilista incarna una sorta di femminismo pratico, incentrato su «ciò che significa essere una donna, una donna di potere, una donna che lavora, una madre, una casalinga e un essere sessuale». «In molti di noi convivono caratteri diversi, e questo vale anche per me», dice Miuccia. «C’è il lato femminile e quello maschile, quello gentile e quello duro».

In considerazione del suo passato di giovane attivista, non sorprende che Miuccia abbia piena consapevolezza del mondo al di fuori della moda, con le sue guerre e le sue sofferenze, le sue crisi e le sue ingiustizie. «È per questo che provo sempre un senso di vergogna», dice. Pubblicamente ma silenziosamente, così come a livello personale, sostiene una miriade di buone cause, tra cui la ricerca sul cancro, ma non apprezza i sontuosi galà di raccolta fondi e preferisce l’impegno alla mera beneficenza. L’azienda ha investito nello sviluppo di un filato di nylon rigenerato, l’Econyl, lanciato nel 2019, che ora utilizza nei suoi prodotti, donando l’1% dei proventi delle vendite al progetto Sea Beyond, che, promosso in collaborazione con l’Unesco, consiste in un programma educativo finalizzato alla conservazione degli oceani. «È qualcosa di reale e tangibile, non è solo un gesto», dice. «Se vuoi essere davvero generoso, devi avere un impatto sulla tua vita».

Quello di Miuccia Prada è un approccio basato su una concreta praticità. «La mia è un’attività commerciale», precisa. «Il nostro obiettivo è vendere vestiti». Esplorare la moda come forma di creatività le interessa meno del permettere alle persone di trovare il proprio modo di esprimersi. «Si tratta di libertà, di rappresentare se stessi», dice. «Dovremmo poter essere chi scegliamo di essere, sempre». A suo parere, «la moda è una piccola cosa: al mattino ci si veste e poi si fa qualcos’altro». Ma, soprattutto, vuole che i suoi abiti «siano utili, che facciano sentire le persone, se non felici – “felici” è una parola grossa –, almeno sicure di poter avere successo nella vita. La moda serve a darci la possibilità di esprimere la nostra personale visione del mondo. Altrimenti, credo, sarebbe inutile».

Il nostro secondo incontro con Miuccia Prada ha luogo nella sua casa di Milano. Vive ancora nello stesso edificio in cui è cresciuta, e vari membri della famiglia risiedono negli appartamenti ai piani superiori. Il cancello ci viene aperto da un maggiordomo, che, attraverso un cortile verdeggiante, ci conduce fino a un’ampia e moderna sala a volta, ripartita da enormi librerie in vari salottini dai divani rivestiti in tonalità gioiello. Grandi quadri moderni e contemporanei creano blocchi di colore alle pareti, mentre su un tappeto nero a pelo corto spicca un divano, il Cloverleaf di Verner Panton in velluto verde. Poco lontano, una vetrina di strumenti chirurgici – ovvero un’opera di Damien Hirst – fa bella mostra in una lunga galleria affacciata su un giardino.

Ci sediamo a un tavolo decorato con un’antica mappa del mondo, mentre Miuccia sorseggia una tazza di tisana. Con i tanti libri che ci circondano, è inevitabile chiederle cosa stia leggendo. Lei si alza, sparisce per qualche minuto, quindi torna con cinque volumi sotto il braccio: uno riguarda le donne e la Resistenza, un altro è una storia del fascismo, poi c’è Il ballo al Kremlino, un romanzo di narrativa politica di Curzio Malaparte, quindi un saggio del fisico austriaco Erwin Schrödinger e infine uno spesso tomo di filosofia. «Un amico mi ha detto che è facile», dice, ridendo, a proposito di quest’ultimo. «Finora ne ho letto un terzo».

La Fondazione Prada e il brio intellettuale di Miuccia

La Fondazione Prada è uno sbocco naturale per il brio intellettuale di Miuccia. Come rivela lei stessa, si è educata all’arte contemporanea «leggendo e parlando con gli artisti, molti dei quali sono diventati miei amici», e comprandola per capirla. «Odio l’idea di essere una collezionista», dice. «Per me, faceva parte del processo di apprendimento». In passato era discreta in merito alla portata del suo coinvolgimento nelle mostre, così da permettere alla fondazione di affermarsi in modo indipendente rispetto al marchio di moda, ma ora ne ha assunto pubblicamente il ruolo di direttrice. «In quelli che sono i miei ultimi anni, mi sto sforzando di essere più politica, più efficace».

Progetto architettonico di OMA Foto: Bas Princen 2018 Courtesy Fondazione Prada

La Fondazione Prada ha aperto la sua sede a Milano nel 2015. Progettato da Rem Koolhaas e dal suo studio, OMA (responsabile anche degli scenografici interni della boutique Prada di SoHo, New York), lo spazio è stato costruito intorno a una distilleria abbandonata ed è un mix molto “Miuccia” di freddo glaciale e calda opulenza. La torre presenta un’immacolata copertura di cemento mescolato a polvere di marmo, le travi anti-sismiche sono dipinte di arancione, mentre l’edificio originale della distilleria, noto come “la casa stregata”, è rivestito di foglia d’oro a 24 carati. Lo spazio espositivo Podium è ricoperto di pannelli di alluminio aerato dall’aspetto schiumoso e il cinema Godard è provvisto di un giardino sul tetto. All’interno degli spazi spettacolari e quasi surreali della fondazione, è possibile attraversare un labirinto dell’artista tedesco Carsten Höller, nero come la pece, ed emergere in una stanza piena di funghi allucinogeni rotanti appesi a testa in giù, o soffermarsi davanti a una tela di Damien Hirst ricoperta di mosche morte, oppure, ancora, salire con un ascensore e godersi una veduta di Milano dall’alto, con le Alpi sullo sfondo.

Progetto architettonico di OMA Foto: Bas Princen 2018 Courtesy Fondazione Prada

Thomas Demand, un artista tedesco che, con le proprie opere, ha partecipato a 11 progetti della Fondazione Prada nel corso degli ultimi vent’anni, ne ha descritto la sede milanese come “un discorso pubblico”: «Vi si trovano cose intelligenti che è impossibile vedere altrove. Cerca di convincere le persone che l’arte ha un ruolo nella nostra vita». La fondazione commissiona opere, ospita concerti, proiezioni cinematografiche, conferenze e simposi. “Mecenatismo”, però, è un’altra parola che Miuccia non ama: «Quando mi dicono che sponsorizziamo la cultura, io replico che no, noi vogliamo essere parte della sua creazione. Non si tratta di soldi, ma di unire gli sforzi, mettere insieme le persone, proporre e trovare soluzioni». Lo spazio milanese è un pionieristico esempio di rigenerazione di un distretto industriale che ha trasformato la città in una destinazione d’arte contemporanea. Il sabato, dice Demand, è pieno di gente che cammina e conversa. «I milanesi lo usano come se fosse una passeggiata».

La sera prima della nostra intervista, Miuccia ha avuto un incontro con il leggendario direttore d’orchestra Riccardo Muti, in visita a Milano per tenere una serie di lezioni alla Fondazione Prada. «È una persona incredibilmente interessante», dice. «Ha illustrato i principi della sua attività, cosa significa essere un direttore d’orchestra. Ha spiegato come ogni singola frase, ogni singola nota abbiano una ragione d’essere».

Quello stesso giorno, presso l’Osservatorio della fondazione, uno spazio espositivo situato in un attico al di sopra della boutique Prada nella Galleria Vittorio Emanuele II, si è tenuta l’inaugurazione della mostra Calculating Empires (conclusasi a fine gennaio), uno studio del legame tra tecnologia e potere negli ultimi cinque secoli di industrializzazione. La co-curatrice, Kate Crawford, una delle principali studiose delle implicazioni sociali dell’intelligenza artificiale, ha raccontato che, qualche giorno prima, Miuccia Prada aveva visitato l’esposizione accompagnata da Hans Ulrich Obrist, direttore della Serpentine Gallery di Londra, e aveva immediatamente colto il significato dell’opera principale, un grande, intricato diagramma raffigurante le connessioni tra comunicazione e calcolo, meccanica quantistica e algoritmi, architettura e astrosfere, facendo un paragone con l’analisi di Marx sui metodi di produzione del XIX secolo.

Sebbene, intellettualmente parlando, sia una specie di squalo costantemente impegnato ad apprendere, riflettere e lavorare, Miuccia Prada è una conversatrice divertente, che ride spesso (di solito di se stessa), ascolta con attenzione e mette in discussione le proprie affermazioni. Dopo aver espresso un’opinione, spesso si preoccupa di essere sembrata troppo polemica.

«Quando si è davvero intelligenti e si hanno molte idee, credo che sia naturale volerle sottoporre alla prova della conversazione con altre persone», ha osservato Catherine Martin. «Miuccia è come un salone intellettuale che include una sola persona». Da parte sua, lei afferma di avere una vita sociale molto limitata, il che non è del tutto vero. «Penso che non le piaccia essere un tipo salottiero solo per il gusto di esserlo», ha detto il figlio Lorenzo. «In realtà, ama confrontarsi con persone che hanno punti di vista diversi».

«Sono più brava a lavorare che a parlare», ammette Miuccia. «Per conoscere qualcuno, devo lavorare con lui». La sua ampia cerchia di amici-collaboratori include nomi illustri. Il regista Wes Anderson ha progettato la caffetteria della Fondazione Prada a Milano, un pastiche color pistacchio e rosa in omaggio ai tradizionali caffè milanesi. Il defunto cineasta franco-svizzero Jean-Luc Godard le ha donato il proprio atelier-salotto, che ora è esposto alla fondazione. L’architetto svizzero Jacques Herzog ha progettato con il suo partner, Pierre de Meuron, il Prada Building a Tokyo, da lui stesso descritto come «un dispositivo ottico interattivo». Quanto a Hirst, ha creato una borsa Prada tempestata di insetti.

Demand ricorda che, all’epoca del suo primo incontro con Miuccia Prada, stava cercando di capire come realizzare una complessa installazione, e lei aveva osservato che le sue difficoltà non erano poi molto diverse da quelle che si incontrano nella progettazione di una borsa. «È una persona che capisce i tentativi, gli errori, il fatto che, quando assembli le cose in fase di produzione, il risultato può non essere quello che desideravi, e allora devi rifare tutto», dice l’artista. «È stata molto disponibile, ma anche onesta». Da parte sua, lei accetta questo ruolo di arbitra, forse un po’ infastidita dal fatto che la saggezza arrivi con l’età. Sebbene sembri apprezzare più l’esplorazione che la spiegazione, dice di sapere quando qualcosa funziona perché la fa sorridere.

Prada è, in fondo, un’azienda a conduzione famigliare, e la dinamica in casa Prada-Bertelli si basa sulla discussione, il dibattito, la dialettica. Le conversazioni con Miuccia, suo marito e il figlio Lorenzo non di rado sconfinano negli impervi ambiti della filosofia e della filologia. Secondo Lorenzo, punti di vista diversi producono una sintesi migliore. Il primogenito di Miuccia aggiunge che è piuttosto difficile far cambiare idea alla madre, a meno che non si abbiano argomenti molto ben preparati. «Mi piace spremermi le meningi», dice lei, «perché ti fa diventare più creativa, più intelligente».

Quando abbiamo chiesto a Patrizio Bertelli perché la collaborazione con la moglie ha avuto tanto successo, lui ha risposto: «Mi faccio spesso questa domanda. Non abbiamo mai lavorato per diventare famosi o ricchi, lo abbiamo sempre fatto per il piacere di realizzare qualcosa di interessante e costruttivo, e per divertirci».

Le loro due metà, una creativa e l’altra commerciale, hanno dato vita a un potente marchio globale nell’arco di qualche decennio. Il brand è ora quotato alla borsa di Hong Kong, sebbene la famiglia ne possieda ancora l’80%. I due coniugi, entrambi ultrasettantenni, sono stati attenti a pianificare una successione senza intoppi. L’anno scorso si è insediato un nuovo CEO, Andrea Guerra, mentre, nel 2017, Lorenzo ha rinunciato alla carriera di pilota professionista di rally per entrare in azienda ed è ora responsabile della tecnologia, del marketing, della sostenibilità e della nuova divisione di alta gioielleria.

La collaborazione con Raf Simons

Nel 2020, Miuccia ha sorpreso il mondo della moda annunciando che il designer belga Raf Simons sarebbe entrato nel team Prada come partner creativo. Quando abbiamo chiesto a Simons perché avesse accettato, lui ha risposto semplicemente: «Miuccia». Entrambi gli interessati descrivono la collaborazione in termini di un incontro tra due menti. Come Miuccia, Simons non ha frequentato una scuola di moda (ha studiato design industriale) e non ha difficoltà ad ammettere di essere più interessato all’arte che ai vestiti. Per diverso tempo, lui e Miuccia avevano ammirato l’uno il lavoro dell’altra, affermando di cercare realtà, praticità, significato e, sì, utilità nelle rispettive collezioni. Quando hanno iniziato a collaborare, l’accordo era che nessuno dei due avrebbe realizzato un’idea dell’altro se non gli fosse piaciuta. A quanto pare, tuttavia, tale clausola si è rivelata inutile. «Abbiamo gli stessi gusti e il più delle volte abbiamo esattamente la stessa idea», dice Miuccia. «Raf è una persona molto cortese e intellettualmente onesta, la qualità più importante». E Simons: «È scattato un feeling incredibile. Siamo entrambi persone portate per il dialogo. A lei piace collaborare, le piace lavorare con gli altri, ne ha bisogno, credo. Qualsiasi cosa può essere un punto di partenza, a prescindere dal fatto che la amiamo o la odiamo, che la troviamo sciocca o divertente o triste o stupida o politica».

Sulla collaborazione tra Miuccia Prada e Raf Simons:

Miuccia afferma di essere molto consapevole della sua età: «Ogni mattina, devo decidere se sono una quindicenne o una vecchia signora prossima alla morte», dice. Ma la sua spinta creativa non si è affatto affievolita. La collaborazione con Simons – la loro sfilata P/E 2024 ha presentato nuove rielaborazioni di motivi militari e trasparenze sullo sfondo di una cascata di slime – coniuga elementi “cool” e commerciali suscitando il plauso della critica, mentre i recenti défilé di Miu Miu hanno saputo cogliere alla perfezione lo Zeitgeist. Quegli abiti per la P/E 2022 che sembravano tagliati con la forbice – «volevo fare dell’ironia sulle zone erogene», dirà poi Miuccia – sono subito diventati virali su TikTok. In passerella, hanno sfilato sullo sfondo di un film dell’artista marocchina Meriem Bennani, tra i creativi a cui sempre più spesso Miuccia chiede di realizzare video per accompagnare le sfilate.

Maria Bianchi voleva essere diversa. Miuccia Prada ha lavorato duramente per essere brava e fare bene, e poi per migliorare e fare di più. «Spesso mi chiedono se sono soddisfatta dei risultati che ho ottenuto», dice. «A essere franchi, non potrebbe importarmene di meno. Io penso a quello che devo fare dopo. Sono ambiziosa, voglio essere brava. E a volte penso di esserlo, ma dura solo un attimo». Ammette di trovare difficile essere orgogliosa di se stessa.

«“Discreto” non è abbastanza», dice a proposito di una mostra passata che non è andata come sperava. «Per me, è stato un fallimento». Evita persino di entrare nei suoi negozi, perché «la mia immaginazione vola così in alto che ho paura della realtà».

Le chiediamo se sia difficile essere un marchio. «Disegnarlo, no», risponde. «Perché si tratta fondamentalmente di ciò che ci piace. Il concetto è facile. Ma poi bisogna viverlo, incarnarlo, esserne responsabili». Dice che le piacerebbe potersi concentrare sulla pura creatività, trascorrere l’intera giornata a lavorare solo sulla moda – «sarebbe come una vacanza» –, ma «ogni singolo giorno devi trovare una soluzione ad almeno una ventina di problemi diversi, e farlo in modo creativo». E aggiunge: «Adesso dobbiamo anche risolvere la questione del Capodanno cinese…». A quanto sembra, nessuno ha ancora partorito una buona idea per l’allestimento delle vetrine. Le chiediamo se sia coinvolta anche in questo genere di decisioni: «Sono coinvolta in tutto», risponde. Azzardiamo l’ipotesi – peraltro non nuova – che possa essere una perfezionista: «Sì», ammette, «è possibile».

La Miuccia privata

Riguardo all’ultimo terzo della sua vita, quello rappresentato dalla famiglia e dal divertimento, Miuccia è reticente. Dalle interviste precedenti sono emersi solo pochi dettagli di scarso rilievo: ama il contatto con la natura, soprattutto in montagna, si taglia i capelli da sola, beve una tazza di acqua calda appena alzata al mattino... Nel corso della nostra conversazione, ci rivela che i figli e il marito sono dei patiti dei fornelli e l’hanno da tempo estromessa dalla cucina, poi ci parla del giardino esotico che sta allestendo nella sua casa nel Sud Italia. Racconta anche di aver perso diverse persone care negli ultimi anni, ma aggiunge: «Di recente, sono di nuovo di buon umore». Questa parte della sua vita, insomma, sembra essere non meno ricca e piena delle altre.

Miuccia Prada è il volto pubblico di un marchio globale, ma ha scelto di non essere presente sui social media, appare raramente in televisione e, a volte, sembra timida in pubblico, come quando, al termine di una sfilata, si inchina al pubblico per un attimo e poi sparisce dietro le quinte. «Può sembrare molto riservata», dice Bertelli. «Ma è una questione di privacy. In realtà, non è timida».

Quando gli abbiamo chiesto cosa rende felice la moglie, lui ha risposto: «È felice quando lavora, quando fa cose belle, quando viaggia, quando passa del tempo con persone intelligenti». Secondo Lorenzo, la madre è felice soprattutto quando è con la sua famiglia. «E ora che ha una nipotina (la figlia di Lorenzo, ndr)», aggiunge, «è sicuramente super felice».

In effetti, quando le facciamo una domanda in proposito, lei reagisce con un ampio sorriso. «Devo imparare tutto», dice. «Non so come si educhino i bambini, oggi. Inoltre, crescerli significa avere a che fare con i media, gli smartphone e così via, tutte cose che non padroneggio». Riflette per alcuni istanti, quindi aggiunge: «Ma penso che sarò una buona nonna. Di quelle che insegnano, ma sanno essere anche divertenti».

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