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Partecipare a una sfilata: il racconto, davvero emozionante, di una prima volta in passerella

L'agitazione, ma anche la convivialità. Senza dimenticare che, anche la moda, può essere un atto politico
partecipare a una sfilata

Partecipare a una sfilata: il racconto, davvero emozionante, di una prima volta in passerella

Quando meno te l’aspetti, arriva l’invito da parte degli amici Benjamin Huseby e Serhat Işık, i fondatori del brand berlinese GmbH, a sfilare a Parigi durante la settimana della moda maschile. Il sì è immediato e deciso – quando mai ricapiterà una tale occasione per stuzzicare l’ego? –, e immancabilmente seguito, quando ormai è troppo tardi per tirarsi indietro, da quel pizzico di ansia che caratterizza tutte le nuove esperienze. La mente, nel cuore della notte, corre a immaginare il peggio: uno svenimento dovuto all’emozione; una serie incontrollabile di starnuti; una gamba informicolata; un’improvvida goccia d’olio sulla passerella seguita da una caduta rovinosa, nell’ilarità generale.

Michele Fossi alla sfilata di GmbH

Giovanni Giannoni

All’arrivo nel backstage, il giorno della sfilata, l’elettricità che si respira nell’aria, per fortuna, trasforma ogni residuo timore in una gran voglia di divertirsi. L’esperienza di partecipare a una sfilata equivale soprattutto a essere privilegiati testimoni di quello che avviene nel backstage nelle tre ore che precedono il minuto scarso sotto i riflettori. Nell’attesa di indossare gli abiti, tra un tè e una tartina, si fanno incontri interessanti. Si tratta infatti di una sfilata speciale per il duo Berlinese – la più politicamente impegnata della loro carriera – per la quale hanno messo su un cast speciale, composto non solo da modelli professionisti come Ahmad Kontar, Vasko Luyckx e Noureddine Boudaakat, ma da molti amici del duo creativo berlinese: come le stiliste Anaa Saber e Dilara Fındıkoğlu; l’attrice Sonia Lethi; i pittori Oliver-Bijan Daryoush e Gaby Sahhar, la consulente creativa Emman Debattista, il ballerino Thibault Lac, lo stilista Edward Buchanan, l’artista Ali Cherri, il DJ e musicista Ashland Mines AKA Total Freedom, l’attore Felix Maritaud ed il compositore Billy Bultheel. Tutt’attorno, un brulicante insieme di api operaie – stylist, broomer, make up artist e fotografi – mandano avanti intanto l’alveare. Un’ora e mezza prima dello spettacolo anche noi indossatori veniamo coinvolti nel turbine, in quello che sarà un inesorabile crescendo di preparativi febbrili ed eccitazione nell’aria. Prova abito, brief sul ritmo della camminata da tenere in passerella, trucco, shooting nel backstage e on stage. Ci si complimenta a vicenda per il look, ci si aiuta vicendevolmente a chiudere una zip o a rintuzzare una camicia. L’atmosfera si fa quella di una festa in maschera: l’ennesima riprova che l’atto di vestirsi, se condiviso, è un atto eminentemente gioioso. Finalmente libera dal cellofan e indossata dai modelli, la collezione si mostra in tutta la sua forza; sexy e fluida, come nella tradizione del brand, con gli immancabili stilemi cari a Işık e Huseby: doppie zip, pantaloni in vinile, tagli circolari e diagonali, calligrafia araba e falsa pelliccia.

I ripetuti riferimenti alla kefia palestinese in particolare, presentata come tale, di colore verde, avvolta attorno al volto dei modelli, o come pattern di giacche e pantaloni, fanno di questa collezione un forte statement di sostegno alla causa del cessate il fuoco a Gaza: un invito a non volgere lo sguardo altrove e dimenticare la nostra umanità, in un periodo storico segnato da una delle più grandi catastrofi umanitarie dal dopoguerra. Discutibile strategia di marketing? Chi conosce il duo personalmente, come chi scrive, sa che l’impegno è di lungo corso, e iscritto fin dall’inizio nel DNA del marchio berlinese.

Sfilata GmbH

Poi scende il silenzio: sono state aperte le porte agli invitati, il backstage, per quanto infervorato, deve tacere, o quanto meno parlare sottovoce. Benjamin e Serhat iniziano un’accorata speech. «Negli ultimi sei anni, con GmbH abbiamo voluto mostrare la bellezza della nostra heritage, o meglio: abbiamo voluto mostrare la nostra umanità, che noi, figli di immigrati musulmani in Europa, non siamo terroristi», esordisce Serhat Işık. «La demonizzazione dei musulmani, che abbiamo visto crescere ulteriormente dopo l’11 settembre, ha portato ad un’attenzione spropositata all’aspetto dei musulmani. Ma sono i secoli di disumanizzanti stereotipi orientalisti che ci hanno condotto alle più mortali delle sofferenze». «Come molti altri, abbiamo passato molte notti insonni dopo aver assistito alle immagini più violente e da incubo che abbiamo mai visto, trasmesse per la prima volta in livestreaming nei nostri telefoni», prosegue Benjamin Huseby. «Per far fronte a queste emozioni intense, all'impotenza e ai limiti dei social media, (..), come una sorta di terapia collettiva, abbiamo dimostrato quasi settimanalmente nelle strade di Berlino, Parigi e Londra. Abbiamo chiesto un cessate il fuoco immediato, il rilascio di tutti gli ostaggi, una Palestina libera e la fine dell'occupazione. Tutte richieste che riteniamo incontestabili. Abbiamo letto, discusso, (..) e siamo stati persino arrestati per il nostro attivismo». Huseby passa poi a citare alcuni passaggi del discorso Come September tenuto nel 2002 alla Lannan Foundation dalla scrittrice e attivista indiana Arundhati Roy. «Il tempo è arrivato», disse il tricheco. «Forse le cose peggioreranno prima di migliorare. Forse c’è un dio minore lassù in cielo che si sta preparando per noi. Non solo un altro mondo è possibile: è già in cammino verso di noi. Forse molti di noi non saranno qua a salutarlo – e qua la voce di Huseby si rompe – ma in un giorno tranquillo, se tendo bene l’orecchio, sento che sta respirando».

Benjamin Huseby e Serhat Işık

Giovanni Giannoni

Uno struggente lamento d’amore in lingua araba, Ouhibouka Aktar di Marcel Khalife, dà inizio allo show. A noi modelli viene chiesto di disporsi in fila indiana, in base ad un ordine d’uscita in passerella studiato nel dettaglio. La make up artist, come un’ape operosa, si posa via via su ognuno di noi come fossimo fiori di campo, spennellando di fard una volta una guancia, una volta un contorno occhi. Un’addetta alle tempistiche, cronometro in una mano e tabella dei tempi di entrata nell’altra, tiene il ritmo della sfilata. Arrivato il mio turno, come a un pit stop di Formula 1, un numero imprecisato di mani sistema in pochi secondi gli ultimi dettagli dell’outfit. Una rintuzzata al maglione, un’ultima spennellata di fard, fino all’atteso You can go dell’addetta cronometro: il cuore palpita un po’ più veloce del solito, tre passi veloci dietro le quinte, e di colpo è tutto luce.

Sfilata GmbH Foto di Ines Chamai