Storia dell'Harry's Bar di Venezia: locale simbolo di una città, è anche somma dei tanti volti che l'hanno visitato, amato. Da Hemingway all'Avvocato, da Truman Capote a Peggy Guggenheim, al vero signor Harry
Per tutto il mondo è il locale simbolo di Venezia, più dei caffè storici di Piazza San Marco, più di qualsiasi altro negozio che vende le produzioni del nobile artigianato lagunare. Per Arrigo Cipriani, invece, Harry's Bar, anno di fondazione 1931, è semplicemente “la Stanza”, quattro metri e mezzo per nove (centimetro più, centimetro meno), in cui è “prigioniero” da quasi settant'anni. Una stanza dove, come ha scritto in uno dei suoi libri, Prigioniero di una stanza a Venezia (Feltrinelli), ha conosciuto il mondo: «Non perché sia andato a visitarlo di persona, ma perché lui stesso è venuto a trovarmi come un buon amico – e qualche volta anche come un nemico, perché stare in una stanza a servire tutti quelli che decidono di venirci non è sempre rose e fiori e compagnia bella».
Gin per Hemingway, champagner per Welles
L'elenco dei frequentatori e dei clienti è una sorta di “albo d'oro” degli ultimi novant'anni. Un albo in cui è iscritto, naturalmente, il nome di Hemingway: «Mangiava un po' di tutto. E beveva gin, credo». Il “credo” è legato a un semplice fatto: Hemingway era amico di Giuseppe Cipriani, padre di Arrigo e fondatore dell'Harry's, che frequentava il locale quando Arrigo era bambino e al bar non lo facevano entrare. C'è Woody Allen («Va pazzo per i tagliolini al pomodoro»). E poi l'avvocato Agnelli che amava il cocktail Martini e lo voleva «metà gin e metà vodka e con una goccia di vermouth Stock, di cui era tra le altre cose il proprietario e che io non tenevo nella Stanza».
Gli altri protagonisti dell'Harry's sono stati ricordati da Cipriani nelle interviste che ha rilasciato negli anni. Di Orson Welles raccontò al Corriere: «Appena lo vedevamo entrare, gli portavamo una bottiglia di Dom Pérignon ghiacciato e dodici sandwich ai gamberetti. Una volta partì senza pagare. Lo inseguii in stazione. Mi disse: sali in treno con me, ti porto a Parigi!». Di Aristotele Onassis: «Pretendeva di spaccare i piatti, alla russa». E poi la nobiltà veneziana. Dalla contessa Morosini, che cercò di vendere al padre una scatola di caviale acquistata all'Harry's Bar da Hemingway per farle un omaggio, alla contessa Volpi, che mangiava solo il risotto del cuoco Enrico, fino alla contessa Venini che nel 1976, quando tremò il Friuli e ballò tutto anche a Venezia, davanti ai quadri che cadevano e alla fuga generale dal locale, disse: «Mio buon Cipriani, cos'è questa confusione?». Il terremoto, contessa. «Ah, che cosa spiacevole!».
E ancora le lady inglesi come Diana Cooper: «Una delle donne più belle del mondo. Un giorno che era a tavola con le giovani nipoti, che continuavano a frequentare la toilette, guardandole con divertita commiserazione mi disse sorridendo: “Cipriani, quando ero giovane non facevo mai la pipì”». E tanti i divi di Hollywood, che frequentavano l'Harry's un po' in occasione della mostra internazionale del cinema e un po' semplicemente quando facevano tappa in laguna. Tra i più affezionati compaiono i nomi di Katherine Hepburn e Gary Cooper, Georges Braque, Truman Capote, Charlie Chaplin, Peggy Guggenheim…
La base di un impero
Dal 2001, in occasione dell'ottantesimo anniversario dalla fondazione, Harry's Bar è monumento nazionale per dichiarazione del Ministero dei Beni culturali. Non è un luogo di sperimentazioni gastronomiche né un palcoscenico per gli chef, anzi... Arrigo Cipriani non ha mai nascosto la propria antipatia per la trasformazione dei cuochi in divi e qualche anno fa disse che: «Gli chef stanno rovinando la grande cucina italiana. Da me lavorano solo cuochi». Alle stelle Michelin, che l'Harry's non vanta, Cipriani non tiene minimamente, tanto da appellare la Rossa come «la guida francese dei copertoni». Del resto la verve di Arrigo è nota e anche oggi, a 92 anni compiuti, non perde occasione per far sentire la sua voce su temi di contemporanea urgenza, come quello della ricerca del personale, che anche l'Harry's non trova: «L'Italia è una Repubblica fondata sulle ferie», ha affermato.
Harry's Bar è il punto di partenza – e di riferimento – di un impero della ristorazione di impronta italiana e di diffusione internazionale. Il gruppo è presente con i suoi ristoranti a New York, Las Vegas, Miami, Doha, Abu Dhabi, Istanbul, Riyadh, Londra, Hong Kong, Montecarlo, Ibiza e Marbella. E poi ci sono gli hotel a New York, Punta del Este, Miami e Milano. La sua fama nel beverage è legata ai cocktail e in particolare al Bellini, ideato da Giuseppe Cipriani nel 1948 e composto da prosecco, polpa e succo di pesca. Il marchio Cipriani oggi contraddistingue una selezione di prodotti alimentari (pasticceria, vini, pasta, olio, conserve), di oggetti per la tavola e di spirits.
Harry's Bar di Venezia e il vero signor Harry
Da quella stanza di quattro metri e mezzo per nove, ne è stata fatta di strada e se oggi ci fosse qui Harry, direbbe che i suoi soldi sono stati investiti bene. Perché il nome del locale è legato a un americano, Harry Pickering, che nel 1927 viaggiava a Venezia con la nonna, la quale un giorno decise di partire lasciando il nipote in hotel senza un soldo. In quell'hotel lavorava Giuseppe Cipriani, e diede in prestito 10mila lire – all'epoca una bella cifra – al giovane, permettendogli di tornare a casa. Qualche anno dopo Harry tornò a Venezia e restituì la cifra all'amico, moltiplicandola per quattro. E quando, grazie all'inatteso regalo di gratitudine, Giuseppe Cipriani aprì il suo locale, la sua “Stanza”, la dedicò ad Harry. Perché, in fondo, quella stanza era anche un po' sua.
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