“Corpi liberi”, il nuovo podcast che racconta la disforia di genere 

Un giorno una figlia 13enne racconta a sua madre di essere trans e non binaria. Oggi, Silvia e Alex raccontano la loro storia con un approccio diretto e incisivo. Per normalizzare una situazione ancora stigmatizzata
“Corpi liberi” il nuovo podcast che racconta la disforia di genere

Il podcast sulla disforia di genere “Corpi liberi”, disponibile su Spotify, è un viaggio a tre per raccontare in maniera intima e personale un percorso unico. Lo ha realizzato la sceneggiatrice Silvia Ranfagni, che è anche una dei protagonisti della storia: è la mamma di una ragazza che alle medie le comunica di essere trans e non binaria. Oggi si fa chiamare Alex e, grazie all’amicizia di Mark, un ragazzo siciliano in transizione, apre ai genitori un mondo arcobaleno, ricco di tante sfumature ma anche pieno di traumi e ferite. Queste due giovanissime persone, infatti, hanno rifiutato il corpo in cui sono nate e si sono provocate, in maniera diversa, ferite autoinflitte fino a contemplare anche il suicidio. 
Il podcast, realizzato in collaborazione con Chora Media per il Pride Month, usa un approccio diretto, semplice, incisivo per normalizzare una situazione ancora stigmatizzata. Ce lo racconta Silvia Ranfagni.

Come spiega lei la disforia di genere a chi non ne ha mai sentito parlare?
La disforia di genere è un profondo disagio di un’identità che non appartenere al sesso attribuito alla nascita.  La domanda da porsi è: un organo definisce l’identità di una persona?   

Cos’è per lei un “corpo libero”?
Oggi siamo capaci di fare gli “scultori di noi stessi”, la chirurgia plastica ha cambiato il nostro rapporto con il limite del corpo. Quello contemporaneo – per la prima volta nella storia dell’uomo – è libero di essere l’idea di se stesso. 

Lei ha mai provato questo senso di libertà? 
Io appartengo a una generazione dove le orecchie a sventola erano già condanna a vita. Non potevi cambiare niente del corpo, che al tempo era un dato imprescindibile. Ora non lo è più. 

Il podcast racconta la storia di suo figlio Alex. Come lo ha “conosciuto”?  
Il racconto parte in un giorno qualunque, a novembre di quasi due anni fa, in cucina mentre sto scolando gli spaghetti e mia figlia – al tempo per me femmina – mi dice: “Mamma, sono trans”.

Qual è stato il primo pensiero in quel momento di coming out doppio - sia come trans che come non binario - di suo figlio?
Mi sono chiesta: “È vero o non è vero?”.  Parliamo di ragazzi piccoli, tredici anni è un’età in bilico sull’infanzia, quindi l’incredulità è una reazione comune tra i genitori. 

La sua più grande paura?
Mi chiedevo come sarebbe stato trattato mio figlio dagli altri. Gli altri. Gli altri. Sempre questi famigerati “altri” che nessuno sente di incarnare. Così ho scelto di fare qualcosa. 

Cos’ha capito grazie al viaggio di questo podcast?
È cambiata la nostra dinamica, perché ho cercato di testimoniare un cambiamento epocale nella mia vita, ma anche nella generazione di adolescenti che si affaccia alla pubertà in piena pandemia.

Nella storia raccontata nel podcast, lei ha anche conosciuto la mamma del fidanzato di Alex. Quale sono le preoccupazioni che vi accomunano? 
Volevamo conoscerci perché i nostri figli si frequentavano tutti i giorni. Abbiamo parlato come due mamme qualunque, non prive di imbarazzo: da parte mia volevo testare l’accoglienza di questa madre per il mio Alex e immagino lei volesse capire dall’incontro che razza di madre ci fosse dietro a qualcuno con un look sfidante come quello di figlio. Parlando con lei ho capito che non era ancora andata oltre il look. Del resto non sapeva nulla.

Che cosa spera per il futuro di Alex?
Spero che sia felice e realizzato nei suoi numerosi talenti. Questa è la vita che voglio per lui. E poi mettere al mondo una persona non vuol dire possederla. Credo che una madre debba insegnare l’autonomia, io sono qui per sostenere la vera espressione di se stesso, non per comandarla. 

Molte persone trans hanno raccontato episodi di aggressioni. Ad Alex sono capitati?
Alex è ancora un minore, quindi davanti alle autorità, all’anagrafe o a un check in, è sempre in compagnia. In strada, da solo, invece gli capita di essere insultato dai passanti: se ne sta per i fatti suoi senza importunare nessuno, ma viene aggredito verbalmente. 

Alex ha trovato istituzioni preparate durante il processo di transizione? 
Ho trovato il SAIFIP, il Servizio Adeguamento Identità Psichica con identità fisica, un servizio pubblico dell’Ospedale San Camillo, incredibilmente preparato. Politicamente invece si può fare molto meglio. 

Cosa pensa delle leggi italiane che impediscono sia un matrimonio paritario che l’adozione o la possibilità di ricorrere ad una madre surrogata?
Penso che arriveremo a una scelta individuale dentro a confini etici, ma il progresso scientifico è molto più veloce della società e quest’ultima può solo rincorrerlo.

Corpi liberi, il podcast

In apertura: il modello trans Nathan Westling fotografato da Willy Vanderperre, da L’Uomo, giugno 2019. A questo link lo shooting integrale

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