Louise Bourgeois: vita e opere della “donna ragno” dell'arte
Difficile liberarsi dalle tele tessute da Louise Bourgeois, donna-ragno dell’arte contemporanea. Lo sa perfettamente chi nella sua vita ha mai visto da lontano e poi magari è passato sotto a uno dei suoi giga-ragni (ad esempio, quello vicino al Guggenheim di Bilbao). Bourgeois ha quella dote rara nel mondo dell’arte di saper entrare subito sotto pelle: vedi un suo lavoro e vuoi immediatamente saperne di più ed è allora che lei ribalta il banco delle possibilità e disvela nuovi mondi. I suoi Spider (ne ha fatti parecchi, alcuni ciclicamente vanno in asta, l’ultimo lo scorso anno è stato battuto per oltre 30 milioni di dollari) vi fanno pensare a Kafka? Siete fuori strada. «Il ragno è un’ode a mia madre. Lei era la mia migliore amica. Come un ragno lei era una tessitrice», diceva sempre.
Riannodiamo allora il filo del discorso, anche perché siamo in un periodo fortunato: questa settimana in Italia hanno aperto due importanti mostre dedicate a Louise Bourgeois che aiutano a districarsi nella ragnatela della sua vasta e complessa produzione. A Firenze, ad esempio, troviamo adesso suoi disegni, gauche e opere su carta al Museo Novecento di Firenze (titolo che già dice tutto: Do Not Abandon Me). Sono quasi centro opere che ci parlano di una delle ossessioni di Bourgeois: la diade mamma-bambino.
Vita di Louise Bourgeois: tra padre e madre-ragno
Sono disegni che l’artista ha realizzato negli ultimi anni di vita, un'esistenza che merita di essere raccontata nel dettaglio. Bourgeois nasce nel 1911 a Parigi. I suoi genitori fanno un lavoro molto particolare: restaurano arazzi. La questione della trama e dell’ordito s’incista in Louise fin da subito: la tessitura è casa, è rassicurante. Ma poi arriva la Grande Guerra: il padre combatte al fronte, viene ferito, non si trova. Louise e la madre passano mesi a cercarlo negli ospedali di mutilati: l’uomo alla fine si salva ma torna dal conflitto devastato. Si chiude in sé stesso, si dà alla frequentazione di bordelli, tradisce ripetutamente la madre: noi queste cose le sappiamo perché è l’artista stessa ad averne parlato diffusamente. Il padre spesso porta la piccola Louise con sé durante le sue avventure extraconiugali, arrivando persino a coinvolgerla, come confidente, nella relazione che aveva intrecciato con l’insegnante di inglese della ragazzina. Che il senso di abbandono, il tradimento, l’ossessione per il corpo femminile siano al centro della sua produzione artistica non sorprende. E che Bourgeois sviluppi un rapporto unico, quasi morboso, con la madre, il grande ragno rassicurante che tesse la tela per dar da mangiare alla famiglia, neanche. Nella grammatica dell’arte che Louise Bourgeoise svilupperà, la madre è, appunto, il ragno, mentre il padre è la cella. Li vediamo entrambi a Firenze: nel cortile del Museo Novecento è esposta ora una delle opere più emblematiche (Spider Couple, del 2003) mentre nell’Istituto degli Innocenti, ecco Cell XVII (Portrait), di forte impatto visivo.
Louise Bourgeoise nel frattempo diventa adulta, supera anche se con enorme difficoltà la morte della madre, e conosce Robert Goldwater, uno storico dell’arte, lo sposa e compie una scelta che le salva la vita: nel 1938 dice addio a Parigi, alla tossica situazione della famiglia d’origine, e con il marito se ne va a New York. Vuole fare l’artista e ce la mette tutta. Si dà alle incisioni poi passa alla scultura, che da questo momento (siamo nel 1949) diventa la sua forma di espressione preferita. A New York conosce e frequenta persone come Le Corbusier e Duchamp, qualcuno comincia a credere nel suo talento, fa le prime mostre. Ma non riesce a cancellare il passato.
La vita oltreoceano a New York, le ispirazioni e i viaggi
Arriva un nuovo colpo: nel 1951 il padre di Louise Bourgeois muore e dall’altra parte dell’Oceano l’artista piomba in una depressione profonda. Per dieci anni vive una vita ritirata: diventa madre di tre figli maschi, ma niente mostre e vita pubblica ridotta al minimo. Continua però a tessere la sua tela: lavora in casa, sperimenta con i materiali, specie con i tessuti. Viaggia in Europa: nel ’67 è a Roma, visita la Galleria Borghese, rimane abbagliata dal Bernini (lo sappiamo dai suoi diari e dalle lettere che scriveva al marito) e su questo legame è costruita la suggestiva mostra ora in corso a Roma, proprio nelle sale del celebre museo. Si intitola L’Inconscio della memoria ed è la prima mostra temporanea che la Borghese dedica a un’artista donna: una ventina di notevoli opere scultoree raccontano dei suoi viaggi in Italia, nella capitale e in Versilia, e dei suoi ragionamenti sul tema della metamorfosi, del cambiamento di stato, del confronto tra l’arte antica e quella del suo tempo, permeata dall’inconscio, dalla psicoanalisi.
Quella perdita che diventa il detonatore della sua creatività
Negli anni Settanta l’artista produce molto, ma ancora senza grande successo. Le sue opere crude, con i corpi martoriati che portano alla luce i disturbanti ricordi dell’infanzia, sono forse eccessive. Nel frattempo, un nuovo lutto: nel ’73 viene a mancare l'amato marito. Una perdita che avrebbe potuto risultare devastante come quella della madre (sappiamo che all’epoca l’artista tentò il suicidio), diventa paradossale detonatore alla sua creatività. L’artista in poco tempo ribalta casa, la trasforma in un atelier aperto a giovani artisti e pare aver ritrovato un’energia mai avuta. Il mondo dell’arte – meglio tardi che mai – se ne accorge: a settant’anni Bourgeois è riverita come una “matriarca”, il MoMa di New York nel 1982 le dedica un’ampia personale (ed è la prima volta che lo fa con una donna). Arriverà poi la partecipazione a Documenta, nel 1992, e alla Biennale di Venezia nel 1993. E così ci ritroviamo un’artista incredibilmente generativa e (quasi) riappacificata nei suoi ultimi anni di vita, nella sua terza e quarta età. Bourgeois muore a New York a 98 anni, attivissima fino all’ultimo: insiste sulla serie delle “Celle”, che riempie di oggetti personali, persino ghigliottine, per esorcizzare un dolore mai sopito fin dall’infanzia, si dedica a disegni che inneggiano alla sessualità, alla maternità (ma anche al tradimento, all’abbandono), indugia sui ragni, «presenze amichevoli che mangiano le zanzare» (il primo e più imponente è del 1999 e si chiama, non a caso, Maman).
Unica e irripetibile, Louise Bourgeois ha attraversato un’ampia gamma di media, si è mossa tra il figurativo e l’astratto, è diventata un’icona quando ormai era anziana grazie alle sue impressionanti sculture-ragno, per tutta la vita ha lottato contro la rabbia, la paura, la solitudine. Non ha mai nascosto né stemperato il suo dolore, ma è stata brava a non farsi triturare del tutto: la sua reazione alla vita è diventata una forma d’arte cui, ancora oggi, facciamo fatica a resistere.
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