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«La cura è un atto epico». L'artista francese Camille Henrot racconta la nuova opera sul dolore climatico a Videocittà

Il festival di cultura digitale ha portato a Roma installazioni immersive, videoarte, talk e dj set. In questo contesto l'artista ha presentato il trailer della sua ultima opera sulla crisi e sul dolore climatico
Camille Henrot intervista all'artista francese al festival Videocittà
Maria Fonti. Courtesy of the artist

Camille Henrot, intervista all'artista francese che ha presentato il trailer della sua ultima opera In the Veins al festival dell'audiovisivo Videocittà a Roma

«A sei anni ero già appassionata di moda. Facevo molti disegni di donne con vari abiti, ispirati a quelli che vedevo su Vogue. Sono nata nel 1978, ho sempre amato molto quello stile di donna forte che tanto era in voga negli anni Ottanta», mi racconta l’artista francese Camille Henrot mentre, in una calda notte estiva, beviamo una birra all’interno di un gigantesco gasometro.

Potremmo essere a Berlino o a New York, magari nell’Art District di Pechino, invece siamo a Roma, a Videocittà, il festival della visione e della cultura digitale che ogni estate accende le sere della città. Mentre parliamo, intorno a noi è tutto un luccichio di installazioni immersive e videoarte, in lontananza l’opera site-specific Nebula firmata da Quiet Ensemble e Giorgio Moroder illumina le teste delle centinaia di vistatori. È tutto un vociare di talk e DJ set. Henrot ha appena presentato al pubblico il trailer della sua opera in progress In the Veins, oltre ai suoi lavori più celebri come Grosse Fatigue — Leone D’Argento alla Biennale di Venezia del 2013 e Tuesday nell’ambito della rassegna di videoarte curata da Ra Di Martino e Damiana Leoni.

Camille Henrot, Grosse Fatigue (still), 2013. Courtesy of the artist, Silex Films, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

Camille Henrot, Grosse Fatigue (still), 2013. Courtesy of the artist, Silex Films, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

Camille Henrot, Grosse Fatigue (still), 2013. Courtesy of the artist, Silex Films, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

«Ai miei genitori chiedevo di comprare Vogue Italia, invece che l’edizione francese, perché amavo l’atmosfera sognante delle foto selezionate da Franca Sozzani. Adoravo le foto di Peter Lindbergh, il taglio cinematografico degli scatti. Credo che quelle pagine, praticamente delle storie in immagine, abbiano giocato un ruolo fondamentale nel mio desiderio di fare cinema».

Alla luce di questa considerazione non è difficile notare le corrispondenze tra le storiche cover di Vogue Italia, scattate da Steven Meisel, e il lavoro di Henrot. Un lavoro che attraverso vari medium – dal video all’ikebana, passando per il pre-cinematografico zootropio e per la pittura — si concentra sugli istinti che ci rendono umani, ispirandosi al mondo della pubblicità, dei manga, dei video musicali e al cinema sperimentale del secolo scorso.

Camille Henrot, Tuesday (still), 2017. Courtesy of the artist, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

Camille Henrot, Tuesday (still), 2017. Courtesy of the artist, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

«Sono molto concentrata sullo studio dei comportamenti umani e a ciò che definisce l’essere umano. Mi interessano i desideri e gli atti primitivi come il sesso, il cibo e la spiritualità. Ultimamente mi sto concentrando sulla famiglia perché trovo che la cura sia un istinto elementare».

Camille Henrot, In The Veins (in progress), 2024. Courtesy of the artist, Mennour (Paris) and Hauser & Wirth.

E proprio attorno al concetto di cura ruota In the Veins che tratta del rapporto umano con l’estinzione di massa e la crisi climatica, e della pervasività del sentimento che accompagna il dolore climatico. «Mi sento molto vicina alla natura, credo che nell’universo sia tutto interconnesso. Assistere a questo momento di crisi climatica ed estinzione di massa mi suscita molta tristezza. Una tristezza, una perdita, che oggi non riusciamo ad esprimere perché non abbiamo un linguaggio per farlo», specifica Henrot. «Il concetto di cura mi interessa particolarmente, perché oltre ad essere un’idea alla base di molti lavori femministi, è la chiave per affrontare questa situazione che stiamo vivendo. Bisogna capire che la cura è un atto epico, un atto di gloria. Non è momento di creare qualcosa di nuovo, non è momento di distruggere come nel punk. Ora è il momento di conservare, di curare».

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