Al Santarcangelo Festival 2024 corpi e performance per costruire un mondo nuovo

La rassegna While We Are Here riscopre la possibilità di agire per cambiare il contemporaneao
Sandra Calderan e Rbecca Chaillon La gouineraie
Sandra Calderan e Rébecca Chaillon, La gouineraieFoto: Pietro Bertora

Al Santarcangelo Festival 2024 performer di tutto il mondo hanno cercato di sovvertire gli equilibri di potere che vivono in un mondo da relegare ormai al passato

Seguire il Santarcangelo Festival 2024 significa entrare in una comunità di persone unite nel credo di un nuovo ordine: postcoloniale, derazzializzato, finalmente in pace, fondato sui diritti civili, rispettoso dell’ambiente e di tutte le sue creature. In 54 (!) anni di vita della manifestazione le istanze artistiche sono andate al passo delle grandi questioni della contemporaneità, che oggi sembrano invece sopraffarci. While We Are Here, il titolo pensato dal direttore artistico del festival Tomasz Kireńczuk, mira a sottrarci dal ripiego dell’impotenza. È vero, mentre siamo qui, a Santarcangelo, nel mondo non si placano guerre e conflitti, capitalismo e neoliberismo sfruttano i lavoratori e depredano il pianeta, aumenta il divario tra i sempre più ricchi e i sempre più poveri, i diritti delle minoranze, etniche e di genere, vengono calpestati.

Ma è proprio qui, tra individui che riconosciamo accomunati dal nostro stesso sentire, mentre godiamo del piacere di assistere a performance artistiche nei luoghi della memoria storica di Santarcangelo o tra la sua dolce natura non del tutto antropizzata, consapevoli delle iniziative di sostenibilità attuate anche quest’anno, che possiamo ancora sperare di incidere sul cambiamento necessario, epocale se riusciremo a realizzarlo.

Foto: Pietro Bertora

Difficile rendere conto esaustivamente di un festival che per dieci giorni ha presentato una messe di proposte artistiche, succedutesi a ritmo serrato in venue tradizionali come i teatri all’italiana dei dintorni, in spazi riadattati ad uso teatrale come l’antico Lavatoio o l’ex cementificio Buzzi, nell’alveo del fiume Marecchia o nel prato del parco Baden Powell allestito anche per ballare la notte con il dj set, spostandosi a piedi o sulla flotta di "ri-ciclette" a disposizione, con pause di ristoro al Centro festival in piazza Garganelli dove si servono cibi autentici e locali, a zero sprechi.

Da sempre a Santarcangelo si scopre l’avanguardia attuale: artisti di diverse generazioni, provenienti da tutto il mondo, così come il meglio della scena italiana, in questa edizione Claudia Castellucci, il duo Panzetti-Ticconi, Stefania Tansini tra gli altri. Ciò che a prima vista si nota è come una programmazione un tempo per lo più teatrale sia diventata ormai prevalentemente performativa: più che la parola a imporsi oggi è il corpo, forse l’ultima risorsa che ci è rimasta. Un corpo ferito, fragile, non conforme, volutamente modificato, esposto con crudezza, agito anche brutalmente, strumento di resistenza e di lotta.

Davi Pontes e Wallace Ferreira, Repertorio N.2Foto: Pietro Bertora

Dominanti in questa edizione del festival le tematiche LGBTQIA+, con una falange di performer attivisti contro le strutture “ciseteropatriarcali” delle società occidentali, in prima linea due coppie artistiche dalla forte presenza fisica. Il duo maschile composto dai brasiliani Davi Pontes e Wallace Ferreira, al festival con il N.2 e il N.3 della trilogia Repertorio, nella nudità dei loro corpi black, scolpiti dalle arti marziali e dalla capoeira, ingaggia una nuova danza di autodifesa. Mentre la coppia Sandra Calderan e Rébecca Chaillon, entrambe impegnate in collettivi queer, con La gouineraie mostra con orgoglio e umorismo la propria identità di donne lesbiche, decostruendo il modello di famiglia tradizionale: bianca, eterosessuale, cattolica.

Sandra Calderan e Rébecca Chaillon, La gouineraieFoto: Pietro Bertora

Il peccato inestinguibile del colonialismo è urlato in faccia con rabbia e risentimento, a una platea interamente bianca che non può che vergognarsene, da Rectum Crocodile, tra gli spettacoli che più hanno colpito al festival: stravagante combinazione tra fiaba nera, racconto a tableaux, fashion show. Ne è autore colto e lucido Marvin M’toumo, 30enne originario della Guadalupa che vi compare anche come performer, rapinoso e fluttuante su tacchi altissimi travestito da volatile e da felino. Con lui quattro eccellenti interpreti nere, implacabili nel ricordarci le violenze, gli stupri, le razzie europee dell’epoca coloniale, di volta in volta in vesti di schiave, animali, piante: tutte creature brutalmente violate. Così da suonare irrisoria e sinistra la voce argentina di un bimbo che scandisce con innocenza il racconto. Né le uscite da passerella del favoloso bestiario ispirato al carnevale caraibico che rivela il penchant per la moda di M’toumo (recente una sua collaborazione con Jean-Paul Gaultier) tolgono nulla alla drammaticità della pièce.

Agata Siniarska, null&voidFoto: Pietro Bertora

Un urlo fisico per l’inquinamento dell’aria, del suolo, dell’acqua e per la distruzione della biodiversità di cui la guerra è responsabile, si leva anche dell’artista polacca di base a Berlino Agata Siniarska con il solo null&void. Mentre resta trattenuto l’urlo di dolore delle 12 prefiche di nero vestite che sul greto di un fiume ormai disseccato sfilano lugubri in processione, piangendo l’acqua perduta, nell’elegia funebre The Last Lamentation dell’artista Valentina Medda.

Valentina Medda, The Last LamentationFoto: Pietro Bertora

Quando il corpo umano torna ad essere protagonista attraverso la fisicità esposta della danza, non nasconde le sue ferite. Come in CrePa, passo a due coreografato da Sara Sguotti, che ne è anche interprete insieme a Arianna Ulian, performer e scrittrice. I suoi versi risuonano nella scatola chiusa del teatrino “Petrella” di Longiano alludendo a malattie, attese, cure, mentre le contrazioni corporee della patologia sembrano dettagli coreografici.

Sara Sguotti, CrePaFoto: Pietro Bertora
Dalila Belaza, RiveFoto: Pietro Bertora

A chiudere il festival con una virata inattesa è ancora la danza, ma nell’accezione di finissima composizione coreografica per danzatori di spiccato virtuosismo, in scena nel prezioso scrigno classico del Teatro Galli di Rimini. Rive, creazione per sette interpreti di Dalila Belaza, sembrerebbe avulsa dal contesto “politico” di Santarcangelo dacché la coreografa, programmaticamente, non deraglia dall’astrazione nel suo corpus di opere. Sembrerebbe strano vista la storia della sua vita, che ci racconta quanto basta a immaginarne le difficoltà: nata in Algeria, è emigrata bambina con la famiglia in Francia, dove insieme alla sorella Nacera ha iniziato soltanto da adulta a esprimersi attraverso la danza. Inizialmente in coppia con passi a due dall’andamento austero eppure densi di memorie, negli ultimi anni in autonomia, interprete e coreografa per sé e per sempre più numerosi ensemble.

Da un recente lavoro con una compagnia francese di balli folkloristici è venuto il nucleo della nuova creazione: il pas de bourrée, ovvero un passo del balletto classico che – ci ha detto Dalila di aver scoperto – si ritrova in tanti generi di danze, espressioni di diverse culture. Lei in Rive lo ha usato come base di una composizione rigorosa eppure emozionante, che dietro l’astrazione della forma cela un’antica memoria comune. Così come condivisa – ha voluto precisare ancora la coreografa – dev’essere l’esperienza quotidiana di vita e di lavoro della sua comunità di danzatori. Non è anche questo il senso del Santarcangelo Festival?

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