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Abbiamo dato alle scarpe col tacco il potere di trasformarci, ed è per questo che non smetteremo mai di indossarle

“Tacco alto” è il titolo del saggio di Summer Brennan in cui indaga i tacchi come strumento di potere politico e sessuale
The latest in teenage fashion the long pointed shoe or winklepicker stiletto.
The latest in teenage fashion; the long pointed shoe, or winkle-picker stiletto. (Photo by Keystone/Getty Images)Keystone/Getty Images

Tacco alto, il saggio di Summer Brennan che indaga le scarpe col tacco come strumento di potere politico e sessuale

Mia mamma non ha mai avuto un paio di tacchi e io, di conseguenza, li ho sempre desiderati. Più le indicavo le amiche del mare che a dieci anni ciabattavano in spiaggia con il loro tacco di tre centimetri dentro alle scarpine taglia 28, più lei si ostinava a raccontarmi qualche bugia su quanto facesse male indossarli quando sei piccolina. Poi non cresci più, poi il piede si arcua per sempre, poi credono che sei grande e ti mettono a lavorare. Mi raccontava sempre che lei non ha messo i tacchi nemmeno il giorno del suo matrimonio, mentre mi mostrava quelle ballerine bianche di vernice perché fossero d'esempio per me, privandomi in un certo senso di quel momento seminale nella vita di ogni ragazzina che si immagina di diventare grande per la prima volta scivolando dentro i tacchi della mamma, che fa finta di camminarci sopra barcollando e, sorreggendosi al muro, capisce per la prima volta che incedere nel mondo non sarà sempre facile. Abbiamo dato alle scarpe il potere di trasformarci, e in questa società non c'è nulla di più ammirevole di una persona che si trasforma in qualcos'altro, penso ad Andy nel Diavolo Veste Prada o sempre Anne Hathaway in Pretty Princess, che si toglieva gli occhiali e le ballerine per infilarsi in un paio di tacchi alti e improvvisamente veniva vista dai ragazzi del liceo che si giravano ad ammirarla nel corridoio.

Vivre Sa Vie, Jean Luc Godard, 1967

Vivre Sa Vie, Jean Luc Godard, 1967

Al potere trasformativo e, quindi, politico dei tacchi alti ha dedicato un saggio l'autrice Summer Brennan, che si intitola Tacco alto (2024, 66thand2nd, traduzione di Sara Marzullo). Il punto da cui osserva la scrittrice è la normalità con cui si ritrova a indossare i tacchi ogni giorno, perché lavora alle Nazioni Unite e attorno a lei tutte le donne di potere fanno lo stesso. Non ci ha mai riflettuto troppo, ha sempre seguito il loro esempio senza farsi domande, alla fine a lei piace indossarli e senza, in quell'ambiente, si sarebbe sentita fuori luogo. Va avanti imperterrita finché non conosce una scienziata che le dice che le donne che indossano i tacchi, secondo lei, sono stupide perché si predispongono inutilmente al pericolo di cadere. Nel 1977 John T. Molloy ("il consulente d'abito più famoso d'America ti dice cosa indossare e perché") scrive un libro che si intitola The Woman's Dress for Success Book, in cui consiglia alle donne che cosa indossare per sentirsi raggianti di successo ed essere prese sul serio dai colleghi uomini. Le sue massime sono: non vestirti troppo sexy, non mettere mai i pantaloni, indossa sempre i tacchi alti in ufficio. Abbiamo finito per chiamarli power heels, quei tacchi a stiletto che prendono in prestito il nome da un pugnale, «i piedi delle donne lì dentro dichiaravano guerra». A loro abbiamo concesso il potere di cambiare la percezione che la società ha di noi. Ci fanno sentire potenti con un'accezione femminile, hanno la stessa magia trasformativa di una cravatta o di un bel completo stirato. L'unica differenza è che una cravatta non può potenzialmente tramortirti.

È stata Susan Sontag, scrivendo di donne e di malattia, a notare come la fragilità e la vulnerabilità rappresentino un aspetto ideale della femminilità. Se sei in difficoltà, ti desidero, perché su di te posso esercitare il mio potere e confermarmi, quindi, superiore. Della relazione e maledizione che intreccia per sempre dolore e bellezza ci ricordiamo mentre ci pilucchiamo le sopracciglia, mentre soffriamo il freddo per mostrarci più sgambate o scollate, mentre ignoriamo i morsi della fame. Si tratta di un accordo tacito: non occorre parlarne, non è elegante. «Rovina l'illusione», scrive l'autrice. Anche perché si trasforma in una questione di classe: come posso lamentarmi di uno strumento che ho scelto di pagare 800 euro (costo attuale di un paio di Jimmy Choo, facendo il verso alla nostra Carrie Bradshaw)? È per questo che nel film Gli uomini preferiscono le bionde a Marilyn Monroe viene fatta pronunciare questa frase: «Una signora non si lamenta mai dei piedi!».

Tacco alto di Summer Brennan

«È sciocco dedicare tutte queste riflessioni a un certo modello di scarpa? Scriverci su un intero libro?», si chiede l'autrice di Tacco alto. «Niente affatto, perché in più e più occasioni mi sono resa conto che la questione delle scarpe col tacco – se indossarle o meno, cosa vogliono o non vogliono dire, cosa rappresentano e cosa no, cosa incitano e cosa no – è stata un insolito ma proficuo tema all’interno del dibattito femminista». Tra tutta la parafernalia che usiamo per agghindarci, i tacchi alti sono sicuramente quelli più politici perché riguardano il ruolo della donna nella sfera pubblica. Andando indietro nel tempo, c'è la bellissima confessione di Maria Antonietta, tra le prime a sdoganare i tacchi per le donne (nel Sedicesimo secolo fanno la prima apparizione nella storia, pensati per i piedi dei cavalieri persiani in cui appendere le staffe), che sulla ghigliottina pare abbia pronunciato come ultime parole: «Mi perdoni, signore. Non l’ho fatto apposta», perché aveva schiacciato per sbaglio il piede del boia con i suoi iconici talons rouges. Dopo di lei, scomparve la moda dei tacchi, un po' per timore e riverenza, per poi ricomparire sui piedi delle signore parigine nell'Ottocento. Timore e tacchi sono connessi anche dall'accusa di stregoneria che veniva mossa nel Seicento nel Massachusetts alle donne che li indossavano “per indurre un un uomo a sposarle. Sarebbero state processate e punite in quanto streghe”. Fino ad arrivare alle femministe che accusano le donne che indossano i tacchi di piegarsi al potere patriarcale. Nonostante «essere alla moda, in special modo per le donne, è considerata una forma di intelligenza sociale». È sempre stato un equilibrio tra la sofferenza e la bellezza, il timore e lo stupore.

A woman trying on a selection of shoes, 1951. (Photo by Hulton Archive/Getty Images)Hulton Archive/Getty Images
BURBANK, CALIFORNIA - FEBRUARY 24 : Auditions were held for Producer/Director Blake Edwards latest film The Man Who Loved Women in which he is seeking to find a woman with the most beautiful legs in the world for the film, February 24, 1983 in Burbank, California. (Photo by Bob Riha, Jr./Getty Images)Bob Riha Jr/Getty Images
(Original Caption) Central Park, New York City: High heel and high platform shoes. Good candids of young women and closeups of shoes.Bettmann

In Bad Feminist Roxane Gay scrive: «Amo truccarmi, amo gli orpelli», in una difesa spassionata per quello che è stereotipicamente femminile, come il colore rosa per esempio, rifiutando l'idea che il femminismo debba escludere ciò che è caratteristico nella cultura femminile. Dopotutto che cosa ci spinge a uscire di casa con dei trampolini scomodi e dolorosi? I tacchi alti fanno apparire le gambe più lunghe, il corpo longilineo, modifica le proporzioni perché aumenta la distanza tra i fianchi e il punto in cui i piedi toccano terra. «Molto prima che la moda occidentale permettesse alle donne di indossare pantaloni o minigonne, nel Diciassettesimo secolo in Europa gli uomini scoprirono che sollevare i talloni faceva apparire i muscoli del polpaccio e delle cosce più flessuosi e delineati», racconta Brennan, sovvertendo la connotazione femminile che hanno assunto nel tempo i tacchi. «Un paio di scarpe consumate è il ritratto di chi lo indossa. Non solo nella punta logora o nei tacchi usurati da mesi o anni di strade asfaltate, né per le storie raccontate dai danni e dalle riparazioni, ma anche per la loro forma e la funzione, il loro modello», è uno dei punti di partenza del saggio. «Fanno parte del nostro costume, in senso sia quotidiano che teatrale. E poiché le storie raccontate dalle scarpe riguardano inevitabilmente la nostra vita pubblica, parlano anche dello status e del potere che abbiamo o non abbiamo».

Non si arriva chiaramente a una conclusione: è giusto indossare i tacchi? Dovremmo forse abbandonarli tutte? L'autrice afferma che sì, per una donna sarebbe più semplice rifiutarsi di indossarli da un punto di vista politico, «se nessuno avesse messo in discussione il suo diritto a possederli». Eppure hanno un ruolo positivo quando permettono di liberare una persona dal suo ruolo nel mondo, entrare in contatto con parti della propria identità che fisicamente le sono state negate. Mettere in atto una metamorfosi ovidiana, lasciarla libera di trasformarsi in chi desidera essere. A dieci anni avevo fretta di diventare grande, ora li infilo quando voglio somigliare di più a me stessa.

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